Propaganda fascista, la proposta di legge di Stazzema andrà in Parlamento

Raggiunte le 50mila firme per l'iniziativa popolare. La battaglia e i nodi giuridici.

Più di un italiano su sei non crede alla Shoah. Il 15,6% della popolazione nega lo sterminio sistematico degli ebrei nella Germania nazista con la collaborazione dell’Italia fascista, il 16,1% lo ridimensiona. Lo certifica il Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes. Sono dati di un anno fa, ma a renderli attuali è la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal sindaco di Sant’Anna di Stazzema contro la propaganda fascista e nazista. Cinquantamila firme per chiedere al Parlamento di rendere reato anche quei comportamenti che oggi le leggi Scelba e Mancino lasciano in una zona grigia di impunità: propaganda tramite reperti storici, gadget, immagini ma anche gestualità e simboli. L’obiettivo minimo delle cinquanta-mila firme è già stato raggiunto e superato, ma c’è tempo fino al 31 marzo per firmare la proposta nel proprio Comune di residenza.

“Anche qui, a Sant’Anna di Stazzema, dove le SS trucidarono 430 adulti e 130 bambini”, dice il sindaco Maurizio Verona, “sono comparse svastiche sui muri. Ovunque si trovano statuette con la faccia di Benito Mussolini e nei bar certi argomenti sono sdoganati”.

Il sindaco del piccolo paese toscano è deciso, ma anche sorpreso: “Pensavo che sarebbe stato complicato, non tanto perché l’argomento non sia importante, ma per la difficoltà del momento, in cui è complicato muoversi”, spiega. “E poi siamo concentrati su altro”. E invece, l’adesione è stata altissima. “Sembrava qualcosa atteso da tanto tempo, ho visto una partecipazione anche molto attiva nel diffondere la proposta di legge”. È infatti possibile anche scaricare il modulo per avviare la raccolta firme in un Comune dove ancora non è partita.

 

Omaggio alla storia

“Incontro quotidianamente i superstiti dell’eccidio di Sant’Anna”, dice Verona. “Non è possibile per loro curare le ferite se sui muri compaiono le svastiche, se allo stadio si festeggia con il saluto romano”. A Stazzema il 12 agosto 1944 una divisione delle SS guidata da alcuni collaborazionisti fascisti invase la frazione di Sant’Anna, rastrellò i civili e i rifugiati che si trovavano in paese, li chiuse nelle stalle e aprì il fuoco. La vittima più giovane fu Anna Pardini, di 20 giorni. Morirono 560 persone, e su questa strage per anni cadde il silenzio della magistratura. Solo nel 1994 in uno scantinato della Procura militare di Roma vennero trovati i fascicoli relativi a questo specifico crimine di guerra. Del processo si occupò nel 2004 il Tribunale militare di La Spezia: vennero messi sotto accusa solo gli ufficiali, e non i soldati che aprirono il fuoco. Tre di loro vennero condannati all’ergastolo: Gerhard Sommer, Georg Rauch e Karl Gropler.

Maurizio Verona conosce i pochi sopravvissuti ancora vivi, e parla di loro come di testimoni: “Hanno passato gli ultimi anni di vita a raccontare alle giovani generazioni quello che accadde quel giorno, e tutti gli altri giorni del Ventennio, per fare in modo che non riaccada mai più”. Da qui la decisione di una proposta di legge di iniziativa popolare contro la propaganda nazista e fascista.

Cosa, nel dettaglio, si andrebbe a punire? Nel testo si parla di propaganda dei partiti nazista e fascista e dei loro metodi eversivi tramite “produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti”, o propaganda tramite “simbologia o gestualità”: comportamenti che la legge vorrebbe puniti con la reclusione da sei mesi a due anni. Nell’articolo successivo si parla anche di “esposizione di emblemi o simboli”.

Esempi di comportamenti puniti, accaduti recentemente nel nostro Paese, saranno per esempio attaccare sticker con svastiche, simboli delle SS e “Sieg Heil” davanti al campanello di una donna di Torino iscritta all’Anpi e figlia di partigiani. Oppure, a Bologna, disegnare la Stella di David sulla porta di un uomo che ha perso tutta la famiglia nei campi di concentramento. Ma anche tenere aperti negozi online per la vendita di oggettistica e abbigliamento, dal momento che la proposta di legge prevede che le pene siano aumentate di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici. La norma vuole anche integrare la legge Mancino e la legge Scelba per quanto riguarda il saluto romano e gesti simili: al momento, leggendo sentenze dei tribunali su casi diversi, pare evidente che la scelta di punire dipenda di volta in volta dal giudice. La Cassazione nel 2019 ha condannato un avvocato che aveva fatto il saluto romano in Consiglio comunale a Milano qualche anno prima, ma il tribunale della città meneghina ha invece assolto quattro membri di Lealtà e Azione che il 25 aprile 2016 avevano alzato il braccio destro durante una commemorazione al Campo X del Cimitero Maggiore di Milano, dove solo sepolti i caduti della Repubblica fascista di Salò. Nel primo caso si trattava di istigazione razzista, perché avvenuto durante un dibattito sul piano nomadi. Nel secondo caso, il saluto romano era stato fatto durante una celebrazione e quindi non avrebbe messo a rischio la tenuta democratica.

 

Percorso a ostacoli

Alcuni, singoli, passi avanti sono già stati fatti. Bologna dal 2018 ha vietato la vendita di oggetti che richiamino il Ventennio fascista, anche da mercatini e fiere. Dall’anno scorso Firenze prevede multe fino a 400 euro per chi espone o vende gadget.

E non è neanche la prima volta che in Italia si prova la via del dibattito parlamentare per rendere illegali pratiche di questo tipo. Era il 2017 quando si discuteva della legge Fiano, ultimo tentativo di inserire nel codice penale il reato di propaganda del regime nazista e fascista. Venne approvata alla Camera, con 261 sì, 122 no e 15 astenuti. Da lì, passò direttamente al Senato. Anzi, ai cassetti delle scrivanie del Senato: non se ne è saputo più nulla. Secondo Alessandro Di Battista, allora voce importante e deputato del Movimento Cinque Stelle, la proposta di legge era una “pagliacciata”. Per Giorgia Meloni era “delirante”, per Matteo Salvini “insensata”, e parlò anche di eliminare la legge Mancino perché “le idee non si processano”. Anche la legge Zan, che tratta argomenti diversi ma vuole comunque rendere reato alcune azioni e parole in quanto discriminatorie, ha affrontato molte difficoltà durante il suo iter nei due rami del Parlamento: è stata approvata dopo molti rinvii alla Camera, ora è ferma al Senato. “Ma questa volta sarà diverso”, è sicuro il sindaco Verona, “perché oggi la sta chiedendo il popolo. I nostri rappresentanti ora non hanno scuse: è la volontà del popolo che si è espressa”.

La proposta di legge ha sicuramente chi la difenderà e la ricorderà, in Parlamento. La senatrice a vita Liliana Segre ha scritto una lettera al primo cittadino di Stazzema che si chiude con queste parole: “Per parte mia, da Parlamentare, vigilerò perché la proposta venga discussa e approvata celermente in Parlamento”.

Rimane però il dubbio se una proposta di legge che punisce comportamenti e discorsi legati a un’ideologia possa essere limitante del diritto di espressione di ognuno. “Credo che possa esistere qualche rischio di contrasto con l’articolo 21 della nostra Costituzione, che tratta proprio della libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero”, spiega Silvia Vimercati, avvocata esperta della materia. “Ogni deroga alla libertà di espressione, specie se punita con una sanzione penale, deve avere un fondamento costituzionale”. E questo fondamento non esisterebbe, nemmeno appellandosi alla XII disposizione transitoria: “È così, perché la disposizione punisce solo comportamenti che mirano a riorganizzare il disciolto partito fascista e la propaganda non è necessariamente riorganizzazione del partito”. Vimercati parla anche di democrazia aperta: “In un sistema come il nostro tutte le opinioni, anche le più odiose, dovrebbero poter essere diffuse e poi smentite con la dialettica. E inoltre in questo modo si rischia di far passare chi diffonde idee di questo tipo per paladino della libertà di pensiero”.

Anche il sindaco di Stazzema è sicuro dell’importanza della discussione con chi disegna le svastiche sui muri o compra una tazza con la faccia di Mussolini, prima di punirli. Soprattutto se si tratta di giovani. “Non voglio solo colpevolizzare i ragazzi, vorrei che un Paese serio li facesse riflettere, prima, a scuola”. Verona parla di insegnare la Costituzione antifascista, la nascita e la formazione di un partito fascista. “Non voglio più vedere persone che si girano dall’altra parte davanti a una svastica disegnata sul muro. La storia non può essere a uso e consumo delle forze politiche”.

 

Foto: Alberto PIZZOLI / AFP

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