La sfida (in salita) delle terre rare.
«Per l’Ue il riciclo una scelta obbligata»

Con l’aumento della competizione sui prodotti tecnologici il rifornimento di materiali critici, come le terre rare, sta assumendo sempre più importanza a livello internazionale. Il recupero di questi materiali tramite il riciclo dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) rappresenta la più plausibile strada alternativa, o almeno complementare, ad un processo di estrazione dagli alti costi ambientali oggi monopolizzato dalla Cina. Ne abbiamo parlato con Bibiana Ferrari, direttore marketing e relazioni esterne presso Treee Srl, già fondatrice e Ad per oltre vent’anni di Relight, azienda italiana d’avanguardia nel settore del recupero dei RAEE.

 

Dott.ssa Ferrari, qual è per iniziare la sua esperienza nel campo del riciclo delle terre rare presenti nei RAEE in Italia e quale il funzionamento del settore?

Sono stata per una ventina d’anni amministratrice delegata e fondatrice di Relight, azienda nata nel 1999 sull’intuizione che si sarebbe creata una nuova linea di mercato riguardante il riciclo di materiali elettronici, inizialmente orientata al riciclo di lampade e, in seguito, anche di altri prodotti. Ad oggi sto lavorando con il gruppo Treee, creato a partire dall’acquisizione di Relight e di altre aziende da parte di un fondo americano con l’obiettivo di creare un polo industriale per il recupero dei RAEE. Treee oggi copre tutto il territorio italiano, con l’eccezione di Calabria e Sicilia, recuperando oltre il 25% del totale di RAEE recuperati a livello nazionale.

Parlando in particolare delle terre rare presenti nei RAEE la nostra intuizione iniziale riguardava l’individuazione e il reimpiego dei materiali presenti nelle polveri fluorescenti delle lampade (terbio, ittrio ed europio). In collaborazione con i ricercatori dell’Università dell’Aquila fondammo HydroWEEE, un impianto idro-metallurgico realizzato a Rho per il recupero dei materiali nei RAEE (WEEE in inglese). Il progetto incontrò due grossi ostacoli. Il primo era rappresentato dalla rapida caduta del valore dell’ittrio, che rendeva il processo di recupero economicamente poco sostenibile. Il secondo era di tipo burocratico e riguardava alcuni buchi normativi presenti nella direttiva europea del 2002, che ignorava il valore dei materiali critici presenti nei RAEE in piccole percentuali. Per tentare di dare una risposta a questi problemi nacque, a livello europeo, CEWASTE, un progetto con l’obiettivo di creare un sistema di certificazione volontaria per il trattamento dei RAEE e cercare di superare gli ostacoli economici e burocratici incontrati da HydroWEEE stimolando iniziative di sostegno economico e attività di lobbying nel settore.

Per quanto riguarda, invece, l’organizzazione del settore e l’impostazione del mercato del recupero di RAEE in Italia, questa è regolata dalla sopracitata direttiva europea del 2002 che stabilisce le responsabilità dei produttori su ciò che viene messo a consumo e da una norma nazionale del 2008 che favorisce l’organizzazione dei produttori in consorzi, il maggiore dei quali è attualmente Erion (che tratta l’80% di RAEE riciclati a livello nazionale).

Completano il sistema i fornitori di logistica, che si occupano della raccolta dei rifiuti, e i fornitori di trattamento che si occupano effettivamente di riciclare il rifiuto e soprattutto rimuovere le componenti critiche per l’ambiente interne ai RAEE.

Secondo recenti stime la percentuale di terre rare riciclate potrebbe passare dall’attuale 2% al 25% nei prossimi 10 anni. Sono stime che riconosce o che ritiene poco attendibili?

In questo momento previsioni e stime del genere sono aleatorie e poco concrete. È importante che venga riconosciuta la strategicità di questi elementi, e una volta validato questo concetto le iniziative e le tecniche industriali per recuperare questi materiali esistono. A questo fine sarebbe necessaria una semplificazione del processo autorizzativo, una tempistica certa dello stesso e aver chiaro dall’inizio dell’attività imprenditoriale quali saranno i meccanismi macroeconomici che andranno a determinare l’auto-sostenibilità economica dell’iniziativa. In particolare sarebbe necessario distinguere il confine fra materia e rifiuto. Infatti la definizione “rifiuto” comporta un iter burocratico tale da ingessare qualsiasi iniziativa che voglia prender forma in tempi umani.

Gli Stati Uniti hanno recentemente iniziato ad investire pesantemente nel riciclo di terre rare, nell’ottica di rendersi maggiormente indipendenti dal monopolio cinese. Qual è invece la situazione europea?

In Europa sono stati finanziati parecchi progetti ‘pilota’ di ricerca, la maggior parte dei quali però non è andata oltre le prime fasi o si è fermata. Il problema è che questi progetti, anche se ampiamente finanziati, arrivano solo fino ad un certo punto e di fatto non viene dato loro seguito anche quando hanno risultati positivi. È come se la Commissione Europea si aspettasse che il risultato positivo sperimentale di tali progetti permetta a questi ultimi di procedere senza ulteriori sostegni.

È un maggiore supporto da parte degli Stati quello che manca?

Non direi. In termini realistici non possiamo ragionare per Stati, dobbiamo ragionare come Europa. I rifiuti non hanno confini, e le norme che li regolano dovrebbero essere europee non nazionali. Le divergenze tra norme nazionali quando i rifiuti passano i confini causano gran parte del caos burocratico menzionato in precedenza, bisognerebbe cercare di armonizzare le norme e finirla con i particolarismi. In Italia poi alcuni iter burocratici sono demandati anche a regioni e province, quindi, per esempio, a livello normativo bisogna fare un passaggio da Bruxelles, a Roma, a Milano, a Sondrio, e a seconda della provincia puoi avere iter organizzativi totalmente diversi. Tutto questo è reso più serio dal fatto che eventuali errori da parte delle aziende ricadono non nel civile ma nel penale, indipendentemente dall’entità del danno. Ciò disincentiva pesantemente le iniziative imprenditoriali, in particolare in settori innovativi come il riciclo di terre rare.

Non dipendiamo dalla Cina solo per quanto riguarda l’estrazione di terre rare, ma anche per il loro raffinamento. Infatti, oggi oltre l’80% di terre rare è processato in Cina. Il raffinamento di terre rare riciclate dipende anch’esso, ad oggi, da industrie cinesi?

Dipende dalla fase cui riesce ad arrivare l’azienda che si occupa del riciclo. Una volta recuperate le terre rare spesso è necessario affrontare un secondo processo per separarle le une dalle altre. Questo processo implica costi che spesso le aziende europee non sono in grado di affrontare, in parte a causa dei problemi sopracitati, in parte (e questo riguarda anche l’attività estrattiva) a causa delle decisioni della Cina, che controlla il mercato, di fare dumping e far crollare i valori dei materiali prodotti.

È possibile che il timore di una reazione cinese sia non solo uno sprone ma allo stesso tempo un ostacolo per la creazione di una linea di rifornimento di terre rare alternativa?

È possibile, ma quand’anche lo fosse l’Europa deve capire che il riciclo non è più una scelta, è una necessità. L’Europa ha un’enorme industria manifatturiera con un’enorme necessità di materia, che sta venendo a mancare. Intraprendere la via del riciclo e di una sostenibilità seria, che non si limiti al greenwashing e a provvedimenti superficiali, è quindi una scelta obbligata.

Le recenti crisi internazionali, dovute alla pandemia di Covid-19 e alla guerra in Ucraina, hanno creato problemi nel settore?

Essendo un settore di pubblica utilità abbiamo continuato a lavorare durante il lockdown e abbiamo mantenuto i nostri servizi di ritiro. Paradossalmente, visto che conferire i rifiuti era una delle poche attività che consentivano al cittadino di lasciare i confini di casa, alle zone ecologiche abbiamo visto un significativo aumento di attività. Dal punto di vista produttivo abbiamo avuto dei problemi perché nonostante i rifiuti continuassero ad entrare avevamo più difficolta a processarli, cosa dovuta anche all’aumento del costo dell’energia visto che molte aziende del settore hanno deciso di spegnere i forni.

Per quanto riguarda la recente invasione russa in Ucraina è ancora presto per dire se ci saranno effetti negativi sul settore dell’estrazione e del riciclo di terre rare, anche se non è un’eventualità da escludere.

 

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