Tokyo 1995. Quando il terrore biologico entrò nelle nostre vite

«Non c’è bisogno di aspettare il Duemila, per guardare in faccia l’Apocalisse. Noi credevamo di aver allontanato per sempre l’incubo dell’autodistruzione totale, quando furono cancellate le ostilità tra le due superpotenze nucleari. Ma adesso ci rendiamo conto che la tv ci porta in casa, ogni giorno, tutte le catastrofi del pianeta». Non è la prima volta che il mondo si risveglia colto da improvviso terrore, quello di chi realizza – salvo poi scordare altrettanto rapidamente – la fragilità totale della condizione umana, alla natura e a sé stessa.

Tokyo, 20 marzo 1995. Lunedì, ore 8 del mattino. Sui vagoni della metropolitana che portano migliaia di lavoratori ai loro uffici nel Giappone che corre verso l’Eldorado l’aria si fa d’improvviso irrespirabile. Svenimenti, asfissia, attacchi di vomito. È il sarin, gas nervino che mai città ha conosciuto. Nel giro di pochi minuti è una strage: moriranno tredici persone, almeno seimila resteranno intossicate o ferite. Nella confusione delle prime ore dopo l’attentato si susseguono voci e ipotesi sulla matrice: unico indizio a disposizione, la familiarità di quella sostanza tossica nei circuiti militari. «Tre le piste che la polizia sta seguendo: quella degli estremisti di destra, dell’Armata rossa giapponese e della grande mafia nipponica, la Yazuka», riporta il giorno seguente il Corriere della Sera. Si riveleranno tutte infondate, ma ciò che conta è il risultato, la sensazione di accerchiamento, di “Apocalisse” imminente che evoca per tutti Giuliano Zincone.

A tramortire una città, e per giorni con essa il mondo intero, è stata invece una setta di fanatici, l’AUM Shinrikyo: nota alla polizia giapponese – si scoprirà presto – ma sempre trascurata sotto la veste apparente di organizzazione religiosa. Fondata nel 1984 dal “Maestro” Shoko Asahara, al secolo Matsumoto Chizuo, mescola credenze buddiste e induiste a elementi cristiani, yoga e allucinogeni a visioni messianiche e apocalittiche. Una banda isolata di innocui fanatici, se non fosse che Asahara, in una vita precedente farmacista fallito, ha carisma e risorse per attrarre adepti: quando cinque dei suoi uomini gettano Tokyo nel panico forando con la punta dell’ombrello una manciata di sacchetti di gas liquido la setta conta decine di migliaia di fedeli tra Giappone e Russia.

Alle autorità nipponiche già “avvisate” del pericolo da una serie di precedenti attacchi e fughe di materiale sempre sottovalutati basteranno pochi giorni per inchiodare l’AUM Shinrikyo, due mesi per arrestarne il fondatore che tre anni prima si era autoproclamato nuovo Cristo redentore. Condannato a morte insieme ad altri sei responsabili della strage, Asahara sarà impiccato nel 2018. A epitaffio della sua surreale parabola resta il verdetto emesso nel 2004 dalla Corte: «Non possiamo fare a meno di osservare che il movente dei crimini commessi è allo stesso tempo assolutamente terribile e incredibilmente ridicolo, ovvero dominare il Giappone nel nome della salvezza eterna».

Incredibilmente sottile, sembrando dirci quei giudici, il confine che corre tra idiozia, fanatismo e minaccia mortale – come troppi altri protagonisti della storia recente ci hanno testimoniato. Ma incredibilmente semplice, anche, gettare nello scompiglio le nostre società moderne, evolute, iper-organizzate. Nei giorni attorno alla strage, riportano le cronache, si registrarono movimenti speculativi anonimi sul commercio di maschere anti-gas – diventate improvvisamente bene d’immediata necessità – mentre pattuglie di polizia furono dispiegate in tutte le città del mondo per presidiare gli accessi alle metropolitane, e controllare i passeggeri in imbarco e sbarco negli aeroporti. No, sgomento e terrore non sono ospiti inattesi nelle nostre vite, a patto di serbarne il ricordo, dopo, e qualche insegnamento.

 

Foto:  J. Kurokawa / AFP

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