Kafka torna in scena a Istanbul. Perché Osman Kavala resta in carcere

Il caso giudiziario di Osman Kavala dischiude uno scenario degno della penna di Kafka. Sembrerebbe che nella visione erdoğaniana della giustizia vi sia il simulacro di una assoluzione che è solo apparente.

“L’assoluzione apparente” descritta da Kafka nel suo romanzo Il Processo, è quella particolare sentenza che in ogni momento può essere revocata da un altro giudice o da un’altra Corte: un vero incubo! Un imputato pur essendo stato assolto, in realtà vive un’angoscia permanente.

L’ordine giudiziario assolve, l’ordine politico condanna. A nostro avviso in questa sintetica espressione è racchiusa la terribile vicenda giudiziaria di Osman Kavala.

Alle ore 15 di martedì 18 febbraio, la 30ª Corte Penale di Istanbul assolveva Kavala dall’accusa di sovversione dell’ordine costituzionale per aver sostenuto le proteste antigovernative del movimento di Gezi nel 2013, ritenuto dal governo turco una organizzazione sovversiva. Alle ore 21 circa, dopo appena sei ore, la Procura della Repubblica di Istanbul spiccava un nuovo mandato di arresto con l’accusa di avere avuto un ruolo di primo piano nel tentativo di golpe del 15 luglio 2016.

L’urlo di gioia e il lungo applauso che aveva salutato la sentenza di assoluzione si è poco dopo tramutato in un sussulto di grave sgomento per la nuova pesantissima accusa che da persona appena assolta lo ha fatto precipitare di nuovo nella condizione di detenuto in attesa di giudizio con una richiesta di condanna all’ergastolo aggravato.

Il processo Gezi, giunto alla sesta udienza, ha visto 16 imputati tutti accusati di sostegno ad organizzazione sovversiva “mirante al rovesciamento del governo Erdoğan”, e la Corte ha emesso un verdetto di assoluzione per nove imputati tra cui Osman Kavala, presidente dell’istituto Anadolu Kültür da lui fondato, punto di riferimento prezioso per comprendere la società civile turca, le minoranze e la loro condizione.

Il 10 dicembre 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ne aveva chiesto l’immediata scarcerazione, ma la Corte di Istanbul, come è successo in altri casi, come in quello del leader del Partito democratico dei popoli, Selahattin Demirtaş, non ha tenuto conto della sentenza perentoria della CEDU. L’avvocato di Kavala, lkan Koyuncu, ha commentato l’accaduto sul suo account Twitter in questo modo: “Erdoğan ha indossato la toga e ha arrestato il mio cliente“.

Ma qual è la strategia adottata dal presidente turco in questa lotta intestina tra il potere giudiziario non ancora completamente nelle sue mani e il potere politico all’interno del quale il presidente è l’uomo solo al comando?

 

Giudici contro giudici

Sembrerebbe che nel mondo della magistratura turca vi sia una corrente influente più attenta al codice e al dettato della Carta costituzionale che spesso entra in conflitto col potere politico incarnato dal presidente della Repubblica, ragion per cui, se la magistratura più vicina all’area ‘’liberal’’ del paese emette sentenze non gradite a Erdoğan, quest’ultimo le ‘’corregge’’ esercitando la sua influenza.

Ed è quello che è accaduto all’ex parlamentare del Partito repubblicano del popolo (CHP), Eren Erdem. Erdem, difensore dei diritti umani del maggior partito d’opposizione CHP, aveva vissuto lo stesso dramma, era stato accusato di sovversione dell’ordine costituzionale e aveva condiviso la stessa prigione con Kavala.

Prima fu assolto dal Tribunale di İstanbul e, dopo poco, di nuovo arrestato per un nuovo mandato di cattura emesso dal Procuratore della Repubblica e quindi nuovamente liberato.

I due casi giudiziari sono molto simili, la tecnica è sempre la stessa: aprire nei riguardi di oppositori molto apprezzati nella società civile almeno due procedimenti penali diversi, in modo che se in uno di essi venisse assolto, scatterebbe subito l’arresto per l’altro. Ed è anche quello che è accaduto gli intellettuali Ahmet e Mehmet Altan, a Şahin Alpay e al leader carismatico del Partito democratico dei popoli Selahattin Demirtaş.

E ora il Consiglio Superiore della Magistratura ha aperto una inchiesta contro i giudici che il 18 febbraio avevano emesso la sentenza di assoluzione.

 

Costruire un nemico

Osman Kavala è nato nel 1957 da una famiglia di ricchi aristocratici ottomani immigrata dai Balcani. Nel 1982, dopo aver perso suo padre, Mehmet Kavala, uno degli uomini d’affari più ricchi della Turchia, Osman prese il timone dell’azienda di tabacco di famiglia.

Se avesse voluto, avrebbe potuto vivere da nababbo nella sua tenuta londinese gettandosi alle spalle il suo passato di esponente della sinistra, avendo militato nel partito dei lavoratori. Ma egli non fece nulla di simile. Ha utilizzato la sua ricchezza materiale, spirituale e fisica affinché la Turchia diventasse un paese più democratico.

Ha studiato all’Università di Manchester, alla Facoltà di Economia. È stato un pioniere in diverse innovazioni in Turchia. Nel 1980 introdusse il famoso computer Commodore 64. Ha fondato la società MIKES e vinto la gara d’appalto per lo sviluppo dei sistemi di protezione degli aerei F-16.

È membro del Consiglio di Amministrazione di varie organizzazioni imprenditoriali e sociali, del prestigioso think-thank laico TESEV, del consiglio consultivo dell’Istituto Open Society e dell’Associazione dei cittadini di Helsinki, e della Fondazione della Cultura di Diyarbakir.

Mercoledi’ 18 ottobre 2017, giorno del suo arresto, stava partecipando a Gaziantep ad una conferenza del Goethe Institute.

L’arresto di Kavala sorprese moltissimo perché egli aveva contribuito a realizzare una interlocuzione preziosa tra il governo e la società civile sulla questione curda. Aveva fatto parte infatti della commissione dei saggi della società civile nominata dal governo nel 2014; un pool di oltre 70 intellettuali, esperti, accademici e uomini dello spettacolo col compito di monitorare le opinioni della popolazione del sudest anatolico e per illustrare ad essa la roadmap del progetto proposto dall’Akp, il partito di governo, sulla risoluzione della questione curda, frutto di trattative intraprese dall’esecutivo e dal leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Öcalan detenuto nel carcere di massima sicurezza di İmları; accordo che poi fallì pochi mesi dopo.

Ma con la rottura del processo di pace col Pkk e col successo elettorale dell’Hdp filocurdo, Erdoğan perse la maggioranza assoluta in Parlamento e poco dopo strinse un’alleanza con gli ultranazionalisti dell’Mhp, che segnò la fine della politica di apertura verso i curdi. Ankara da allora non ha mai visto di buon grado il sostegno che Kavala offriva alla società civile liberale, laica e d’opposizione del Paese.

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan subito dopo il suo arresto esclamò: “L’identità del Soros della Turchia è stata scoperta“, accusando dunque Kavala di essere un uomo d’affari che cercava di influenzare la politica turca.

Fu così che i quotidiani filogovernativi lo etichettarono come ‘’Kızıl Soros’’, il Soros Rosso, e lo accusarono di tutto, di essere dietro ad ogni vicenda oscura accaduta in Turchia negli ultimi decenni. Lo hanno accusato di supportare il terrorismo. Di aver finanziato il movimento di Gezi e di aver avuto un ruolo importante nel golpe fallito del 15 luglio 2016. Lo hanno accusato addirittura di aver partecipato ad una riunione dei curdi-siriani PYD in Russia.

Kavala ha la colpa di essersi ribellato sin da subito alle istituzioni fortemente repressive del paese, e tuttavia è rimasto all’interno di esse gestendo una serie di imprese e donando i suoi proventi a degne cause. E’ un ardente campione della riconciliazione turco-armena e la sua filantropia ha nutrito una vasta gamma di progetti che vanno dai diritti dei curdi, degli Alevi e dei crisitiani, alla difesa dell’ecologia e dell’ambiente. Molti studenti, intellettuali e artisti poveri, hanno potuto contare su di lui che li ha salvati.

 

La madre di tutte le battaglie

Il Processo Gezi in cui era imputato è considerato il processo alla società civile turca, sotto assedio da tempo. Arresti e intimidazioni stanno minando la risorsa democratica più preziosa del paese, quella società civile (il Sivil Toplum) che si è sviluppata e radicata fin dagli anni Ottanta ed è senza dubbio una delle più attive e combattive d’Europa con il lavoro prezioso che svolge in ogni ambito.

Ma perché questo accanimento contro una personalità così influente e stimata nel mondo accademico e nella società civile d’Europa?

Erdoğan ha direttamente accusato Osman Kavala di essere dietro una trama eversiva a sostegno dei ‘’sovvervisi di Gezi’’ mirante a rovesciare il suo governo. Non ha approvato la sentenza di assoluzione della Corte di İstanbul dal momento che era stato lui stesso in prima persona ad accusare Kavala e ad aver consentito che vi fosse una campagna stampa diffamatoria contro di lui.

Il teorema di Erdoğan è che le manifestazioni di Gezi non erano altro che una operazione criminale per sovvertire l’ordine istituzionale e rovesciare il suo governo e che dunque bisognava punire coloro che le avevano orchestrate e finanziate.

L’assoluzione avrebbe reso questo teorema infondato e indirettamente si sarebbero legittimate quelle proteste antigovernative spontanee, partite dal basso, sganciate dai partiti e da qualsiasi ideologia e a cui presero parte larghi strati, trasversali, della popolazione che diceva ‘’no’’ all’autoritarismo di Erdoğan. Questa sentenza per Erdoğan era dunque inaccettabile!

Il giorno dopo l’assoluzione e il nuovo arresto di Osman, Erdoğan, davanti ai deputati del suo gruppo parlamentare, si è detto contrario alla decisione dei giudici di assolvere Kavala perché “in quelle rivolte di Gezi nessuno era innocente“, aveva detto.

Erdoğan ha usato una espressione ben precisa, affermando che ‘’con una manovra hanno cercato di liberarlo’’. Un atto di accusa questo contro gli stessi giudici che avevano giudicato Kavala, accusati di essere al servizio di Soros che secondo lui ‘’era dietro le quinte come regista occulto di una trama eversiva, come in un golpe’’. Ha fatto intendere dunque che non accetterà mai alcuna decisione di assoluzione per Osman Kavala.

Si può dire che Kavala sia diventato un capro espiatorio additato come un esempio negativo e che la sua detenzione serva da monito e da intimidazione per chiunque voglia opporsi a Erdoğan e al suo regime.

 

Foto: Ozan Kose / AFP

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