Spread, 537

Il Sole 24 Ore: “Sale l’allarme spread, allerta alla Bce. Ocse: Draghi torni a comprare. Appello alla Ue, è giallo: Madrid firma, Roma e Parigi smentiscono. Nuova ondata di vendite sulle Borse e sui titoli di Stato italiani e spagnoli: Btp e Bund a 537 punti, ai livelli dell’insediamento di Monti, i Bonos decennali arrivano al 7,53 per cento”.

Il Corriere della Sera: “Spagna e Italia senza tregua. Madrid annuncia un patto inesistente con Roma e Parigi, poi ottiene un segnale da Berlino. Spread Btp-Bund a quota 537. Borse giù, Milano -2,71”. A centro pagina: “Per la trattativa Stato-maffia i pm chiedono di processare Mancino, 2 generali e i boss”.

La Repubblica: “Paura Europa, spread a 537. Giallo sull’appello Roma-Parigi-Madrid. La Grecia: aiutateci”. Il titolo di apertura è per l’inchiesta sulla “trattativa Stato-mafia”: “Processo a Mancino, Mannino e Dell’Utri”, chiede la Procura.

La Stampa: titolo più grande per lo spread che “torna a far paura”, titolo di apertura per l’inchiesta palermitana: “Mafia, i pm chiedono 12 rinvii a giudizio per la ‘trattativa’. Mori, Mancino, Dell’Utri e i boss. L’indagine sui fatti del 1992.93: il procuratore Messineo non firma”.

Il Fatto quotidiano: “‘Processate Stato e mafia’. Trattativa: imputati Mancino, Mannino, Dell’Utri e Riina”. Si legge nell’articolo che il Procuratore di Palermo Messineo “ha deciso di mettere il suo visto” sulla richiesta della Procura, “avvertendo l’esigenza, così ha detto, di ‘rafforzare l’esercizio dell’azione penale, in piena sintonia con i Pm'”, scrive il quotidiano.

Il Giornale, in un titolo di prima pagina: “Blitz di Ingroia, Procura divisa. Marina Berlusconi a Palermo. Ma il Procuratore di Palermo non firma l’atto finale dell’indagine”.

Europa

Su tutti i quotidiani la vicenda legata a quello che La Repubblica definisce un “giallo politico-diplomatico” europeo: ieri Madrid ha diffuso la notizia di un appello congiunto con Roma e Parigi perché si traducano in pratica le decisioni del consiglio Ue di fine giugno, ovvero quello che deciso lo scudo anti-spread. Due ore più tardi, l’Eliseo e Palazzo Chigi hanno smentito, e il governo Rajoy, che aveva persino pubblicato la notizia sul sito web, è stato costretto a ritirarla. Il Sole 24 Ore offre questa ricostruzione: il consiglio affari generali ieri a Bruxelles ha trattato tra i punti all’Ordine del giorno anche le conclusioni del recente consiglio europeo. In questa circostanza alcuni Paesi hanno confermato che le decisioni prese vanno adottate rapidamente, in particolare quelle misure legate al growth compact, il pacchetto da 120 miliardi di euro che prevede.

Sul Corriere della Sera si dà conto di un incontro, ieri, tra il ministro delle finanze tedesco Schauble e il suo collega spagnolo Luisi De Guindos, a Berlino, nel quale hanno sottolineato l’importanza di una “veloce applicazione delle decisioni del Consiglio Ue del 29 giugno, che consentirebbe al fondo salva stati di finanziare direttamente le banche iberiche sull’orlo del collasso e di acquistare titoli di Stato per abbassare i tassi di interesse”. Nel comunicato congiunto si fa riferimento ad una “effettiva unione bancaria, con una costruzione completa di un organismo di controllo per le banche che è un po’ quello che la Germania pretende prima di dare il via alla maggiore flessibilità per il fondo Salva Stati. I due ministri sottolineano che il programma Ue di aiuti è utile alla stabilizzazione dell’Euro e ha il sostegno del governo e del parlamento tedesco.

Un retroscena de La Stampa spiega che “é vero che la Banca centrale europea ha strumenti straordinari a disposizione, alcuni ancora inutilizzati, per far fronte alla crisi. Ma senza una piena copertura politica dei Paesi dell’Eurozona, alcuni i essi rischiano di rimanere sul tavolo. O peggio ancora di essere controproducento”. Scrive il quotidiano che si tratta del “programma straordinario” già avviato da Trichet nel 2010: la Bce compra sul mercato secondario i bond statali per raffreddare il tasso di interese. Il piano,. che da agosot dello scorso anno era concentrato sui titoli spagnoli e italiani, è stato interrotto da venti settimane. Ma da tempo ai vertici della Bce si discute se riprenderlo”. I problemi: i “falchi, tedeschi in testa, sono fortemente contrari. E soprattutto il timore che, se la Bce riprende gli acquisti, gli altri investitori scaricheranno velocemente i bond, nel timore di trovarsi con il cerino in mano. Altra possibilità, scrive il quotidiano, è quella di usare un altro strumento: acquistare bond corporate, cioè obbligazioni di società non finanziarie. In questo modo le aziende che non trovano credito presso le banche possono “rifornirsi” direttamente presso la Bce.
Il Sole 24 Ore sottolinea che nel consiglio Bce il presidente Draghi può contare su una ampia maggioranza pronta a intervenire, mentre l’opposizione più dura verrebbe in primis dalla Bundesbank, oltre che dalle banche centrali di Olanda, Lussemburgo, Finlandia e forse Austria. Ma gli stessi governatori di Olanda e Austria hanno recentemente mostrato qualche flessibilità. La contrarietà tedesca ad ogni intervento che possa esser preso per “finanziamento monetario” dei deficit pubblici è totale, e del resto, sottolinea il quotidiano, anche Draghi è schierato su questo fronte, nel rispetto del trattato europeo.
Ma la devozione della Bundesbank al mandato della stabilità dei prezzi della Bce fa sì che un intervento che la garantisca può essere un argomento decisivo per ammorbidire la posizione tedesca.

E scrive Il Sole: “E’ difficile per il presidente della Bce, per sua natura incline alla diplomazia, procedere a dispetto del suo azionista di maggioranza. Ma Draghi ha dimostrato negli ultimi mesi di voler decidere ‘a maggioranza’ e non ‘per consenso’, quando lo ritiene assolutamente necessario”.

Il Foglio dedica una intera pagina al ruolo che la Bce può esercitare per il salvataggio della eurozona. Con anticipazioni da un libro curato da Giulio Napolitano, ordinario di istituzioni di diritto pubblico, che i lettori del quotidiano troveranno sotto questo titolo: “Draghi dal multiforme ingegno. Un mix di pragmatismo e fantasia ha finora salvato l’euro. Ora c’è l’occasione per ripensare la Bce”. L’Eurotower ha fatto leva sul suo carattere comunitario molto più marcato ed efficace rispetto a quello di altre istituzioni Ue. Vi si descrivono le tre fasi attraversate dalla Bce, la terza delle quali, apertasi tra il luglio e l’agosto 2011, l’ha portata ad intervenire in funzione di supplenza per porre rimedio alle esitazioni dei capi di Stato e di governo e ai limiti della strumentazione istituzionale esistente a livello europeo. E’il caso di costruire una nuova infrastruttura giuridico-istituzionale? Secondo alcuni sarebbe un danno, poiché finirebbe per imbrigliare una azione che, in considerazione con la sua natura emergenziale, deve svolgersi nel modo più libero possibile.
Sulla stessa pagina un altro commento è così titolato: “Il pensiero strisciante di Draghi per una Banca centrale europea stile Fed”.

Ancora sul Sole 24 Ore una intera pagina è dedicata all’economia tedesca: “La Germania teme di perdere la tripla A. L’indice Pmi manufatturiero indica per l’economia tedesca una contrazione nel terzo trimestre”. Nell’articolo da Francoforte si legge che particolarmente accentuato è il calo del settore manifatturiero, che finora ha trainato la crescita tedesca: da 45 a 43,3. Colpisce in particolare il calo degli ordini per le esportazioni, che è più pesante di quello dell’eurozona. Anche per il Corriere la Germania, “gigante d’acciaio”, mostra qualche scricchiolio. Il corrispondente a Berlino racconta, ad esempio, che i concessionari di automobili tentano di promuovere le vendite con sconti del 10, 20 o anche 30 per cento per auto made in Germany: e si tratta di un mercato chiave, finora in gran forma in Germania.

Crisi e ricette

E’ Il Foglio ad occuparsi in prima pagina di un appello firmato da un gruppo di economisti, giuristi, intellettuali e docenti di diversa estrazione politico-culturale: Alberto Burgio, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Guido Rossi e Valentino Parlato. Il quotidiano se ne occupa con toni molto critici, alla questione è dedicato un commento dell’Elefantino Ferrara, che scrive: “Denunciano un furto di informazione”, “i maggiori mezzi di informazione si comportano come se la lotta di classe fosse finita. Non spiegano che le politiche in ballo nella crisi finanziaria corrispondono a scelte di interesse”.
Ma il dibattito viene ripreso da Il Fatto quotidiano, che intervista il sociologo torinese Luciano Gallino, e riassume così le sue parole: “Il pensiero unico peggiora la crisi”, “secondo il sociologo è falso che dobbiamo rassegnarci ai tagli”. Come spiega che anche giornali progressisti come Repubblica, come lei scrive, abbiamo dato sostegno a Monti? Gallino: “Le dottrine neoliberali hanno goduto di un monopolio sui cervelli che non ha precedenti storici. C’è poi l’idea che quasi certamente stiamo andando verso il disastro. Misure come quelle di Monti produrranno una recessione terribile, ma il non adottarle a molti sembra anche peggio”, “molti colleghi opinionisti, che in privato pensano si tratti di tagli inauditi e pericolisi, quando scrivono si accodano agli altri perché temono ancora di più la Borsa e le agenzie di rating. Tra due disastri scelgono il minore”.

Politica

Ieri al Senato il Pdl ha ottenuto il primo via libera al semipresidenzialismo: “Con la benedizione solenne del Carroccio”; scrive La Stampa, parlando di questo rinsaldamento dell’asse, almeno sul tema delle riforme costituzionali, ma con l’astensione di Beppe Pisanu e di Ferruccio Saro e con il Pd, Idv e Radicali fuori dall’aula e il pollice verso del Terzo Polo. Il segretario Pd Bersani lo ha bollato come un “diversivo senza costrutto”, aggiungendo: “Spero solo che con questo gesto irresponsabile, inutile e del tutto inconcludente non si faccia deragliare quel che dobbiamo fare ‘subitissimo’, cioé la riforma elettorale”.
Il leader dell’Udc propone: “Chiudiamoci in una stanza e non facciamo le vacanze. La legge elettorale è una priorità”. In questo quadro il premier Monti vedrà Alfano, Bersani e Casini, separatamente, tra oggi e domani. Oggi si inizia con il segretario Pd e quello Pdl: “Per discutere certamente di mercati e spread ma anche di possibili scenari di voto anticipato che i leader delle forze politiche ufficialmente respingono ma di cui, in tanti palazzi, ormai si discute esplicitamente”:

Il Corriere della Sera titola: “Presidenzialismo, lite in Senato. Ma si dialoga sulla legge elettorale”. Secondo il quotidiano il Pd sarebbe pronto al via libera ad un sistema che preveda un premio di maggioranza (10 per cento) al primo partito e non più alla coalizione. In cambio il Pdl avrebbe rinunciato alla richiesta di tornare alle preferenze, nonostante per gli ex An sia una condizione irrinunciabile, e dunque nel partito l’agitazione sia grande. Si tratterebbe quindi di una sorta di “provincellum”, in cui un terzo dei parlamentari verrebbe eletto su liste bloccate, e il resto nei collegi, con soglia di esclusione al 5 per cento (all’8 o 10 su base regionale per far rientrare la Lega). Insomma, una legge che permetta un certo grado di governabilità ma anche di convergere in una larga coalizione se la situazione politico-economica lo richiedesse. Un retroscena sullo stesso quotidiano racconta “il nervosismo del Pd, diviso tra responsabilità e tentazione delle urne”, poiché nel partito cresce l’insofferenza per i tagli. E in questo quadro il segretario Pd spiegherà al premier che soltanto il suo partito lo sostiene con responsabilità. L’ala sinistra del Pd, però, considera una soluzione possibile il voto anticipato.
La Repubblica riferisce invece della “tentazione” di Antonio Di Pietro: “Sciogliere l’Idv”: dare il via ad un “listone civico” del centrosinistra e ad un patto con Grillo. Perché per i dipietristi Grillo è una calamita che sta attirando Di Pietro verso il definitivo distacco dal Pd, scrive il quotidiano. L’ex pm potrebbe mettere sul tavolo del centrosinistra l’idea di un listone civico o schierarlo sullo stesso fronte antagonista del movimento Cinque Stelle. Anche La Stampa si occupa dell’Italia dei Valori, parlando di un “Di Pietro accerchiato”, con un movimento che ha scoperto le correnti, poiché le “esternazioni di Tonino non piacciono a una fetta del Partito”. Si ricorda che nei giorni scorsi, allorché l’ex pm aveva detto “ce ne andiamo noi” dall’alleanza con il Pd, il capogruppo alla Camera Donadi aveva risposto: “Non ho alcuna intenzione di rompere con il Pd”. Affermando, peraltro, che la sua posizione non è isolata nel partito.  Elio Lannutti, presidente di Asudsbef, ha già annunciato di non volersi ricandidare tra le fila del partito: “non si può continuare ad attaccare le istituzioni tutti i giorni”. Abbiamo fatto tanto per portare Bersani a Vasto e ora non passa giorno senza che si attacchi l’alleato.

Inchieste

Su Il Fatto le notizie relative alla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del governatore della Puglia e leader di Sel vengono riassunte così: “Abuso d’ufficio: richiesta di giudizio per Vendola e ‘lady Asl'”. Quest’ultima era preoccupata per la richiesta del governatore di riaprire i termini di presentazione delle domande per l’incarico di direttore medico della struttura di chirurgia toracica dell’ospedale barese San Paolo. E Nichi Vendola, da parte sua, l’avrebbe tranquillizzato. Alle origini della inchiesta ci sono proprio le dichiarazioni della direttrice generale dell’Asl di Bari Lea Cosentino, nota come Lady Asl. Il quotidiano riferisce la reazione di Vendola: “Finalmente potrò spiegare al giudice la correttezza dei miei comportamenti. La Stampa riferisce che secondo le accuse degli inquirenti il governatore della Puglia avrebbe sollecitato più volte la manager della Asl barese a riaprire i termini per la presentazione delle domande, in modo di favorire la presentazione di quella del professor Paolo Sardelli, già vincitore del concorso.

La Procura della Repubblica di Palermo ha richiesto il rinvio a giudizio di 12 imputati. Scrive Luigi Ferrarella su il Corriere della Sera che lo ha fatto “accorpando in tutt’uno i capi dei corleonesi, da Totò Riina a Bernardo Provenzano, da Leoluca Bagarella, Antonio Cinà e Giovanni Brusca con un condannato e pluriprocessato come Marcello Dell’Utri, un discusso mezzo pentito come Massimo Ciancimino, accanto ai generali dei carabinieri Mori e Subranni, al colonnello De Donno, compresi due ex ministri, Calogero Mannino e Nicola Mancino, l’ex presidente del Csm, l’unico accusato ‘soltanto’ di falsa testimonianza, visto che per gli altri hanno rispolverato dal codice un reato previsto per i golpisti, ‘attentato ad un corpo politico’.  La Stampa scrive che il Procuratore di Palermo Messineo non ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio, ha messo soltanto un visto, e questo gesto non rasserenerà certo un ambiente surriscaldato dalle polemiche sull’indagine sulla trattativa. Non una dissociazione netta, come era avvenuto per l’avviso di conclusione delle indagini, ma nemmeno una adesione piena alla richiesta di rinvio a giudizio. Il govenro, nella ricostruzione della accusa, sarebbe stato il destinatario finale, la vittima del reato di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Il che significa che l’Esecutivo potrà costituirsi parte civile, e la scelta non sarà facile, perché un pezzo dello Stato sarà chiamato ad agire contro altri ex rappresentanti delle istituzioni.
Il Corriere della Sera tenta di spiegare ai lettori il quadro disegnato dalla Procura di Palermo: l’ipotesi è che si sia tentata una trattativa per ristabilire un equilibrio con la mafia. Il reato di minaccia o violenza ad un corpo politico dello Stato implica che il governo sia stato ricattato dai mafiosi per ottenere benefici come la modifica di alcune leggi, la revisione del maxiprocesso di Borsellino e Falcone e un migliore trattamento per i detenuti. Lo Stato insomma sarebbe stato vittima di una estorsione e, di fronte al ricatto di altri morti (c’erano state le stragi di Capaci e di via D’Amelio) gli uomini delle istituzioni aprirono un negoziato con gli estorsori.

Internazionale

Il Corriere della Sera torna ad occuparsi dei piani del premier israeliano Netanyahu per colpire l’Iran: sarebbe questa la vera ragione dell’uscita dei centristi di Kadima dal governo. Senza nominare l’Iran, Shaul Mofaz, entrato a far parte con Kadima della coalizione e poi tornato all’opposizione dopo soli 70 giorni, ieri alla radio militare israeliana ha spiegato: “Il mio partito non prenderà parte ad operazioni che mettono in pericolo il futuro dei giovani e dei cittadini di questo Paese”. Naetanyahu starebbe operando per convincere alcuni esponenti di Kadim ad entrare nel suo partito. E il gruppo di ribelli sarebbe capeggiato da Tzahi Hanegby, fedele di Ariel Sharon, che avrebbe così motivato il suo ritorno nella formazione di Netanhyau: la stabilità del governo è fondamentale per affrontare l’imminente caduta di Assad in Siria e l’ascesa dei Fratelli musulmani in Egitto. Soprattutto, questo è il momento di affrontare la questione iraniana”. Ufficialmente le ragioni del contrasto tra Likud e Kadima sono legate alla nuova legge che avrebbe dovuto imporre la leva militare anche ai giovani ultraortodossi.

La corrispondenza de La Stampa da New York riferisce dell’allarme della Cia relativo alla Siria: “Non conosciamo i ribelli”, dice l’intelligence Usa, attirando l’attenzione sul fatto di non avere informatori sul terreno. E’ il Washington Post a rivelare che la Cia trova difficoltà a comprendere in maniera chiara quali siano le forze dell’opposizione: la situazione sul terreno è diversa da quella libica, dove il governo di transizione era più coeso del consiglio nazionale siriano. La Cia non ha propri uomini in Siria, come invece in Egitto e in Libia, in ragione di uno specifico ordine del presidente Obama che limita le attività di intelligence ad “osservare il conflitto a distanza”, facendo arrivare agli insorti non armi ma solo “strumenti di comunicazione”. La conseguenza è che l’intelligence Usa, posizionata lungo i confini tra Turchia e Siria, deve rimettersi alle informazioni raccolte da agenti giordani, turchi e “di altre nazioni alleate”.
La vicenda è anche sulla prima de Il Foglio: “Neppure la Cia capisce che cosa sta accadendo al regime di Damasco”.

E poi

La Stampa racconta che dopo la strage del cinema di Aurora, in Colorado si è registrato un boom di vendite di armi: subito dopo il folle gesto di James Holmes, lo sparatore della prima del film di Batman, le vendite al dettaglio sono salite del 41 per cento. Tra venerdì e domenica il Colorado ha ricevuto 2887 richieste di porto d’armi. Anziché temere che la circolazione di armi sia un pericolo, gli abitanti in Colorado si preparano alla legittima difesa.

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