CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Una considerazione sul cinema italiano (e su altro) di un consumatore (non esperto) di film

Non sono un esperto di cinema, ma, come molti, anche solo per diversivo, metto piede in una sala cinematografica almeno una volta a settimana. Mi lascio trasportare da quello che vedo, mi abbandono, e poi dò un giudizio. Che ovviamente non pretende nemmeno a essere oggettivo. Anzi, i giudizi sono spesso due: quello a caldo, appena uscito dalla sala, e l’altro, meno emotivo, che dò qualche giorno dopo. Cerco di mettere in primo piano l’opera che vedo. E per non lasciarmi influenzare, che è poi forse una vana e infantile pretesa, non leggo nemmeno le recensioni se non dopo aver visto il film. Cerco di cogliere soprattutto la poetica, diciamo così, che ha ispirato il regista. Mi capita spesso ultimamente di rimanere deluso dai film italiani, in proporzione molto maggiore di ciò che mi capita con quelli di altre nazionalità, in primo luogo con gli americani. Anche quando lo stile e le immagini mi prendono, come nell’ultimo film di Pappi Corsicato, la poetica che li sorregge mi sembra sempre un po’ povera. E’ un caso o c’è un qualche filo rosso che lega molti nostri film ad una poetica e una sensibilità estetica lontane dalle mie? Non vorrei generalizzare, ma, essendomi posto ultimamente con insistenza questa domanda, una risposta mi sembra di averla infine trovata. Non so quanto valore abbia, ma a maggior ragione è forse opportuno sottoporla ai quattro gatti che eventualmente leggeranno queste note. Il problema a mio avviso è che quelli italiani sono per lo più film a tesi e, anche quando scandagliano l’animo umano (spesso non lo fanno nemmeno rimanendo alla superficie), l’intenzione, più o meno inconscia, è sempre di dimostrare qualcosa: che i politici sono sempre e comunque una casta corrotta o comunque lontana dal mondo delle persone normali e per bene (penso al film di Roberto Andò con Toni Servillo); i magistrati giustizieri senza macchia e paura; la tv sempre una cattiva maestra; la realtà che ci circonda sempre e solo il predominio dell’apparire sull’essere (il film di Corsicato appunto o quello ancora peggiore di Garrone); l’America latina un luogo in cui si va per stare vicino ai poveri e all’essenziale della vita e ritrovare se stessi (come nel noioso e retorico film di Giorgio Diritti) …  Ecco, sempre generalizzando, a me sembra che i film italiani non abbiano il senso tragico (etimologicamente parlando) dell’esistenza, la consapevolezza della coesistenza e del mescolarsi di bene e male nei fatti e persino negli individui. Non hanno fino in fondo il senso della storia, né quello della politica, né più in generale la capacità di aderire alla complessità delle vicende umane. Sanno spesso di non spontaneo, di artificiale o intellettualistico: Rssicurano e non inquietano, vogliono offrire certezze. Un film come quello dedicato a Lincoln da Steven Spielberg, che non edulcora le difficoltà e i compromessi a cui deve giungere un politico, anche e soprattutto il grande statista, o Come un tuono di Cianfrance, in cui l’ “eroe positivo” e generoso è un rapinatore e quello “negativo” un poliziotto per bene e politicamente corretto, credo sarebbe stato difficile produrli qui da noi. Sarà un caso, oppure è come se avessimo perso anche in questo, noi italiani, il contatto con il reale?

 

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