Una lezione pluralista dagli imperi
per il nazionalismo di Putin

Pieter Judson, nato in Olanda e formato in America, attualmente in cattedra per la storia otto-novecentesca all’Istituto europeo di Firenze è l’autore de L’Impero asburgico. Una nuova storia, tradotto in dodici lingue (in italiano per Keller, 720 pagine).

Questa storia dell’Impero asburgico di Judson comincia da una pagina sanguinosa in una cittadina della Galizia, Drohobych, oggi Ucraina, dove nel 1911 le autorità locali spararono contro una folla variegata socialmente e linguisticamente che desiderava partecipare alle elezioni politiche dell’Impero per il Parlamento di Vienna. Qualcuno perse la vita in questo e altri villaggi dell’Austria-Ungheria perché avevano fiducia nelle istituzioni imperiali in loro difesa contro nobiltà e potentati locali. La fiducia nell’Impero è un’idea che rovescia la tradizionale immagine della “prigione dei popoli” (propria anche della tradizione risorgimentale italiana). Ora abbiamo in corso una guerra tra la Federazione russa che si porta dietro eredità imperiali sovietiche e zariste. L’Ucraina era la Rutenia o Galizia dell’impero asburgico. Quel che accadeva in queste zone – buona amministrazione, stato di diritto, scuole e università dove si parlava anche latino o si dividevano le lingue tra polacco e ucraino – era uno dei test del pluralismo etnico e culturale dell’impero. E rafforza la tesi che gli imperi sono generalmente pluralisti, multiculturali, mentre gli stati nazionali che seguono vogliono in generale l’uniformità, sono spesso più intolleranti e tendono a reprimere o addirittura liquidare le differenze. Ma la tentazione di schiacciare le minoranze e le differenze, come sappiamo attraversa anche le democrazie.

Chiediamo a Pieter Judson di verificare con noi quanto sia valida questa specie di regola: imperi multiculturali e stati e democrazie nazionali omogenee con rischio intolleranza.

Mi colpisce che lei contrapponga l’impero alla democrazia e non l’impero allo Stato nazionale. Perché qui il problema sta nel fatto di fare della nazione il principio organizzativo dello Stato. E sappiamo che molti Stati nazionali non sono democrazie, così come anche la maggior parte degli imperi, ovviamente, non sono democrazie. Quindi sarei cauto su questo punto. Non direi che la democrazia produce necessariamente questo tipo di politica anti-minoranza.

Sì, lo sappiamo che lo Stato nazionale, soprattutto se nelle mani di capi autoritari, può essere oppressivo per le minoranze, ma sappiamo anche che proprio le democrazie in quanto tali sviluppano la tentazione di essere intolleranti verso le minoranze. Se ne accorse già Tocqueville nell’America del 1830. Lo vediamo tuttora nei fatti, in India per esempio, in modo clamoroso, con maggioranza induista che riscrive persino la storia contro la minoranza musulmana, ma anche negli ultimi decenni di populismo in Europa. La sensazione di essere una maggioranza sta offrendo carburante ai politici e ai sostenitori della paura contro i diversi, gli immigrati, il multiculturalismo che è nei fatti: Amiamo la democrazia ma ha questo vizio da mettere sotto controllo.

Dobbiamo distinguere bene tra la parola nazione e la parola Stato. L’invasione dell’Ucraina da parte di quello che possiamo definire l’Impero russo è l’invasione di uno Stato sovrano da parte di un altro Stato. I leader russi si sforzano di rappresentare le cose in termini di nazione e dicono che non esiste una nazione ucraina o che la nazione ucraina è una parte della nazione russa, così usano una giustificazione nazionalista per fare una politica imperialista. Qui vediamo la commistione tra le azioni di un impero e quelle di uno Stato nazionale. Se pensiamo all’esperienza asburgica sul territorio ucraino scopriamo che i primi partiti politici ucraini legali erano sorti sotto gli Asburgo. Lì c’è stato un inizio della formazione politica. Quell’Impero aveva reso possibile la convivenza di Chiesa cattolica e greco-cattolica attraverso lo sviluppo delle scuole uniate già nel XVIII secolo. Un buon tentativo, certo era molto difficile gestire le differenze tra il nazionalismo polacco e quello ucraino. Ma c’era spazio all’università per gli studi ucraini e nel 1914 ci fu un compromesso per creare un’università ucraina nella città che oggi è Leopoli. È vero dunque che l’esperienza politica della storia ucraina ha radici nell’Impero asburgico e che l’idea dell’Ucraina come nazione separata e legittima si affaccia in quell’epoca. Penso che in tempo di guerra, se uno Stato invade un altro Stato, l’uso del nazionalismo per difendere lo Stato aggredito è perfettamente legittimo. Ma l’uso del nazionalismo da parte del regime aggressore non lo è altrettanto.

È un’azione nazionalista da parte di un impero: la Russia si comporta come un impero, ma in questa guerra usa un’ideologia nazionalista, che mescola nazionalismo e imperialismo. Qui ci dobbiamo chiedere se ci sia una regola secondo la quale gli imperi sono multiculturali e se la Russia rappresenti un’eccezione a questa regola.

La risposta è problematica per entrambe le domande, perché molti Stati nazionali si comportano comunque come imperi e molti imperi hanno talvolta cercato di comportarsi come Stati nazionali. Prendiamo l’esempio dell’Italia alla fine della Prima guerra mondiale. Questo è uno Stato nazionale, che si definisce nazione, ma che vuole anche conquistare territori abitati da altri popoli, non di lingua italiana, o dove ci sono minoranze italiane, come in Istria o in Dalmazia o, ancora, in Alto Adige. Il che significa che in diverse situazioni lo Stato usa diversi modi e argomenti per raggiungere un obiettivo imperiale, ma spesso usando un argomento nazionalista. In realtà direi che quasi tutte le società, quasi tutti gli Stati sono multiculturali. È difficile trovarne uno di cui si possa dire che è davvero omogeneo e di un solo gruppo etnico. Quindi ci sarà sempre il pericolo dell’oppressione delle minoranze.

Ma l’Impero di Mussolini era puro colonialismo e l’ispirazione imperiale alle glorie dell’antica Roma era una copertura propagandistica. Non ci sono differenze importanti tra i due concetti? È vero che ci sono intellettuali come Timothy Snyder che sostengono che la guerra russa contro l’Ucraina è di tipo coloniale.

Non c’è una risposta semplice. Torniamo a Mussolini solo per un momento. Guardiamo al trattamento delle colonie africane in modo diverso da come guarderemmo al trattamento dell’Albania o di parti di quella che oggi è la Croazia o la Slovenia? È una domanda aperta. Penso che sia importante vedere queste cose in un unico contesto. Quindi, in un certo senso, sarebbe possibile vedere la guerra ucraina come una guerra coloniale.

In che categoria mettiamo l’Holodomur, il trattamento che Stalim riservò agli ucraini?

È stato definito genocidio e io credo che si tratti di una forma di nazionalismo portato all’estremo, un estremo che quasi non si riesce a immaginare nelle nostre società, e che cerca di imporre una identità alle persone con mezzi tecnici che hanno potuto essere usati solo nel XX secolo.

Qui il confronto con l’impero asburgico è davvero impari e quasi offensivo, di fronte ai crimini di Stalin. Tuttavia abbiamo imparato che per i patrioti italiani esso era “la prigione dei popoli” e che le rivoluzioni del 1848 a Milano come a Budapest erano prova di un nazionalismo liberale, che avrebbe alla fine prevalso

Ho una visione molto diversa delle rivoluzioni del 1848 e del loro significato e anche degli uomini e delle donne coinvolti. Era, sì, nazionalismo liberale ma non necessariamente opposto all’esistenza dell’impero. I gruppi che si battevano per cause nazionaliste non volevano tutti vedere la fine dell’impero e non volevano necessariamente fondare i propri Stati, ma un sistema che permettesse loro di svilupparsi nel modo in cui pensavano all’interno della struttura imperiale. Per esempio i nazionalisti italiani a Trieste non volevano necessariamente far parte di uno Stato italiano indipendente perché vedevano i vantaggi economici derivanti dall’essere il porto principale di un grande impero. Oppure pensiamo al grande nazionalista ceco Frantisek Palacky, considerato un padre della patria, il quale scrisse che se l’Austria non fosse esistita, avremmo dovuto inventarla. E avrebbe potuto sopravvivere come un grande impero. Infatti i patrioti nazionalisti credevano che l’impero fosse necessario per proteggere lo sviluppo delle nazioni più piccole e per la protezione della loro cultura e che quello fosse lo stesso scopo dell’impero asburgico. Palacky e molti con lui non credevano che dovesse esistere uno Stato ceco indipendente.

C’erano anche molti che non ci credevano.

Certamente, per esempio molti nazionalisti ungheresi e molti anche nel Lombardo -Veneto. E questo è assolutamente vero. I nazionalisti non erano tutti d’accordo tra loro. Ma non tutti pensavano che l’Impero dovesse essere distrutto.

L’esempio di Trieste, come anche quello di Trento, rappresentano importanti realtà di confine che hanno vissuto una condizione particolare. Ho conosciuto molti anni fa nella mia vita vecchi uomini di mare che hanno servito sotto le armi sia nella marina austriaca che in quella italiana. Irredentisti come Cesare Battisti, trentino, deputato a Vienna, si batterono per il riconoscimento della cultura italiana e il bilinguismo nell’università di Innsbruck, ma poi si arruolò nell’esercito italiano nella prima guerra mondiale, fu preso prigioniero dagli austriaci e giustiziato come traditore. Questa però non era la situazione di Venezia o della Lombardia.

Non ne sappiamo molto, mi dispiace dirlo. Lei ha chiesto, per esempio, perché il mio libro non parla di più della Lombardia e del Veneto. È un’ottima critica e me ne rammarico. Ma la difficoltà nasce dal fatto che non ci sono stati molti studi sulla dominazione austriaca. C’è Marco Meriggi, per esempio, che è un grande storico italiano che si è occupato di questo, e sareste sorpresi dalla sua opinione sul dominio austriaco. Ma non è un aspetto che gli storici italiani hanno veramente indagato, e mi dispiace, perché penso che sarebbe importante.

Il suo lavoro sta aiutando a comprendere meglio aspetti meno conosciuti in Italia della cultura e della politica dell’impero asburgico, che era in diversi modi liberale e laico e che lottava per esempio contro l’ultramontanismo di Pio IX con i suoi dogmi dell’infallibilità papale e l’Indice dei libri proibiti. I liberali italiani e Mazzini avevano dunque almeno un nemico comune con l’Impero. E questo è un aspetto che dovrebbe essere conosciuto meglio. Ma è anche comprensibile che la storia del Risorgimento come quella dell’indipendenza ungherese abbiano oscurato un po’ di quei meriti.

Mi permetto di dire, non lo dimentichiamo certo, che l’oppressore alla fine è stato costretto a creare lo Stato Austria-Ungheria, che in realtà erano due Stati, e l’Ungheria è diventata indipendente nel 1867. Si tratta di situazioni e storie complicate, per le quali non possiamo usare generalizzazioni così ampie come quelle che abbiamo usato in passato. E sarei il primo ad ammettere che l’Impero asburgico ha abusato del suo potere in molte situazioni e si è comportato, diciamo, in modo oppressivo come Stato. Ma vorrei che tutti capissero che questo è ciò che gli Stati facevano nel XIX secolo, che non dovremmo individuare l’Impero asburgico come particolarmente cattivo o strano o bizzarro. Ma dovremmo vederlo nel contesto di tutti gli Stati europei. Tutti erano alle prese con questi problemi, alcuni più di altri. Guardate la Gran Bretagna. Il mio esempio preferito è la risposta a questo quiz: in quale parte d’Europa c’è stata una rivolta civile durante la Prima guerra mondiale basata sul nazionalismo? Non in Austria-Ungheria, ma in Irlanda, parte dell’Impero britannico, con le rivolte di Pasqua (1916). Nel mio libro, quindi, una delle ragioni per cui ho cercato di dare un quadro diverso è quella di  pensare agli Stati europei in modo più ricco e preciso. Non ho voluto dare un’immagine solo liberale degli Asburgo, ma più realistica.

Di questo certo bisogna darle atto. Ma ora veniamo alla questione della negazione da parte degli imperi dei diritti di alcuni popoli di avere riconosciuta la loro identità nazionale e di esistere come stati indipendenti. Quando Klemens von Metternich al Congresso di Vienna, 1815, dice che l’Italia è «solo una espressione geografica» non mostra un atteggiamento che ha qualche analogia con Putin? che nega la legittimità di una identità nazionale ucraina, «perchè l’Ucraina è una creazione artificiale ed è storicamente parte della Russia». Non hanno in comune la negazione? La versione più precisa della frase di Metternich sull’Italia è probabilmente meno spregiativa e più articolata: «Una espressione geografica e una qualificazione che si riferisce alla lingua, ma che non ha il valore politico che gli attribuiscono gli ideologi rivoluzionari». Ma in sostanza è il rifiuto dell’indipendenza.

Capisco, ma non dimentichiamo che l’Ucraina è già, era già uno stato sovrano al momento dell’invasione. Perciò oggi, quando Putin dice che è un’invenzione o una creazione, non ha alcuna legittimità. Sta facendo un ragionamento su uno Stato che esiste come sovrano nel gruppo internazionale degli Stati. Quello che ha detto Metternich non lo difenderei, ma è la dichiarazione di un politico, voleva che la politica fosse europea seguisse la direzione da lui desiderata e andasse come poi andò fin dopo il ’48, quando Radetzky piegò le rivolte. D’altra parte, vorrei chiederle quante persone pensa che nella monarchia asburgica, non i politici, ma la gente comune volesse far parte di un altro Stato nazionale? Non credo che molti lo volessero. Credo che si trattasse di una questione politica per le élite politiche.

La questione è controversa e si presenta in modi diversi in diverse aree dell’Impero. Giriamola anche ad altri storici. Quanto a Putin, nega l’identità e combatte uno stato sovrano, che non era più territorio russo o sovietico da diversi decenni.

La dichiarazione di Putin è del tutto illegittima, terrificante e non paragonabile a quella di Metternich, che è stata fatta, dopo tutto, nella prima metà del XIX secolo, prima ancora che l’idea di Stato nazionale fosse la norma. Ha in comune con Metternich la negazione della giustificazione storica dell’esistenza politica e statale di una nazione. L’austriaco diceva che non esisteva un’Italia storica dal punto di vista politico ed era un fatto in quel momento. Putin sta dicendo la stessa cosa, che è però completamente falsa. Ma anche se Putin avesse ragione, e non ha ragione, il fatto è che l’Ucraina è uno Stato sovrano e come tale esiste. E invadere semplicemente uno Stato vicino in questo modo è una completa violazione del diritto internazionale, del diritto all’esistenza di uno Stato confinante. Se il signor Metternich avesse detto questo nel 1861 e poi avesse deciso di invadere l’Italia – che sarebbe stato un terribile errore – allora le due situazioni si sarebbero somigliate un po’ di più. Ma non è questo il caso.

D’accordo, l’analogia si ferma molto presto. Troppe le differenze.

Si ferma alla negazione storica di una nazione. Ma la mia ricerca va oltre questo, perché sostengo che l’Austria, l’Impero offriva uno stato migliore che non negava o respingeva le legittime richieste dei suoi popoli, che le soddisfaceva in gran parte, riconoscendo l’esistenza delle nazioni. Dopo tutto, nel territorio asburgico ci sono undici lingue ufficiali. E se si guarda, ad esempio, a Trieste, chi sono i partiti politici prevalenti prima del 1914? Sono i nazionalisti italiani, rappresentati nel Parlamento di Vienna. Non vedo quindi un’equivalenza con la Russia, e penso che sia molto pericoloso farla.

L’aspetto forse più importante del suo lavoro riguarda la creazione nell’Impero asburgico di una struttura articolata dello stato, che garantiva il Rechtstaat, lo stato di diritto su tutto il territorio imperiale e una macchina burocratica efficiente con funzionari che apparivano utili alla popolazione per far valere le proprie ragioni nei confronti dell’aristocrazia e dei poteri locali di tipo feudale.

Gran parte della popolazione e diverse classi sociali videro che l’Impero era a loro favore e che offriva opportunità che altrimenti non avrebbero avuto. Quando parliamo del 1848, dovremmo ricordare che il gruppo rivoluzionario più grande e importante è quello dei contadini e che la loro richiesta non riguardava la nazione, ma la libertà, libertà dalle servitù e libertà di avere la propria terra. Quindi, ovviamente, in questo caso i governanti asburgici tendevano a favorire i contadini, sviluppando un ceto di proprietari perché volevano diminuire il potere politico della nobiltà locale e far pesare il potere di Vienna scavalcando le resistenze periferiche dell’aristocrazia. Questo è vero in particolare per il potere giudiziario; qui gli Asburgo crearono una magistratura indipendente per sostituire i tribunali nobiliari. Questo fece sì che si affermasse molta lealtà alla dinastia da parte dei contadini. Non perché fossero sciocchi o ingenui o solo perché pensavano che l’imperatore fosse loro padre. Era perché lo vedevano nel loro interesse. L’altro gruppo per il quale ritengo che lo stato imperiale sia stato importante è la classe media istruita, perché essa riempì le file dell’amministrazione e della burocrazia in questo nuovo sistema. E, cosa interessante, per via delle 11 lingue, si può dire che l’impero abbia incoraggiato lo sviluppo delle nazioni: le scuole dovevano essere nelle lingue locali e non in una sola lingua. Così, quando l’Impero si dota di un sistema scolastico, molto presto per gli standard europei, la Corte Suprema di Vienna stabilisce che, in presenza di due lingue, ci deve essere sempre una scuola per i bambini che parlano la seconda lingua. Si creano regole in merito e si crea anche un tribunale a cui è possibile presentare reclami contro l’amministrazione. Non sto cercando di vendere un’utopia, perché, ovviamente, il funzionamento a livello locale non è sempre quello desiderato. Ma in termini di regole e strutture funzionanti, il risultato era, credo, piuttosto impressionante.

L’Impero asburgico finisce con la Prima guerra mondiale e le vicende militari, di cui si sta ora occupando per un prossimo libro, hanno evidentemente un peso nel determinare il declino e la fine. C’è da chiedersi quanto abbiano inciso i costi delle guerre che Vienna ha sostenuto per mantenere i territori dell’Impero e in particolare mi chiedo quanto sia costato mantenere le regioni italiane del Lombardo Veneto, dove l’esercito prima piemontese e poi italiano ha registrato tante vittorie.

Non è una questione a cui si possa rispondere semplicemente. Ma è vero. L’impero ha subito sconfitte anche perché Francesco Giuseppe che era al comando nel 1850 era un uomo con pochissima esperienza. Amava l’esercito, si vedeva come un soldato e voleva conquistare la gloria militare. Sì. Il giovane imperatore fu molto diverso dal vecchio, commise molti errori e fu molto impopolare. Le guerre in Italia furono un grandissimo errore e molto mal pianificate. Ritenendosi un buon capo militare, prese personalmente il comando delle truppe e fu responsabile delle terribili sconfitte. E per quanto riguarda i costi negli anni Cinquanta del XIX secolo, l’Austria spendeva soldi per costruire il sistema ferroviario e le infrastrutture, ma non manteneva la capacità dell’esercito all’altezza che sarebbe stata necessaria. Vienna non spendeva abbastanza per le armi. Non capivano che le nuove tecnologie erano importanti. E dopo il 1866, con la sconfitta da parte della Prussia (di cui l’Italia beneficiò nonostante le sconfitte di Custoza e Lissa – Terza guerra di Indipendenza, NdR), quando è stata dimostrata ancora una volta l’inadeguatezza dell’esercito asburgico, hanno dovuto cambiare il loro approccio. La verità è che non so neanche io spiegare perché decisero di combattere queste guerre in Italia, perché, secondo la mia analisi, furono terribilmente sbagliate. I reparti furono guidati sicuramente molto male. Il nuovo lavoro che sto facendo non è su quelle che in Italia chiamate guerre di indipendenza, ma sulla Prima guerra mondiale. Anche in questo caso il bilancio militare fu sempre tagliato dai due parlamenti di Vienna e Budapest, forse perché questa era una delle poche cose su cui il parlamento poteva esercitare un certo controllo. Hanno tagliato i bilanci in continuazione. E se si confrontano i Paesi europei, l’Austria-Ungheria spendeva per l’esercito somme minime rispetto agli altri. Anche l’Italia era piuttosto in fondo alla lista, ma spendeva forse un po’ di più dell’Impero.

Neanche lei vede una logica nella testardaggine con cui Vienna voleva mantenere l’Italia sotto occupazione. Insomma perché gli imperi spendono fino a rovinarsi. Inevitabile che le chieda se vede un calcolo razionale in quel che Putin spende anche in vite umane per conquistare o mantenere territorio ucraino.

Per Vienna c’erano anche altri fattori. Negli anni Cinquanta del XIX secolo, dopo il 1848, il regime cerca di attuare alcune politiche economiche liberali, ma accompagnate da politiche molto assolutiste. E queste si rivelano un fallimento perché negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento non si possono condurre guerre di questa portata senza sostegno popolare e politico. E non c’era molto di questo sostegno politico. I tedeschi liberali erano molto anti-italiani, ma erano altrettanto anti-Francesco Giuseppe. I loro attacchi erano diretti contro di lui. Politicamente l’Impero non era in una buona situazione per combattere queste guerre. Quanto al paragone con Putin non ci deve mettere a disagio: molti leader militari e politici credono che per essere una grande potenza, per essere un impero, bisogna crescere. Non si può semplicemente stare fermi. E questo fu un problema per l’Austria e gli Asburgo. Per questo motivo entrarono in guerra nel 1914 in modo molto sciocco. Inoltre, i vertici militari temevano che l’Austria sarebbe diventata una potenza di secondo o terzo piano e che non avrebbe mai potuto riconquistare la propria grandezza. E quindi dovevano combattere questa guerra. In realtà, direi che la Prima guerra mondiale ha distrutto quasi tutti i vantaggi positivi dell’impero. Che erano stati costruiti fino a quel momento.

Le ragioni della fine dell’Impero austro-ungarico. Questa è una delle domande difficile agli esami, come “le cause della Prima guerra mondiale”. Risposte complicate con diversi punti in evidenza. Lei spiega chiaramente quale non fu la causa: “le nazioni che sgretolano l’Impero”. Il contrario di una tesi corrente. Dunque fu la guerra 14-18?

La causa fu che l’Impero perse la sua legittimità e il sostegno di vari gruppi sociali in gran parte a causa del modo in cui fu governato durante la Prima guerra mondiale. Perché c’era una dittatura militare. Certo in tutti gli Stati europei, c’era una sorta di governo, magari non dittatoriale, ma autoritario, per combattere la guerra. In Austria la situazione era molto più grave perché i militari che avevano preso il controllo dello stato non credevano nell’idea di un impero multiculturale. Erano sospettosi di molte nazionalità e le trattavano apertamente molto male. Così il contratto tra il popolo e l’imperatore si è rotto in molti modi durante gli anni della guerra. L’ultimo imperatore che salì al potere, Carlo I, nel 1916, cercò di rovesciare questa situazione, ma era troppo tardi. Si tratta di problemi sociali e dell’incapacità dello Stato di aiutare i suoi cittadini in un periodo terribile. A causa della guerra l’impero soffriva terribilmente la fame e non riusciva a fare nulla. Perse la sua legittimità. Si ruppe e si frantumò in diversi pezzi regionali. I politici nazionalisti erano presenti ed erano pronti ad assumere il controllo. Ma non direi che la gente comune nel 1918 si ribellò per motivi nazionalisti. Si ribellò per motivi sociali.

Una tesi molto chiara e determinata.

E penso che sia importante presentarla con forza perché il mito degli Stati successori è che il nazionalismo è quel che ha distrutto l’impero e che sia quel che ha reso forti i nuovi Stati. Questo è appunto un mito. È un mito necessario ancora oggi in molti di quegli Stati, ma è un mito.

C’è qualche lezione da trarre dalla storia della fine dell’Impero asburgico che sia utile applicare alla situazione della Russia?

La lezione che dovremmo ricordare da questa storia è che è possibile avere uno Stato moderno in cui ci sono nove, dieci, undici, dodici nazionalità e molte lingue. È possibile avere uno Stato così. Non deve essere necessariamente uno Stato nazionale e può essere governato nella legalità e nel rispetto di tutti i popoli. Nella Russia di oggi, vedo che questo è impossibile. Non vedo alcun rispetto per la legge. Secondo me, la ragione principale per cui l’impero asburgico è caduto è che il regime militare non rispettava la legge mentre le persone, per vivere, devono poter contare sulla legge. In Russia c’è una terribile rottura della legalità, nessun rispetto per i diritti e un regime arbitrario. E questo non può avere successo nel lungo periodo. Trovo molto difficile confrontare questi due imperi, perché penso che siano fondamentalmente molto diversi. E alla fine, devo dire che non sono sicuro che la terminologia che usiamo oggi, Impero, Stato-Nazione ci sia ancora utile.

 

Foto di copertina: il palazzo di Schoenbrunn, la principale residenza estiva degli Asburgo. Vienna, Austria, 9 giugno 2020 (foto di Joe Klamar/Afp).

 

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