Nel ricordo di Franco Tatò, il manager colto che spingeva l’Italia a rinnovarsi

È scomparso poche settimane dopo aver festeggiato i suoi 90 anni Franco Tatò, manager e uomo di cultura, che ha avuto ruoli rilevanti al vertice di grandi imprese, da Olivetti a Fininvest, da Mondadori a Enel, e più recentemente alla guida della Enciclopedia Treccani. Aveva studiato filosofia al Collegio Ghislieri, laureandosi con una tesi su Max Weber, perfezionando poi gli studi a Harvard. Qui a Reset manteniamo caro il ricordo della sua collaborazione, negli anni in cui la rivista usciva nelle edicole, e vogliamo rinnovare la sua memoria ripubblicando uno dei suoi articoli, che uscì su Reset nel numero 88, Marzo-Aprile 2005.

 

Un titolo indovinato, Il complotto di Matusalemme, un autore, Frank Schirrmacher, noto e stimato come responsabile editoriale delle pagine culturali della «Frankfurter Allgemeine», succeduto giovanissimo al più noto critico letterario della Germania del dopoguerra Marcel Reich-Ranicky, un tema stimolante e attuale come l’invecchiamento della popolazione, ed ecco un bestseller che occupa i primi posti della classifica dello «Spiegel» da quasi un anno.

Franco Tatò

Franco Tatò (foto di Wikimedia Commons/InterlanguageMO)

«Chi legge i grafici con i quali l’Ufficio Federale di Statistica rappresenta l’invecchiamento e lo sviluppo della popolazione della nostra società sa che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione. E chi capisce che come essere umano oggi in vita è lui stesso parte di queste colonne e bacchette, comprende pure che questa rivoluzione riguarda proprio lui». Ed è vero perché la rappresentazione quantitativa del fenomeno è indiscutibile: siamo di fronte ad un progressivo invecchiamento della popolazione mondiale.

Gli ultrasessantenni passeranno dai 606 milioni del 2000 ai quasi due miliardi nel 2050 cioè più che triplicheranno a fronte di un incremento della metà del totale della popolazione. A questo fenomeno contribuiscono più fattori, in particolare l’allungamento dell’aspettativa di vita, ma anche il fatto che nascono meno bambini e nascono meno donne. Il fenomeno è macroscopico nei paesi industrializzati dove a fronte dei 2,1 bambini per donna necessari al mantenimento dell’equilibrio della popolazione, ne nascono solo 1,4. La vera svolta è prevista per il 2010, quando andranno in pensione le prime falangi delle generazioni nate tra il 1950 e il 1964, i cosiddetti babyboomer, un gruppo al quale appartiene l’autore del libro. Allo stato attuale delle conoscenze, nel 2050 la popolazione tedesca sarà diminuita di circa 17 milioni e la metà avrà più di 51 anni, il 28,4 per cento più di 65 anni (in Italia saranno il 54,95 per cento). Questo senza ipotizzare guerre, aumenti sproporzionati dell’immigrazione, nuovi progressi della medicina. È facile pensare a quali saranno le conseguenze sulla capacità della società di far fronte alla spesa pensionistica, sull’ammontare della spesa sanitaria, sul rapporto tra le generazioni, sui consumi di beni e servizi. Le stesse cifre sono esposte anche con maggior verve e ordine nel libro di Francis Fukuyama L’uomo oltre l’uomo, dove però servono a riflettere sulle conseguenze dello sviluppo delle biotecnologie sull’uomo prima che sulla società. Nel libro di Schirrmacher, fatta la giusta considerazione che le previsioni demoscopiche sono molto più certe di quelle economiche, si sviluppa una fenomenologia della vecchiaia nella società attuale e in quella futura, con la quale è difficile dissentire, ma che rimane appunto una fenomenologia, alle cui indesiderabili conseguenze si pensa appunto di reagire con un generico «complotto».

 

Una disattenzione inquietante

In realtà i problemi che il libro affronta, o meglio prospetta, sono abbastanza semplici
da capire e quindi ancor più terrificanti: la cosa stupefacente è che se ne parli così poco. Basta guardare i numeri, con i quali è difficile essere in disaccordo, per rendersi conto dei rischi terribili che le nostre società dovranno affrontare e dell’equilibrio precario nel quale viviamo. Il nostro futuro, il futuro dei paesi occidentali in generale, e di quelli europei in particolare, sarà caratterizzato da una diminuzione della popolazione autoctona e da un aumento del numero di anziani in proporzione al totale della popolazione. L’immigrazione dai paesi extraeuropei, e di cultura completamente diversa, sarà tale da stravolgere i rapporti sociali oggi esistenti, ma non sufficiente per mantenere il rapporto giovani/anziani necessario al finanziamento dei sistemi previdenziali oggi a noi conosciuti. Un altro cambiamento importante è dato dalla diminuzione della natalità.

Ci troveremo infatti, nemmeno tra moltissimi anni, di fronte ad una società dove prevarranno i rapporti verticali, cioè saranno presenti contemporaneamente quattro o cinque generazioni, e diminuiranno i rapporti orizzontali, cioè il numero di cugini, il numero di zii, il numero di fratelli e così via: una situazione senza precedenti storici. Le conseguenze economiche ovvie sono le difficoltà di finanziare i sistemi di pensionamento, essendo il numero dei lavoratori inferiore al numero dei pensionati, e l’aumento del costo dell’assistenza sanitaria. Ora, all’ovvia considerazione che già oggi i sistemi sanitari sono considerati carissimi, si aggiungerà l’aumento della popolazione anziana, che per sua natura richiede più assistenza, e questo provocherà un’esplosione inarrestabile dei costi a meno di non fare qualcosa di veramente rivoluzionario.

È sorprendente come questi problemi, che aprono prospettive angoscianti per il mondo nel quale vivranno i nostri figli e i nostri nipoti, vengano affrontati in una prospettiva di breve periodo, come problemi amministrativi che necessitano di una soluzione tecnica. È preoccupante constatare che ciò che, con ragionevole certezza, si verificherà tra una ventina di anni, e che oggi è già in parte osservabile in Stati come la Florida, non sia oggetto di dibattito politico e di proposte concrete. Schirrmacher, oltre a tentare una descrizione degli aspetti problematici della nuova società, espone le ragioni plausibili, non solo dal suo punto di vista, per cui si deve avere il coraggio di vivere, si deve avere il coraggio di invecchiare per vivere il più a lungo possibile, di là di quello che può essere considerato il periodo biologicamente e socialmente utile, periodi che nel passato tendevano a coincidere, e che oggi sempre più si divaricano. La domanda terribile è quanto e come abbia diritto di vivere chi è divenuto socialmente inutile: la risposta verrà data nei fatti da una società completamente diversa da quella che conosciamo e, probabilmente, con valor diversi che oggi riesce difficile immaginare o non si ha il coraggio di immaginare.

 

Alcune proposte

Questo tema pone alcune side alle quali il libro in questione non risponde, ma non lo
ritengo un difetto, anzi penso che questo libro può stimolare proposte e idee che aiutino a migliorare le prospettive di vita per gli individui e per la società. Così ad esempio, provocatoriamente, si potrebbero lanciare alcuni temi di riflessione in materia di sistemi pensionistici, che vadano al di là del dibattito oggi in atto, dibattito che pare volutamente evitare i veri problemi di fondo. Così, ad esempio, si potrebbe cercare di rispondere razionalmente a una domanda molto semplice: perché le donne che hanno un’aspettativa di vita più lunga degli uomini smettono di lavorare cinque o più anni prima? Perché il sistema pensionistico non viene unificato e continuano a coesistere casse di previdenza diverse con contributi diversi e spesso situazioni economiche disastrose?

Una proposta altrettanto semplice potrebbe essere questa: lo Stato garantisce a tutti, con criteri di contribuzione uguali, una pensione di un importo massimo equivalente al massimale contributivo, anch’esso uguale per tutti. Al di sopra di questo massimale non si pagano contributi, né da parte dei lavoratori, né da parte dei datori di lavoro, alla cassa di previdenza statale, ma si è liberi di scegliere un fondo di pensione integrativa. Questo sistema può essere calcolato in modo da sostenersi economicamente con il sistema contributivo. La possibilità di investire in fondi pensione, che a questo punto devono nascere analogamente a quanto avviene nel Paesi anglosassoni, può creare un vera rivoluzione nelle attività economiche. Il vantaggio di questa prospettiva è che lo Stato, che considera i cittadini tutti uguali, indipendentemente dal loro reddito e si comporta di conseguenza, riduce la spesa previdenziale. I cittadini, a loro volta, si differenziano autonomamente in base alle loro capacità di reddito e si procurano situazioni migliorative attraverso un contributo individuale, totalmente a loro carico: se il datore di lavoro vorrà contribuire, ovviamente potrà farlo, ma non potrà poi lamentarsi dell’onerosità dei contributi.

Credo che se si ricalcolassero i contributi e le erogazioni con criteri simili a quelli descritti, molti problemi apparirebbero amministrativamente più semplici, anche se forse politicamente più complessi. Sono convinto che i rischi che ci troveremo ad affrontare nei prossimi venti anni, ci costringeranno a soluzioni tanto traumatiche quanto più tardive. Capisco che il sindacato si opponga a queste idee, capisco che le varie corporazioni resistano all’unificazione dei contributi, ovviamente al livello più alto data la situazione dei fondi, ma ritengo anche che più tardi si arriverà a quella che sembra essere l’unica soluzione possibile, più costoso sarà il venirne fuori.

 

Età pensionabile, un paradosso

Un altro tema direttamente collegato a questi è quello dell’età pensionabile. Proprio perché l’allungamento delle aspettative di vita e il fatto che oggi si invecchia in situazioni fisiche e mentali decisamente migliori di quanto non avvenisse in passato, è abbastanza paradossale che l’età pensionabile rimanga ai livelli stabiliti molti anni fa e anticipati con molti espedienti. Le conseguenze sono state disastrose, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale. Da un lato si è pensato che accelerando i pensionamenti si creasse spazio per l’occupazione dei giovani, dall’altro il pensionamento e il prepensionamento sono considerati quasi l’unico modo per alleggerire le aziende del personale superfluo. Anche molti lavoratori sperano nella pensione, ma non per smettere di lavorare, bensì per garantirsi una situazione previdenziale e diventare competitivi sul mercato del lavoro nero. Mi piacerebbe capire con quali artefici finanziari 35 anni di modesti contributi, di fronte a una prospettiva di vita media che tende agli 85, si possa pagare una pensione decente per oltre quaranta anni. Non sarà facile guarire da queste forme di avvelenamento sociale e ristabilire rapporti normali, nei quali chi si sente di lavorare possa continuare a farlo anche per soddisfazione personale, perché il lavoro non è soltanto fonte di reddito, ma anche realizzazione individuale e gratificazione e tenderà ad esserlo sempre di più. Sarebbe importante, per esempio, stabilire una zona grigia, tra i 65 e i 70 anni o tra i 68 e i 72, nella quale si possa scegliere, senza grandissime conseguenze economiche, l’età dell’effettivo ritiro dall’attività lavorativa a tempo pieno.

La nostra società si sta evolvendo e sempre più si distanzierà da quella che noi conosciamo tradizionalmente come società industriale, ed è quindi probabile che si debbano prevedere nuove e diverse forme di contributo alla creazione del valore per la comunità. Nei paesi industrializzati è già avvenuta la prima grande trasformazione, cioè la riduzione delle persone impiegate in agricoltura e l’aumento delle persone impiegate nell’industria; ora è in corso la trasformazione degli impieghi industriali in attività di servizio. Il fenomeno della delocalizzazione accelera il processo e innesca la trasformazione nei paesi verso i quali si spostano le attività. Il fenomeno è più complesso del semplice spostamento di attività ad alto contenuto manuale: presto in questi paesi si potranno produrre prodotti sempre più complessi, sfruttando i cambiamenti strutturali nei prodotti e la maggiore facilità nell’acquisizione delle tecnologie. La miniaturizzazione non ha conseguenze solo nell’utilizzo dei prodotti, ma anche nelle tecniche con le quali essi vengono fabbricati.

La domanda spontanea è che come verranno destinate le risorse che verranno liberate dalla trasformazione dell’economia da manifatturiera a economia di servizi. È chiaro che si dovrà provvedere a grandi investimenti per aiutare le persone ad adattarsi ai nuovi tipi di lavoro che verranno offerti, e che in parte saranno a reddito inferiore a meno di non poter aumentare il contenuto di conoscenza. Sicuramente aumenterà la richiesta per lavori altamente qualificati, innovativi, lavori che non conosciamo ancora. Forse è una presunzione utopistica, ma non è escluso che le attività culturali, le attività artistiche, diventino componenti essenziali del processo di creazione del valore. Ma non saranno attività impiegatizie, attività da posto fisso, pur essendo componenti essenziali del funzionamento della società nel futuro, e potranno essere svolte sia da giovani che da anziani.

Ciò che è certo è che gli anziani saranno molto diversi dalle figure di nonnetti vegliardi propagandate oggi da una società giovanilistica, che non osa mostrarli in televisione se non in ruoli caratteristici. Uno dei grandi temi del futuro potrebbe proprio essere la valorizzazione del contributo degli anziani. Internet non è soltanto un modo di acquisire e diffondere la conoscenza, accelerare le comunicazioni e i processi decisionali: la rete può essere anche un modo perché gli anziani contribuiscano alle attività generatrici di valore. In sintesi si dovrà passare dal lavorare meno, lavorare tutti per il minor tempo possibile, al lavoro che crea lavoro per il più lungo tempo possibile. Credo che Schirrmacher possa essere d’accordo con queste conclusioni.

 

Una sanità più efficiente

Una riflessione addizionale merita il sistema sanitario. Quasi quotidianamente veniamo confrontati con visioni avveniristiche della possibilità che la medicina ci aiuti a raggiungere la vita eterna. Terapie impensabili solo qualche anno fa aumentano sicuramente la nostra possibilità di vivere e di vivere bene, di vivere sempre meglio. Tutti noi siamo al corrente dei grandi progressi della chirurgia, della possibilità della chirurgia robotica, delle possibilità che saranno offerte dalle cellule staminali, dalle possibilità di guarigione collegate allo sviluppo delle biotecnologie, e così via. C’è un piccolo particolare: questo sistema continua ad essere eccezionalmente costoso. Anzi, si può dire che nella medicina si realizza un paradosso: a fronte di investimenti decisamente importanti, che dovrebbero portare ad una riduzione dei costi come avviene in qualunque impresa, i costi anziché diminuire aumentano. Probabilmente questo tema è stato studiato a fondo, ma i risultati degli studi non sono stati tradotti in cambiamenti nella struttura dell’attività medica e ospedaliera.

Quello che avviene di fatto, per esempio in Italia, è quasi paradossale. Da un lato abbiamo numerosi centri di trapianto cardiaco assolutamente avveniristici, dall’altro per le prestazioni più semplici dobbiamo pagare i ticket, metterci in coda per fare un prelievo di sangue in un posto stranissimo, perdendo mezza giornata di lavoro, tornare a prendere i risultati, e così via. Se abbiamo bisogno di una ecografia dobbiamo andare in un centro specializzato e perdere un’altra mezza giornata. Il nostro medico curante quello del servizio sanitario nazionale, è un burocrate che firma le impegnative, che lavora solo qualche ora al giorno, e che nella maggioranza dei casi neppure ci visita ma, come un vigile urbano, dirotta i nostri problemi agli ospedali o agli specialisti. Se si doveva pensare un sistema per impiegare molte persone per far perdere tempo ad altre, ebbene lo abbiamo realizzato.

Questo, per esempio, non avviene in Germania o in Inghilterra, dove il medico curante effettua direttamente i prelievi, provvede a far fare le analisi e comunica i risultati, visita il paziente e, se non è necessario un intervento specialistico importante, tutto si conclude nel giro, al massimo, di un’ora. Il medico curante è anche in grado di effettuare un’ecografia, di leggerla, di valutarne i risultati ed è collegato in rete con altri specialisti ai quali può chiedere un parere nel caso abbia dei dubbi. Ecco, pensiamo solo a questo, a quanto possa far risparmiare in termini di tempo e di efficienza soltanto il cambiamento delle procedure di interfaccia con il cittadino, cioè quali enormi risparmi di tempo e anche di medicine e interventi di tutti i generi si potrebbero ottenere facendo fare ai medici di base i medici e non gli impiegati amministrativi.

Si potrebbe continuare su questa linea trovando altre idee di riforme, in un certo senso, a costo zero, anche se queste sembrano essere le più difficili da realizzare. Per esempio un capitolo assolutamente essenziale potrebbe essere quello dell’istruzione,
capitolo che merita una trattazione approfondita perché esso rappresenta forse la condizione essenziale perché tutte le altre cose possano avvenire. Infatti la società
della conoscenza presuppone una società dell’apprendimento, perché non si apprende solo a scuola. Basta riflettere che, per essere competitivi nella economia della conoscenza, è necessaria una società fortemente meritocratica per rendersi conto della rivoluzione che ci aspetta. Si può concludere dicendo che «il complotto di Matusalemme» potrebbe essere una cosa veramente positiva se non si sviluppasse
solo a vantaggio di Matusalemme, ma prevedendo una lunga vita felice, si preoccupasse fin da ora anche della vita dei nostri figli e dei nostri nipoti.

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