L’asse ideale Mattarella-Bergoglio per rimettere al centro il popolo ucraino

Dal Quirinale al Vaticano il rilancio di Helsinki per uscire dal tragico stallo

C’è un appello formulato da papa Francesco all’inizio della tragica invasione dell’Ucraina che pochi ricordano e che invece sembra riguardarci tutti: tornare alla diplomazia e, aggiunse a braccio, al “buon senso”. Oggi forse dobbiamo cercare le ragioni per cui il buon senso non si trova in molti campi, che definiscono i prevalenti “opposti estremismi”. Questi opposti estremismi si caratterizzano per la necessità di indicare un “male assoluto”, un “nemico esistenziale”.

Il termine “esistenziale” in merito a questo conflitto lo ha usato per primo il patriarca di Mosca, Kirill: oggi chi vuole “eliminare Putin” piuttosto che difendere l’Ucraina ricorre a un linguaggio simile, ne fa l’altro male assoluto. Il dato interessante è che Kirill con il suo discorso contro l’Occidente ha dato voce a tre diversissimi sentimenti diffusi nel mondo occidentale. Sono tre rabbie radicali e che convergono in diverse forme in una inconfessata adesione al putinismo.

La prima rabbia è quella della vetero-sinistra radicale, che attribuisce tutti i mali all’imperialismo a stelle e strisce, auspica un guerriero contro il “male assoluto” americano e confida nel vecchio adagio: “il nemico del mio nemico è mio amico”. Questo “sentimento” è più passionale che razionale, ma permane in odio all’America delle bombe, della Nato, dei golpe.

La seconda rabbia è quella della vetero-destra radicale, che vede una Mosca più reale, la Mosca del “legge e ordine”, del “Dio, patria e famiglia”, cioè di tutto quello che non ha mai visto nel modello culturale incarnato dagli Stati Uniti, dalla società aperta, e che quindi conferma la sua vecchia scelta: mai con l’America delle libertà disgregatrici.

La terza è quella del cattolicesimo integralista, anti-conciliare, che vede in Mosca la capitale di un impero centralista e autocratico che sostituisce al vecchio ateismo di Stato il nuovo fondamentalismo di Stato: un fondamentalismo anti islamico, anti gay, magari anti-divorzio, opposto a quell’America patria dei diritti civili, del superamento del sistema patriarcale, e ne è affascinata. Questo cattolicesimo integralista è diffuso e spera di poter usare questo nuovo statalismo fondamentalista contro l’attuale pontefice. Il cattolicesimo terzomondista si è ritrovato con sua sorpresa vicino a questi ambienti ad esso opposti.

Queste tre componenti sono confluite in un ircocervo tenuto insieme solo dall’avversione per gli Stati Uniti e riescono a unirsi nel no al “nemico maggiore”, dimenticando spesso e volentieri l’Ucraina. Così è mancata l’empatia con il popolo ucraino. Tutti sappiamo del battaglione Azov, ma poco sentiamo parlare delle altre componenti sociali, politiche, religiose e culturali di un popolo di 40 milioni di abitanti. Perché? Per mancanza di empatia… Questi ambienti profondi hanno prodotto il “no alle armi”, ma riuscendo raramente a dire che lo stesso “no” vale anche per l’aggressore. Così il no alla guerra è parso trasformarsi in un arrendismo – altrui – che, rifiutando il binomio “legittima difesa per equo negoziato”, ha rafforzato l’altro estremismo, che vuole trasformare la difesa in offesa. L’obiettivo di questo estremismo di segno opposto non è difendere l’Ucraina, ma sfidare l’uomo forte del Cremlino, arrivare a quel regime change che starebbe però ai russi determinare (o per altri aspetti ai tribunali internazionali).

Questi opposti estremismi, che hanno lungamente taciuto con silenzi molto simili sulle precedenti guerre imperiali del Cremlino, trovano vicendevole conforto e legittimazione. Mosca non viene capita dai bellicisti nella sua necessità di costruire un futuro che la emancipi dalle umiliazioni del passato, Washington non viene capita dai pacifisti nella sua duplice natura di casa del bene e del male. Mosca non è la capitale di alcuna Santa Russia né di un immodificabile Impero del Male, Washington non è la capitale di una nazione benedetta da Dio, né però maledetta. E soprattutto, il vero problema di oggi sono 40 milioni di persone che hanno diritto alla loro storia, ai quali gli opposti estremismi non hanno molto da dire. Le prime tre tendenze li dimenticano per motivi ideologici, la seconda è presa da agende imperiali, o di potenza.

La sola posizione che può portarci fuori dagli opposti estremismi è quella di chi ha invocato il citato ritorno al buon senso. È evidente però che i campi più ostili al sostegno militare all’Ucraina l’hanno privata di uno strumento di penetrazione nella cultura dell’Occidente. Se Francesco è chiaramente impegnato nella costruzione di una Chiesa non più occidentalista, ma globale, non pensa certo a una Chiesa anti-occidentale. Richiede invece un Occidente, e per quanto ci riguarda un’opinione europea, consapevole di sé, dei propri valori e del senso dell’Europa, anche per favorire analoghe consapevolezze e crescite nelle altre aree del mondo e costruire così la globalizzazione poliedrica. Questa consapevolezza che rafforza e aiuta la sfida di dar vita alla visione globale che serve a una Chiesa davvero globale si può ritenere espressa, sul versante europeo, da Sergio Mattarella.

Nel suo discorso al Consiglio d’Europa, ripubblicato su Reset, il Presidente della Repubblica ha detto alcune cose che spiegano benissimo quale impostazione può salvarci dagli opposti estremismi e ridare vigore a quel multilateralismo che è l’anima della globalizzazione poliedrica di cui parla da anni Francesco.

Il suo discorso infatti appare riassumibile in tre punti: difesa dei valori, cooperazione e non spartizione, soluzione negoziale e multilaterale. Ecco allora un’agenda davvero pacificatrice nel discorso del Presidente, un’agenda che costruisce la pace, non che la riconosce in un qualsiasi contesto purché privo di sparatorie.

Si parte dal punto sui valori: «Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli. Si tratta di princìpi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi. La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni. Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace. Un grande intellettuale, Paul Valéry – passato attraverso le due guerre mondiali – richiamava i concittadini europei a prendere coscienza di vivere in un mondo “finito”. “Non c’è più terra libera” – scriveva – nessun lembo del globo è più da scoprire».

Questa eccezionale citazione seppellisce l’idea di neo-colonialismi e spalanca la porta al multilateralismo indispensabile anche agli occhi di quegli Stati Uniti che non lo accettano a volte neanche lì dove lo invocano: «Sembrano giungere a questa conclusione anche quei Paesi che, pur avendo rifiutato sin qui di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ne invocano, invece, oggi, l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina, riconoscendo in tal modo il ruolo necessario di quella Corte. Se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita. Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vanno prese in seria considerazione».

Il punto di arrivo non poteva che essere quello più importante per chiunque voglia davvero il multipolarismo, e quindi anche per il Vaticano: Helsinki, cioè il luogo e iniziativa fondante dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di cui il cardinale Achille Silvestrini fu uno dei principali architetti. Il 1° agosto del 1975 a Helsinki i 35 Stati partecipanti alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Csce, siglavano l’Atto finale, ancora oggi importante acquisizione della diplomazia internazionale. «Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone. Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate. La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli. Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace».

Se in queste ore qualcuno cerca il modo per sconfiggere ogni manicheismo bellicista, le opposte guerre metafisiche, il discorso del Presidente Mattarella ne è la migliore espressione.

 

Foto: Tiziana Fabi / AFP.

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