L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Valutazione

Sarà certo una questione di gusti, ma la semplice vista del progetto La buona scuola suscita una certa inquietudine. Decenni di abitudine ad articoli, esercitazioni scritte, tesi di laurea realizzate con caratteri neri su fogli bianchi, con margini, note, rientri certamente convenzionali ma in qualche misura tradizionali e standard creano un po’ di sconcerto di fronte al documento governativo che propone caratteri colorati (rossi e blu) sulla home page, minuscolo corsivo con legami come si trattasse di uno scritto corsivo a mano, sfondo bianco a pallini marrone e altre scritte in bianco su sfondi marrone. Quasi fosse uno di quei cartelloni che immagino realizzati dai bambini delle elementari per riportare i risultati delle proprie ricerche.
Se poi si scarica l’intero rapporto, si ha un trionfo di schemi, pallini, numeretti, frasi da incidere nel bronzo – Perché per fare la Buona Scuola non basta solo un Governo. Ci vuole un Paese intero. – corsivi, neretti, colori pastello. Un effetto di straniamento viene suscitato dai dati della cosiddetta Consultazione che si articolano in documenti dei 20 Uffici Scolastici Regionali, 115 Position Papers, conclusioni dei 2043 dibattiti diffusi e dibattito online nelle 16 stanze. Si ha l’idea di qualcosa di talmente grandioso da poter contenere tutto e il contrario di tutto, che non propone un progetto determinato di carattere culturale ma punta più sull’effetto coreografico che sui contenuti veri e propri emersi dalla consultazione.
Sarebbe necessario un notevole impegno per analizzare seriamente le 136 pagine ed esprimere un giudizio minimamente credibile. Questo per dire che le impressioni di cui ho parlato sono del tutto soggettive, parziali, legate a modelli mentali del tutto discutibili, tali però da condizionare un’eventuale valutazione, nella precisa consapevolezza che, per gli stessi motivi, altri possono avere impressioni diverse o addirittura opposte. Il modo di presentarsi, comunicare, suggerire riferimenti, stabilire relazioni condiziona fortemente la possibilità di ricevere e discutere i contenuti, e questo vale per ogni forma di insegnamento, mai riducibile a una semplice questione di erudizione e neppure a una semplice questione di simpatia o di sintonia.
L’insegnamento è cosa così complessa e soggettiva che forse, per venire a una delle questioni centrali nella discussione di questi giorni, bisognerebbe riconoscere che una valutazione seria – per non dire oggettiva, come si sente dire – è di fatto impossibile. Il professore di filosofia della prima liceo che mi spinse alle scelte degli anni successivi, condizionando tutto il resto della mia vita, ebbe su alcuni dei miei compagni un effetto diametralmente opposto e li allontanò da studi a loro parere vuoti e inutili. La professoressa di scienze che mi ha lasciato l’impressione – erronea, naturalmente – di studi fondati su infinite, inutili e faticose tassonomie, convinse alcuni miei compagni a dedicare la loro vita proprio a quegli studi. Per fortuna la natura è più astuta della nostra immaginazione.
Torno ancora una volta al mio Agostino:

… quando [i maestri] hanno esposto con parole tutte le discipline che dichiarano d’insegnare, comprese quelle della morale e della filosofia, allora i così detti discepoli considerano nella loro interiorità se le nozioni sono vere, sforzandosi, cioè, d’intuire la verità … S’ingannano dunque gli uomini nel chiamare maestri quelli che non lo sono perché il più delle volte fra il momento del discorso e quello della conoscenza non v’è discontinuità; e poiché dopo l’esposizione dell’insegnante immediatamente apprendono nell’interiorità, suppongono di avere appreso da colui che ha esposto dall’esterno. (De magistro 14. 45.)

Se l’insegnamento è qualcosa di simile, allora la valutazione dei docenti è impossibile. È giusto? Può darsi non sia giusto.

  1. Io credo che una valutazione oggettiva sia davvero impossibile. Questo vale per l’insegnamento ma anche per l’apprendimento. Noi siamo relazione ma siamo anche un colloquio o, se vogliamo, un dialogo. Che questo si realizzi, diventi realtà, dipende da fattori non certificabili. C’è chi, forse, non sa insegnare, ma c’è anche chi, forse, non sa apprendere. Dipende dalle stagioni della vita, dalla nostra capacità di ascolto, dalla nostra possibilità di appassionarci alle domande, dalle scintille che si accendono in noi, da infinite cose … Freud diceva che tre sono i mestieri impossibili: governare, curare, insegnare.

  2. Credo abbia ragione Dino. Mi pare che usino le consultazioni come gli aziendalisti usano i sondaggi, e cioè come lampioni. Ma non per vedere, quanto per appoggiarsi. E un atteggiamento non dissimile è quello sulle prove Invalsi e sarà quello sull’insegnamento di una materia in inglese: ho già visto i librini di filosofia fatti da una casa editrice inglese che opera a livello globale e che, avendola comprata, li impone a una nobile casa di scolastica italiana: traduzione, oltre che della lingua, anche del metodo educativo analitico in italiano. Non è colonialismo? Eppure passerà, perché vi sarà una consultazione …

    • Però nasce una domanda: esiste un modo diverso di usare consultazioni e sondaggi? Noi continentali – nel senso di non analitici – possiamo credere che esista un modo vero di usarli?

  3. Non volevo entrare nel merito e non sono nemmeno sicuro di volere il socialismo :). Volevo solo dire che gli aspetti che per me rappresentano un ostacolo all’apprendimento, per altri possono avere una funzione opposta, e il tuo giudizio lo conferma.
    Il problema come sempre sta nella fiducia che esista un oggettivo malamente. Il mio professore di filosofia per me era un genio, ma per il mio compagno di banco era malamente.

  4. Riguardo al rapporto, alcune delle critiche cha fai sono un po’ da sostenitore della via estetica al socialismo. L’aspetto grafico non mi pare pessimo come dici tu. Colori, faccine e pallini potevano risparmiarseli, ma le finestrelle esplicative non sono male e il rapporto è ben strutturato (le tesi di laurea dei nostri studenti spesso non lo sono). Le 136 pagine vanno lette con attenzione, per poterne parlare seriamente. Tuttavia, si tratta di pagine che vogliono dare un’idea generale di dove si va a parare e di come ci si arriva, molti dettagli importanti relativi all’implementazione delle politiche sono assenti (e non potrebbe essere altrimenti). Credo che il punto sia se siamo d’accordo o meno sull’indirizzo generale che il rapporto esprime.

    Due brevi osservazioni su questo. Mi pare che dal rapporto emerga l’idea di una scuola in cui i luoghi dove l’insegnamento e l’apprendimento funzionano meglio vengono premiati con maggiori risorse. Per la scuola dell’obbligo questo a me pare problematico, in quanto l’indirizzo generale dovrebbe essere quello di impedire che si accentui la diseguaglianza tra le scuole del territorio. L’unica misura che vedo nel rapporto per evitare l’accentuarsi delle diseguaglianze sono gli incentivi economici che i bravi insegnanti avrebbero a spostarsi in una scuola peggiore (in una scuola in cui sono tutti bravi è più difficile essere premiati economicamente e quindi alcuni dei bravi insegnanti avrebbero convenienza a spostarsi in scuole meno buone). Questa misura mi pare insufficiente (non è che uno bravo si sposta dal Parini al Bronx, perché guadagna un po’ di più nel Bronx).

    L’altra osservazione è che il livello culturale della sezione 4 del rapporto (“Ripensare ciò che si impara a scuola”) è desolante. Il ripensamento dovrebbe consistere nel promuovere l’insegnamento della musica e della storia dell’arte (in quanto “la capacità di leggere e produrre bellezza è costitutivo del nostro essere italiani”), dell’educazione fisica (ci sono un sacco di bambini obesi), dell’informatica e dell’economia. Benissimo insegnare musica e storia dell’arte, ma abbiamo un sacco di gente che arriva all’università senza saper scrivere in italiano e senza avere nozioni scientifiche di base. Credo che il ripensamento vada ripensato.

  5. Non ho capito come fai concludere che, se l’insegnamento è la cosa che dice Agostino, la valutazione dei docenti è impossibile. Ammettiamo che, come sostiene Agostino, tra discorso e conoscenza ci sia continuità: il “discepolo” apprende perché considera nella propria interiorità se le nozioni esposte dal “maestro” sono vere. Ne segue che, se il discepolo è poco incline a sforzarsi di intuire la verità, non c’è apprendimento, indipendentemente da come il “maestro” espone. Ma se il “maestro” espone malamente le nozioni, anche il discepolo incline a sforzarsi avrà più difficoltà a considerare nella propria interiorità se le nozioni esposte sono vere e sarà indotto in errore. Insomma, a me pare che, se siamo d’accordo con Agostino, la conclusione non è che la valutazione dei docenti è impossibile, ma che la valutazione dei docenti non può dipendere semplicemente dal livello di apprendimento dei “discepoli”.

  6. La cosiddetta consultazione — stile Leopolda — serve solo come alibi per poi fare di testa propria … e con ciò credono di ingannare i gonzi!

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