Anm e governo, Boschi va a mediare

Il Corriere della sera: “Fisco, la rivolta dei dirigenti. Colloquio Orlandi-Padoan. La numero uno delle Entrate sotto assedio: resisto. In 400 ‘degradati’ fanno causa a Palazzo Chigi”. “Mattarella ha firmato la manovra”.

L’editoriale, firmato da Lucrezia Reichlin: “La ripresa non aspetta i governi”.

A centro pagina: “Sala davanti a Del Debbio. Il sondaggio su Milano”. Si tratta di un sondaggio sul gradimento del possibile sindaco della città.

Sotto, su Roma: “Sfida di Marino. ‘Ripensarci? Non vi deluderò’”.

La grande foto è per le elezioni in Polonia, dove ha vinto la candidata della destra nazionalista Beata Szydlo, candidata per il partito Diritto e Giustizia (PiS). “L’Europa ai nazionalisti anti Ue”. La Sydlo sarà premier, “la sinistra crolla”.

La Repubblica: “Il piano di Marino per restare sindaco. Scontro con il Pd”, “Il primo cittadino ai manifestanti: ‘Non vi deluderò’”, “Mattarella firma la manovra: 4 miliardi di tagli alle tasse”.

In prima ancora attenzione per il Sinodo, con gli articoli di Marco Ansaldo (“Quel pranzo segreto da cui è nata l’intesa”) e di Claudio Tito (“Francesco prepara la fase 2 del papato”.

A centro pagina: “Polonia, vince il partito anti-Europa, maggioranza assoluta ai populisti”. Ne scrivono Andrea Bonanni da Bruxelles (“La Ue e gli xenofobi”) e Andrea Tarquini da Varsavia.

La foto è per Valentino Rossi: “Vale, un calcio al titolo, in Spagna partirà ultimo”.

Sulla colonna a destra un intervento di David Grossman: “Netanyahu a occhi chiusi nel labirinto di Israele”.

E più in basso: “E ora Blair chiede scusa per l’Iraq”, con una corrispondenza da Londra di Enrico Franceschini e un commento di John Lloyd (“La guerra che non doveva iniziare”).

La Stampa: “Polonia, vince la destra anti-Ue. Migranti, l’Europa prende tempo”, “Un piano per accogliere altri 100.000 profughi. Fronte anti-Merkel”, “Secondo i primi dati avrebbero la maggioranza dei seggi per governare il Paese da soli”.

A centro pagina, su Valentino Rossi, con foto: “Rossi-follia, adesso il mondiale è a rischio”.

In prima un editoriale di Valdimiro Zagrebelsky: “La magistratura controlli il suo operato”.

Sulla colonna a destra, sul “dopo-Sinodo”: “Ma i gay sono ancora un tabù”, di Ferdinando Camon.

E sul documento finale un commento di Andrea Tornielli: “Ha vinto la Chiesa che vuole accogliere”.

Sulla colonna a destra anche un reportage di Flavia Amabile su Roma: “L’ospedale Forlanini terra di nessuno”.

Il Fatto apre con le parole pronunciate da Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite e ora consigliere di Cassazione, pronunciate ieri al congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati: “Davigo: ‘Politici, fate pulizia’”, “La Boschi liscia le toghe, il giudice chiede pentiti e agenti sotto copertura”.

A centro pagina: “Roma è a pezzi. Marino no”, “Il sindaco dimissionario raduna i suoi in Campidoglio: ‘Non mollo’. Ma la città è allo sfascio: dall’immondizia ai servizi pubblici. Ecco il nostro viaggio”. Di Enrico Fierro.

Il Giornale: “Parla il pensionato simbolo. ‘Perché ho sparato al ladro’. Francesco Sicignano si difende: ‘Mai mentito. Avrei potuto colpire tutti ma non volevo uccidere. Mi chiamano sceriffo? Spero non capiti mai a loro. Avere un’arma deve essere un delitto, io non dormo più’”.

Il titolo di apertura: “Alfano tradisce di nuovo Berlusconi” perché “la portavoce del ministro ha chiamato i giornali per raccontare il fastidio della Merkel per il Cavaliere, la lo staff della Cancelliera ha smentito”. E poi: “Marino sfida Renzi”. “I due voltagabbana”, scrive il quotidiano riferendosi a Marino ed Alfano.

Alessandro Sallusti firma l’editoriale: “Veleni e veline di un ministro. Giochi pericolosi al Viminale”.

Sul Sole 24 ore l’editoriale di Guido Gentili (“Gli azzardi della politica poco amica dei numeri”) Guido Gentili si sofferma sulla legge di Stabilità. Alla legge di Stabilità è dedicata anche una intervista al presidente dell’Anci Piero Fassino che sottolinea il “cambio di passo” della manovra rispetto al passato, perché per la prima volta non si parla di tagli agli enti locali. “Per la prima volta si muove in una logica espansiva per agganciare la manovra”, dice.

Il titolo di apertura è per la “mini tassa a forfait” prevista nella legge, ovvero il nuovo regime dei minimi per gli autonomi e i professionisti. “Benefici al top per chi avvia nel 2016 una attività”.

Anm

La Stampa: “Anm, Boschi va a mediare ma i magistrati attaccano”, “Il congresso delle toghe duro col ministro: rispettate la nostra autonomia”.

La Repubblica: “’Agenti infiltrati contro la corruzione’”, “La proposta di Davigo al congresso Anm. La Boschi sigla la tregua: ‘Fate il bene del Paese’”.

Il Fatto è il quotidiano che dà maggiore evidenza alle parole di Davigo, cui dedica la pagina 2: “Davigo frusta i politici: ‘Quando fanno pulizia?’”, Boschi liscia le toghe, il giudice attacca: ‘Occorrono pentiti e agenti sotto copertura, ma il Parlamento oppone resistenza’”.

Secondo il quotidiano non è bastato il “suadente” intervento del ministro delle Riforme istituzionali Maria Elena Boschi (aveva detto “non ci può essere una città libera dove anche un solo cittadino è temuto da un magistrato”, con l’intento di elogiare l’indipendenza della magistratura). E si riferiscono le parole di Piercamillo Davigo: “E’ stata data una delega totale alla magistratura per ripulire la classe dirigente del Paese, ma questo non compete a noi”, ci vorrebbe “una selezione precedente” basata sull’idea che “non tutto quello che non è reato può essere accettabile”, deve essere la politica a “ripulire” la classe dirigente, così finirebbero “la gran parte delle tensioni” con la magistratura, che processerebbe soltanto ex, cioè politici già allontanati. Secondo Davigo, prosegue Il Fatto, “l’unico strumento” che permetterebbe di sradicare la corruzione sono le “operazioni sotto copertura”, ovvero l’uso di agenti provocatori che offrano tangenti a politici e pubblici amministratori per saggiarne la correttezza. E un’altra arma è quella dell’uso dei pentiti: “ci vuole una forte normativa premiale: si potrebbe arrivare alla non punibilità del primo che parla fra corrotto e corruttore”, purché dica tutto ciò che sa. Ma secondo Davigo c’è una forte “resistenza in Parlamento”.

La Repubblica dà conto tanto dell’intervento di Davigo che di quello di un’altra “icona” di Mani Pulite, ovvero Francesco Greco, ora procuratore aggiunto a Milano (“Il governo ha fatto tanto -ha detto- è innegabile che si sia cercato di ricostruire il sistema di contrasto alla criminalità economica, anche se non è mancato qualche problema sulla delega fiscale”; ed ha citato questioni aperte come il reato di corruzione privata e una legge che riformi le fondazioni, vero alter ego dei partiti). Ma cita anche le opinioni di Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro dell’Economia Padoan: da Garofoli è arrivato l’invito a “ipotizzare meccanismi premiali perché l’azione repressiva non basta”.

Sulla stessa pagina, intervista a Luciano Violante, che dalla magistratura proviene ed è poi passato alla politica: “La politica attacca i pm ma li usa come riserva. Renzi? I suoi toni poco seri”. Dice Violante a proposito della tensione magistratura-politica-governo e delle accuse di delegittimazione delle toghe: “C’è una situazione contraddittoria. In alcune vicende, come l’arresto del vicepresidente della Regione Lombardia, si accusano i magistrati di condizionare intenzionalmente la vita politica. In altri c’è una sorta di iperlegittimazione, che tende a strumentalizzare i magistrati per ragioni opposte, come avviene da parte di quei settori del mondo politico e della comunicazione che hanno trasformato il codice penale nella carta morale della politica e presentano una comunicazione giudiziaria come una sorta di verità rivelata. In altri casi la magistratura funziona come una sorta di esercito di riserva della politica. Serve un’autorità anticorruzione e di incarica un magistrato; serve a Roma un assessore alla trasparenza e si nomina un magistrato”.

“La magistratura controlli il suo operato” è il titolo di un’analisi su La Stampa firmata da Vladimiro Zagrebelsky, che torna sulla vicenda che vede coinvolta Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione a Palermo: “a Palermo sembra che sia successo di tutto, attorno a uno degli uffici giudiziari più delicati d’Italia”, “E’ possibile che quanto emerge”, “con il numero delle persone coinvolte e la durata nel tempo, fosse ignorato da tutti? E che l’unica reazione sia quella della magistratura penale, che arriva naturalmente sempre troppo tardi. Prima di essa avrebbe dovuto operare la vigilanza ordinaria. Invece, anche dopo una segnalazione di malfunzionamento dell’ufficio fatta alla Commissione parlamentare Antimafia dal prefetto direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia, le notizie riportate al Consiglio Superiore della magistratura restarono generiche e vennero archiviate”.

Milano, Roma, M5S

Sul Corriere Nando Pagnoncelli si occupa delle elezioni amministrative del 2016 a Milano, città nella quale oltre quattro abitanti su cinque si dichiarano “soddisfatti per la qualità della vita” sebbene rispetto al passato una metà ritiene che la vita sia peggiorata mentre solo il 27 per cento la giudica “migliorata”. Sul sindaco Pisapia giudizi divisi a metà: 50 per cento positivo e 50 negativo. Esprimo un giudizio positivo “quasi un elettore di centrodestra su due (45%) e più di un grillino su tre (36%)”. Pagnoncelli scrive che si sono testati 12 possibili candidati . Solo per Giuseppe Sala le valutazioni positive (59 per cento) prevalgono su quelle negative. Dietro diu lui Boeri, De Debbio, Sangalli. “Ipotizzando una competizione tra Sala per il centrosinistra, Lupi per il centrodestra, Passera per Italia Unica, Di Pietro sostenuto da una lista civica e un candidato del M5S, Sala al momento prevarrebbe su Lupi, ma il dato forse più sorprendente è rappresentato dal livello di incertezza (23%) e di astensione (20%) che riguarda oltre due milanesi su cinque”. Quanto al voto per i partiti, il Pd avrebbe il 27,6, il M5S il 23, Fi il 14,1, la Lega il 13,4, Italia Unica di Passera il 6,4, Fratelli d’Italia il 4,5.

La Repubblica, pagina 2: “Marino, svolta in piazza: ‘Da voi forza di resistere, voglio tutto come il Che’”, “Duemila al sit in per chiedergli di ritirare le dimissioni. ‘Non vi deluderò’. Tra i sostenitori anche pezzi di Pd”.

La Stampa, pagina 10: “La piazza spontanea di Marino adesso imbarazza il Pd”, “Mobilitazione autoconvocata, il sindaco accarezza l’ipotesi si ritirare le dimissioni in aula. ‘Ripensarci? Non vi deluderò’”. A raccontare la giornata di mobilitazione ieri al Campidoglio è Fabio Martini, con un “reportage”. Dove si legge di come fosse spontanea questa manifestazione (mancava un amplificatore degno di questo nome, non c’era un palco o qualcosa che gli somigliasse, ogni tanto un gruppetto che intona “Bella ciao”). Le parole di Marino: “Ci siamo fatti dei nemici e ora che la città può ripartire, qualcuno vorrebbe frenare questo processo2, ma noi “siamo realisti e chiediamo l’impossibile: questa piazza mi dà la determinazione, voi mi chiedete di ripensarci e io non vi deluderò”. Insomma, pur senza dirlo chiaramente, Marin potrebbe fino all’ultimo verificare se ci sono i margini per restare. Privatamente ammette che si sono ristretti molto e pensa che Renzi dovrebbe concedergli la possibilità di uscire a testa alta. Ma la notizia, secondo Martini, è la orginalissima piazza di ieri: diversa da tutte quelle che si sono viste in questi anni, con una mobilitazione quasi esclusivamente fatta con il tam-tam sulla rete, tutta gente “normale”, senza pullman, senza “cammellamenti”, anche se sono comparse in piazza quattro bandiere del Pd., slogan e striscioni improvvisati, scritti a mano, a difesa del “marziano”. “Una piazza ‘normale’, non di pancia, non aggressiva, una piazza ‘per’ e non ‘contro’, ma emotivamente molto schierata, pronta a seguire il suo ‘marziano’” e formata da 45-60enn, la generazione nata tra il 1950 e il 1975 che rappresenta da decenni la spina dorsale dell’elettorato Pci, poi Pds-ds e ora Pd.

Anche il “retroscena” di Sebastiano Messina su La Repubblica spiega la strategia del sindaco: “In aula per chiedere un nuovo mandato, il piano resurrezione dopo gli scontrini”. Marino potrebbe dunque chiedere la convocazione deò Consiglio comunale per “comunicazioni urgenti”, ritirando le dimissioni e costringendo il Pd a presentare una mozione di sfiducia o a depositare le dimissioni contestuali di tutti i suoi consiglieri. “Sulla carta non ci sarebbe storia”, scrive Messina, “perché sia Renzi che Vendola hanno preso le distanze dal sindaco”, ma la situazione è ben più complicata: perché il commissario del Pd romano Matteo Orfini non è ancora riuscito a far ripeter il suo “no” ai 19 rappresentanti del partito in Campidoglio: “molti frenano. Obiettano. E resistono”, quando Orfini li ha convocati, chiedendo loro da che parte stavano, il gruppo si è spaccato: la maggioranza -10 contro 9- si è schierata con Marino.

Alla pagina seguente, un “colloquio” di Tommaso Ciriaco con lo stesso Matteo Orfini che, richiesto di un commento sulla manifestazione dei sostenitori di Marino ieri in Campidoglio, dice: “’Ma quale rivolta, balletto ridicolo, lo sfiduceremo’”. “E’ una storia finita, dai-dice Orfini- Ha visto quanta gente c’era in piazza per Ignazio? Massimo rispetto, per carità, ma non mi è sembrata una rivolta popolare..Né mi sembra che Marino sia vissuto dalla città come un martire”, “Io gli ho fatto da scudo umano. Ma ora basta, i nostri consiglieri sono tutti allineati e pronti a fare quel che serve”, “Sia chiaro che lui non si dimette per il caso scontrini, che è quasi marginale, ma per tutti gli altri errori”.

Su Il Fatto Giampiero Calapà descrive come “trionfale” la giornata di marino e parla di una “apertura” di Sel al Marziano, riferendo le parole di Paolo Cento, segretario cittadino: “Venga in aula, lo ascolteremo e valuteremo le scelte”. E in prima pagina, in un commento, Antonello Caporale invita il Pd ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni: “L’ammutinamento di queste ore ha un senso se obbliga il Pd della Capitale, finora sepolto sotto la barba di Rofini, a sfiduciarlo e a compiere così l’unico atto politico rispettabile e pulito. Il Pd deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni e non promuovere atti di killeraggio, non coprire il proprio pugnale con la mano di qualche assessore o pensare di mimetizzarsi nel costituendo dream team, i Magnifici Sette che dovrebbero far scordare -magari con un mucchietto di soldi da spendere- le vergogne dei committenti”.

Su Il Giornale: “Vedrete, non vi deluderò. Marino pensa di rimanere e va alla guerra con il partito”. “Ma il Pd lo ha già scaricato. ‘Manifestazione flop, un’esperienza chiusa’”.

Sul Corriere: “Il Pd: in piazza erano pochi. Se resta sfiducia o via i consiglieri”. Dove si legge che il sindaco che “arrocca e cita Che Guevara non sembra impensiere troppo i dem”. “L’ipotesi che ritiri le dimissioni non la prendiamo nemmeno in considerazione” dice il presidente Orfini. Il Pd comunque non “farebbe nulla” per impedire al sindaco di candidarsi eventualmente alle primarie.

Sul Messaggero: “La posta in gioco resta la corsa verso le primarie”. Si cita una frase di Marino pronunciata ieri sera tardi: “E’ stato bello ma so che non servirà a niente”. Dice anche che vuole parlare con Renzi giovedì, quando il premier tornerà dalla sua missione in America Latina. “’Secondo me tante cose gliele hanno riferite male’”. E poi “a Orfini non lo ascoltano nemmeno i consiglieri municipali’”. Il “sogno” di Marino sarebbe una “conferenza stampa” insieme al premier o una dichiarazione congiunta in cui Renzi dichiari “una risorsa” Marino.

Da segnalare sul Corriere un commento di Giovanni Belardelli dedicato a Beppe Grillo e agli eredi, ovvero ai candidati del M5S per Palazzo Chigi. “La trasmissione della leadership è resa più complessa dalla coincidenza con l’istituzionalizzazione di una forza politica che si è imposta come antisistema”.

Sinodo

La Stampa, pagina 2: “’Sinodo faticoso, ma dono di Dio’”, “Nella Messa di chiusura il Pontefice avverte sui rischi di una fede ‘da tabella’. ‘Non dobbiamo pretendere di marciare tutti uniti, guardiamo chi resta indietro’”.

E Andrea Tornielli firma un’analisi in cui si sottolinea che “Tra ‘rigoristi’ e ‘aperturisti’ ha vinto la Chiesa degli ultimi”. Il Sinodo -secondo Tornielli- ha camminato alla ricerca di nuovi approcci pastorali il più possibile condivisi: “nuovi approcci per mostrare al mondo che cambia il volto autenticamente evangelico di una Chiesa che cerca ogni strada per avvicinare, accogliere, reintegrare, abbracciare, perdonare, includere. Senza imposizioni dall’esterno, senza cedimenti alle ‘agende’ dei cosiddetti ‘progressisti’ o alle paure dei ‘rigoristi’”. Alla pagina seguente, intervista al cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, che dice: “Non ci sono famiglie perfette. Dobbiamo accoglierle tutte”, “Siamo più vicini alla vita reale”. E il reportage di Giacomo Galeazzi e Lodovico Poletto: “’Francesco ci porta fuori dalle catacombe’”, “Le parrocchie: ‘Confermata una prassi già diffusa. Bene superare le rigidità che non avevano più senso’”.

La Repubblica, pagina 16: “L’accordo sul Sinodo nato dopo un pranzo Ratzinger-Schoenborn”, “Mueller spiazzato dalla mossa: poi l’intesa con Kasper. Il papa: ‘Lavoro faticoso che porterà molto frutto’”. Il riferimento è al ruolo che avrebbe avuto il cardinale e arcivescovo di Vienna Christoph Schoenborn, che nei giorni scorsi ha incontrato Ratzinger, di cui è stato studente.

A pagina 17 un’intervista al cardinale Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo: “Quei due terzi per il sì sono il via libera a Bergoglio per cambiare la Chiesa”.

E il “retroscena” di Claudio Tito: “Nuove nomine in Curia e rilancio sui divorziati, così Francesco apre la fase 2 del pontificato”.

Manovra, economia

Sul Sole Guido Gentili scrive che la presentazione al Parlamento e a Bruxelles della “legge più importante dell’anno è stata ritardata per accostare la politica ai numeri e viceversa, raccordando i primi annunci (politici) al testo legislativo in via di elaborazione e poi ricalibrando gli stessi annunci dopo aver saggiato il terreno, sempre a testo ‘aperto’. Una prassi ricorrente, certo riprovevole, ma assai comoda e per la quale la tagliola della “tolleranza-zero” scatta solo in punta di diritto, come si dice”. Gentili sottolinea le dichiarazioni di Salvatore Rossi della Banca d’Italia in una intervista ad un giornale tedesco, quando ha detto che “’in ogni caso nessun governo del dopoguerra ha dimostrato una volontà riformatrice come il Governo Renzi’”.

Sul Messaggero Francesco Grillo si sofferma sulle spese per la salute e sulla sanità nel nostro Paese, affidata alle Regioni. “La Sanità costituisce – da sola – un terzo di tutto ciò che lo Stato spende (al netto degli interessi sul debito pubblico e delle pensioni) per fornire servizi ai cittadini. Una cifra che è due volte quella che costa al contribuente l’istruzione (dagli asili alle università), e cinque volte superiore a quella che costa allo Stato l’ordine pubblico e la giustizia. Bastano questi numeri per spiegare perché la sanità e’ al centro di qualsiasi tentativo di razionalizzare la spesa pubblica”. Un sistema che funziona ma in cui “ampi spazi di miglioramento esistono”, per esempio provando ad “adottare i modelli organizzativi del Veneto o dell’Emilia Romagna – dove si spende, secondo ISTAT, in Sanità meno che nelle Regioni meridionali ottenendo livelli di soddisfazione da parte dei pazienti superiori al 50% – alla Sicilia o alla Campania – dove secondo il ministero della Sanità sono a rischio le prestazioni sanitarie minime – per risparmiare più delle previsioni che la Legge di Stabilità tenta di far passare e migliorare, in maniera significativa, il rapporto con i cittadini”. E se è “sbagliata l’idea di procedere a colpi di commissari” occorre pensare che in futuro “con le tecnologie cambierà tantissimo in un settore che è totalmente basato sulle informazioni”. Grillo auspiaca una “maggiore efficienza attraverso un confronto serrato tra prestazioni ottenute dai diversi presidi ed il costante trasferimento delle prassi organizzative migliori ai contesti in maggiore sofferenza”.

Sul Corriere Lucrezia Reichlin ricorda le parole di Draghi che qualche giorno fa ha detto che nonostante la ripresa l’economia della zona euro “rimane vulnerabile” e che per questo non ha escluso ulteriori “misure straordinarie”. Al di là dell’immediato effetto annuncio di quelle dichiarazioni, scrive la Reichlin, occorre soffermarsi sulla preoccupazione, sul quadro “non catastrofico ma preoccupante”, sulf fatto che “nonostante anni di iniezione di liquidità e di politiche monetarie aggressive il mondo stenta a ripartire” e sulla “verità” che “una ricetta per riportare le economie a crescere ai tassi del decennio prima della crisi non ce l’ha nessuno”. Sicuramente serve che anche i governi i tengano pronti ad “iniziative altrettanto decise”, perché altrimenti “ci troveremmo di fronte non solo a un insuccesso economico ma anche a una crisi della legittimità democratica, con istituzioni guidate da manager non eletti protagoniste loro malgrado della politica economica”.

Sul Corriere si parla del “fronte” aperto per l’Agenzia delle Entrate per la vicenda che riguarda oltre 800 dirigenti “degradati” al rango di semplici funzionari a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittime le loro promozioni, arrivate senza concorso e per procedure interne. “La metà di loro, circa 400, è venuta allo scoperto opponendosi a quella decisione. E lo ha fatto citando in giudizio davanti al tribunale civile di Roma la presidenza del Consiglio dei ministri e lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. Chiedono due cose i ricorrenti. Il riconoscimento dello status di dirigente a tempo indeterminato. Oppure il risarcimento dei danni subiti dopo la loro ‘retrocessione’”. Il governo in particolare viene chiamato in causa per non aver rispettato una direttiva europea che vieta i contratti a termine per oltre 36 mesi. “Gli 800 dirigenti retrocessi avevano tutti un incarico a termine. Che però, in quasi tutti i casi, è stato rinnovato o prorogato, arrivando anche a periodi di oltre dieci anni consecutivi. Non è un caso che oltre la metà dei ricorrenti si sia rivolta allo studio legale Mascolo, lo stesso che ha seguito la vicenda dei precari della scuola”.

Polonia

Su La Repubblica, alle pagine 10 e 11, la corrispondenza di Andra Tarquini da Varsavia: “Varsavia gela l’Europa, trionfa la destra anti-Ue. Il ritorno di Kaczynski: ‘Governiamo da soli’”, “Gli ultraconservatori quasi al 40% avrebbero la maggioranza assoluta. Beata zydlo vince la sfida tra donne: la premier Ewa Kopacz ammette la sconfitta”.

E in un’intervista, il consigliere del Capo dello Stato polacco Duda, nazionalconservatore, Marek Magierowski, dice: “Decide tutto la Merkel, l’Ue non va”, “La cosa più importante pè definire i limiti dove l’Europa deve fermarsi nella sua costruzione federale. E’ il problema principale, lo vediamo con i migranti. Duda lo ha detto più volte: ci sono limiti alla nostra generosità. Abbiamo obblighi da cristiani ed europei, ma non possiamo aiutare tutti”. Intese possibili con Orbàn, il primo ministro ungherese? “Situazione difficile perché è filorusso: a Varsavia Kaczynski suo vecchio amico non lo ha ricevuto”.

La Stampa, con l’inviata a Varsavia Monica Perosino: “La destra anti Europa a valanga in Polonia”. Dove si sottolinea che “ha pagato la campagna sugli ‘immigrati portatori di malattie’ contro lo ‘strapotere di Bruxelles’”. Gran parte dell’elettorato, scrive Perosino, stufo dopo otto anni di governo di Po (Piattaforma civica, il partito dell’ex premier Donald Tusk), cui rimproverava di non aver ridistribuito ai cittadini i benefici del boom economico e di aver lasciato indietro le fasce più deboli, ha deciso di virare a destra e lasciarsi sedurre dalle promesse del Pis (il partito di Kaczynski) che difende l’importanza del ruolo dei cattolici e dei valori patriottici, rilancia la crescita attraverso gli investimenti statali e vuole sottrarre il Paese allo strapotere di Bruxelles e alle sue direttive considerate anti-polacche come quelle energetiche.

Il Corriere: “La Polonia ai nazionalisti anti-Ue. Dove si legge che – con la vittoria della candidata Beata Sydlo – “stravince Jaroslav Kacynski, l’uomo anti-Ue che si ispira alla Ungeria di Orban” e “vuole fare di Varsavia una nuova Budapest”. I numeri sarebbero schiaccianti, tanto che il partito vincitore PiS non ha bisogno di allenza per formare il governo. La Polonia, con una crescita economica ininterrotta anni e un disoccupazione sotto il 10 per cento, hanno pesato “scandali e corruzione”. “La destra vince promettendo assegni familiari, età pensionabile più bassa, assistenza sanitaria gratuita per gli over 75, tasse alle multinazionali, agevolazioni alle imprese che usano tecnologia polacca”. Unica sorpresa del voto il 9 per cento conquistato da Pawel Kukiz “il Beppe Grillo polacco”, che dice che il suo non è un partito e che si propone di “sbugiardare il miracolo economico polacco”.

Il Giornale: “Trionfa la destra antieuropeista. A casa i liberali filo-Bruxelles”.

Sul Corriere Maria Serena Natale scrive che stavolta i partiti si sinistra si erano presentati uniti “sotto la leadership della quarantenne Barbara Nowacka. Non ce l’hanno fatta né ce l’ha fatta il 36enne Adrian Zandberg guardato a vista come la giovane promessa della politica polacca”, “nuova generazione che sogna una sinistra senza complessi” ma “aspetta la prossima occasione”.

Sul Corriere una intervista al regista polacco Kristof Zanussi. Dice che conosce Kaczynsky, “è un uomo abile e intelligente anche se non ha grandi visioni del futuro”, “io speravo fosse obbligato a fare una coalizione”. Nega che abbia vinto il “modello Orban, non è che Orban piaccia tanto ai polacchi”. Lui ha votato “per chi ha perso, sognavo un parlamento equilibrato, ho paura dello strapotere di un partito. La nostra democrazia è ancora molto giovane”. Dice che i valori di Solidarnosc ci sono ancora. “E poi la solidarietà va bene ma stiamo ancora aspettando quella dei musulmani. E’ molto più naturale che i siriani li accolgano i sauditi o gli Emitati, no?”.

Argentina

Sul Giornale spazio anche per presidenziali argentine. Al primo turno è in vantaggio il candidato Scioli, il candidato della presidenta Kirchner. Ma si dovrà andare al ballottaggio e Scioli dovrà vedersela con Maurizio Macrì, “candidato del centrodestra”, “uomo amato dalla borghesia di Buenos Aires”, espressione della coalizione “Cambiemos”.

Sul Corriere Rocco Cotroneo: “L’Argentina (dopo i Kirchner)”. Dove ci si chiede se dopo 12 anni di presidenza dei Kirchner ci sarà una “vera svolta”. Dove si legge che “Scioli è rimasto vago” sulla eredità del passato “ammettendo che dovrà smussare alcuni eccessi di Cristina ma poi ieri è andato a prendersi gli stessi voti nella provincia di Buenos Aires, quelli clientelari, frutto di scambi, comprati con pacchi di pasta promesse e minacce tra la grande classe medio-bassa”.

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