MALA TEMPORA

Marco Vitale

Un itinerario di storia imprenditoriale attraverso il Cimitero Monumentale di Milano

“Questo scritto ripercorre l’itinerario “Alle radici dell’imprenditoria milanese” da me illustrato nel merito dell’evento organizzato dal Comune di Milano:”Musei a cielo aperto, X giornata europea”   al Cimitero Monumentale di Milano il 2 giugno 2013″

 

 

Disegnare un itinerario di storia imprenditoriale attraverso il Cimitero Monumentale di Milano richiede delle scelte. Infatti, i personaggi e le storie qui documentati sono tanti e diversi ,coprendo oltre 150 anni (e che anni!) di storia cittadina.

Io ho scelto di disegnare un percorso tra i principali protagonisti del decollo industriale milanese e lombardo. I personaggi che ho scelto sono quelli che hanno piantato i grandi pilastri concettuali sui quali poggia il decollo e lo sviluppo industriale imprenditoriale ed economico milanese e sui quali ancora oggi poggiamo  noi, sia pure sempre più precariamente.

CARLO CATTANEO (1801-1869)

 

Incominciamo dal centro del Famedio, di fronte all’importante tomba di Carlo Cattaneo, appena un passo indietro da quella del grandissimo Manzoni. Cattaneo morì nella notte tra il 5-6 febbraio 1869 a sessantotto anni nella sua aprica casa di Castagnola, allora piccolo comune contiguo a Lugano, oggi incorporato nel comune di Lugano, dove Cattaneo visse, con l’amata moglie Anna Pyne Woodcock, di nobile famiglia inglese di origine irlandese, che gli sopravvisse solo pochi mesi, gli ultimi vent’anni della sua vita. Le sue spoglie furono trasferite al Cimitero Monumentale di Milano il 23 maggio dello stesso anno. Il 23 marzo 1884 le sue ossa furono trasferite al Famedio. Il 23 giugno 1901 (centenario della nascita) Milano erige il maestoso monumento in suo onore, nell’attuale via Santa Margherita, tra piazza Cordusio e la Galleria. E’ bello che la classe dirigente milanese abbia dato presto a Cattaneo, in morte, quel riconoscimento e quegli onori che non seppe dargli in vita.

Ma perché incominciamo un itinerario imprenditoriale da Cattaneo che fu tante cose (filosofo, sociologo, storico, economista, geografo) ma non fu imprenditore, anche se stimolò la nascita di imprese e di alcune fu anche azionista (come l’impresa per la realizzazione della ferrovia Milano – Venezia) e, per alcuni anni fu, anche imprenditore diretto (come per la casa editrice che pubblicò la prima serie della rivista del Politecnico)? Perché nessuno ha fatto più di lui per suscitare lo spirito e la cultura imprenditoriale, per portare la cultura scientifica e tecnica e la cultura del fare nel modello di sviluppo, per sviluppare una cultura molteplice ma unificata da un concetto guida che è il concetto di “incivilimento”, analogo ma più ampio del nostro concetto di sviluppo. E’ il tema  dell’incivilimento che, attraverso il maestro Romagnosi, collega Cattaneo ai grandi dell’illuminismo lombardo tra ‘700 e ‘800. E’ l’incivilimento che proietta il pensiero di Cattaneo verso il futuro e verso le grandi istituzioni che raccolgono il suo insegnamento. Nel libro che testimonia le varie iniziative avviate per celebrare il bicentenario della nascita di Cattaneo, il Politecnico di Milano scrive: “Nel bicentenario della nascita di Carlo Cattaneo, il Politecnico di Milano che ne ha raccolto e attuato l’insegnamento…” E’ vero, com’è vero che le sue idee di fondo sullo spirito d’impresa che non poggia sul capitale ma sull’intelligenza e la volontà sono oggi al centro del pensiero economico più evoluto. “Prima di ogni lavoro, prima di ogni capitale quando le cose giacciono ancora non curate e ignote in seno alla natura, è l’intelligenza che comincia l’opera, e imprime in essa per la prima volta il carattere di ricchezza”. E “chiuso il circolo delle idee si chiude il circolo della ricchezza”. Parole valide sempre ma tanto più valide oggi, come ci documenta la crisi che viviamo, che è soprattutto crisi di idee, di volontà, di moralità. Prima di dare qualche schematica nozione biografica lasciatemi ancora dire che nessuno conobbe così a fondo e amò così profondamente la Lombardia, la sua geografia, la sua storia, la sua cultura più di Cattaneo. Vi sono sue pagine, come quelle bellissime dedicate al sistema delle acque dell’”acquosissima Lombardia” che, pur essendo di geografia, ancora oggi mi commuovono.

Schematizzerò ora la sua ricca e generosa vita:

–          Cattaneo è milanese autentico, anche se la famiglia è di antica origine bergamasca. Nasce il 15 giugno 1801 nella parrocchia di S. Maria degli Angeli in S. Celso, da Melchiorre, modesto orefice, e Maria Antonia San Giorgio, vedova Cighera, maritata a Melchiorre in seconde nozze.

–          Studia in vari seminari. I suoi studi sono guidati da Piero Cighera, cugino del primo marito della madre. Cighera è prefetto dell’Ambrosiana e permette al giovane Carlo di coltivare le sue letture  nella biblioteca anche oltre l’orario di chiusura. Gaetano Cattaneo, lontano cugino del padre, è figura significativa dell’intellettualità milanese ed è fondatore e direttore del Museo Numismatico di Brera, dotato di ricca biblioteca che il giovane Carlo può frequentare liberamente. Chiude gli studi superiori con un biennio (1817-19) all’Imperial Regio Liceo di S. Alessandro (ora Beccaria) e un anno al Liceo di Porta Nuova.

–          Ottiene una borsa di studio per l’Università di Pavia (allora non c’erano università a Milano), ma non può usufruirne per ragioni economiche perché non può rispettare il requisito della residenza. Si iscrive ugualmente a giurisprudenza a Pavia, dove va e viene con il barchetto che parte dalla darsena raggiungendo Pavia lungo il naviglio pavese.

–          Contemporaneamente frequenta a Milano la scuola privata di Romagnosi, grande figura di intellettuale e studioso dell’”incivilimento”, anello di congiunzione con l’illuminismo lombardo. Cattaneo assorbirà molto dal Romagnosi, al quale rimase molto legato e affezionato.

–          Inizia l’insegnamento (grammatica o, come si diceva, umanità) nel ginnasio comunale di Santa Marta. Contemporaneamente inizia una intensa attività pubblicistica di studioso dei fatti sociali, economici, educativi che, ben presto, lo pone in evidenza nella società milanese.

–          Suscitatore di imprese, in particolare della prima ferrovia italiana importante, tra Milano e Venezia, della quale diventa anche azionista.

–          Nel 1838 (a 37 anni) concepisce ed avvia la rivista “Il Politecnico” e la relativa casa editrice alla quale altri partecipano, ma della quale lui è l’anima. La rivista tratta molte materie da quelle tecnico-scientifiche a quelle storico-umanistiche, ed il tema unificante è quello dello sviluppo, dell’”incivilimento”. La rivista che, attraverso varie vicende, nel 1866 finirà in mano a Francesco Brioschi, ingegnere e matematico, astro nascente della cultura tecnico-scientifica italiana, verrà nel 1869 (anno della morte di Cattaneo) fusa con il Giornale degli ingegneri, dando vita a: “Il Politecnico – giornale dell’ingegnere architetto, civile ed industriale”, concentrandosi solo sui temi tecnologici. Il “Politecnico” di Cattaneo fu lo strumento che più di ogni altro ispirò e guidò lo spirito imprenditoriale lombardo, fu confluenza di idee e di talenti, chiamando a raccolta come diceva Cattaneo “tutte le intelligenze disperse qua e là nella vastità dell’Italia e delle isole”, che scolpì il principio che cultura, nelle sue varie complesse e dinamiche componenti, e sviluppo sono inscindibili, che aprì tanti canali tra Lombardia ed Europa (“Dobbiamo guardarci intorno e tornare europei per essere italiani”). Il “Politecnico” è l’opera più importante e duratura di Cattaneo e fu, come bene lo definì Elio Vittorini nel 1945, “il più bel periodico di cultura e di scienza che avesse a quel tempo l’Europa”.

–          E’ del 1844 un altro saggio di grande importanza: “Notizie culturali e civili su la Lombardia”.

–          Nel 1845 diventa segretario-relatore della Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri (SIAM) avviata da Enrico Mylius nel 1838 (stesso anno dell’avvio del progetto “Politecnico”), un altro soggetto di importanza decisiva per lo sviluppo di Milano che incontreremo tra breve parlando di Mylius. Cattaneo diede un grande impulso al decollo scientifico della SIAM.

–          Cattaneo aveva sempre fatto politica con lo studio, le idee, gli scritti, la parola, ma mai politica diretta attiva. Nel 1848, nelle Cinque Giornate, invece, il suo impegno fu diretto ed importante. Ma la sua visione liberale, federalista, antipiemontese uscì sconfitta. L’establishment milanese era monarchico e voleva l’unione con il Piemonte. Cattaneo si rifugiò a Lugano e nel ’49 si stabilì a Castagnola dove dimorò per venti anni sino alla morte nel 1869. Cattaneo aveva sempre avuto contatti stretti con il Canton Ticino (che chiamava “terra italiana e libera”), anche attraverso un antico amico negli studi in seminario, il ticinese Stefano Franscira che aveva fatto un’importante carriera pubblica e fu Segretario di Stato del Cantone. Gli anni ticinesi furono anni di grande attività  per Cattaneo, tanto che,nel 1858, il governo cantonale gli conferisce la cittadinanza onoraria ticinese, fatto avvenuto, prima di allora, solo due volte. Ebbe l’incarico di sviluppare un progetto riformatore dell’insegnamento medio  superiore nel Canton Ticino e fu tra i  fondatori del Liceo Cantonale di Lugano, dove fu insegnante di filosofia e  tenne lezioni memorabili. Fa tante altre cose, come battersi a favore del Traforo del San Gottardo. Nel 1891 il Cantone gli dedica una strada e nel 2001, in occasione del bicentenario della nascita,  la città di Lugano gli dedica un ottimo libro, intitolato “Carlo Cattaneo (1801-1869) un italiano svizzero”. Seguì anche le vicende italiane. Nel 1860 va a Napoli per incontrare Garibaldi e tentare, invano, di conquistarlo a un progetto federalista. Fu eletto parlamentare del primo parlamento italiano ma non partecipò, perché era espressione di una concezione contraria alla sua visione liberale, antimonarchica e federalista.

–          Ma ai fini del nostro itinerario alle radici dell’imprenditoria italiana, il suo contributo più importante del periodo ticinese, fu la pubblicazione, nel 1861, nella seconda serie del “Politecnico” dello scritto “Il pensiero come principio di economia pubblica”. E’ in questo scritto che teorizza che alle radici dello sviluppo non si pone né il capitale (A. Smith) né il lavoro (Marx) ma l’intelligenza e la volontà. Considero questo scritto tra i più importanti in assoluto sulle radici di un’economia imprenditoriale e dello sviluppo. Nel 2001, grazie ad un impegno privato, questo fu il primo scritto di Carlo Cattaneo mai tradotto in inglese (ed. Scheiwiller). Il grande interesse suscitato in America indusse l’importante editore americano universitario Lexington Books a pubblicare e divulgare nelle università un’edizione americana. Nella prefazione di questa edizione il teologo-economista Michael Novack ha scritto: “Questo affascinante e potente saggio di politica economica di Carlo Cattaneo (1801-1869) avrebbe da lungo tempo dovuto occupare il posto che gli compete accanto ai grandi classici come Adam Smith, David Hume, John Stuart Mill, se non per il fatto che (sinora) non era mai stato tradotto in inglese”.

Carlo Cattaneo muore povero  se non di libri, ma la sua eredità per la nostra città è stata immensa ed il suo valore cresce sempre di più man mano che il tempo passa.

HEINRICH MYLIUS (1769-1854)

Il secondo personaggio sul quale ci soffermiamo è Enrico Mylius, di 32 anni più anziano di Cattaneo ma di lui molto più longevo. La sua tomba non si trova nel Cimitero Monumentale, ma al cimitero di Loveno di Menaggio, dove c’è la grande villa di famiglia (Villa Mylius Vigoni) della quale parleremo. Ma al Famedio il nome di Mylius è incluso nell’elenco dei benefattori e nel cimitero una bella tomba di famiglia ospita gli eredi.

Mylius è:

–          tedesco di nascita, ma milanese di adozione; nasce a Francoforte sul Meno il 14 marzo 1769 come tredicesimo figlio di una famiglia di commercianti proveniente dall’Austria.

–          imprenditore autentico;

–          uomo ed organizzatore di cultura;

–          mecenate

Dopo un breve tirocinio nella fabbrica Frankfurther Manufakturverhandlung del fratello Johan Jakob, nel 1789, si stabilisce, a 20 anni, a Milano per aprire una filiale della ditta. Ma ben presto si afferma come imprenditore in proprio soprattutto nel campo tessile (un bel grande quadro ad olio del Migliara rappresenta la grande filanda Mylius di Boffalora; Menaggio, Collezione Vigoni) e  banchiere. Durante il periodo francese, all’inizio dell’800, fu espropriato dei suoi beni, ma successivamente fu reintegrato raggiungendo una solida fortuna economica. Ma fu anche uomo di cultura ed operatore culturale di ampie relazioni, al di qua ed al di là delle Alpi. Ebbe rapporti vivi con Manzoni, Goethe, Cattaneo, d’Azeglio e tanti altri. Emerse come personalità  di spicco della comunità milanese e divenne Presidente della Camera di Commercio, allora l’ente, di gran lunga, più importante ed influente sui temi della vita economica cittadina e dello sviluppo. Fu in questo ruolo che Mylius concepì e realizzò la sua opera più duratura: La Società d’Incoraggiamento Arti e Mestieri (che per la sua grande importanza merita un paragrafo a parte).

Il 7 agosto 1838 (notate il giorno e il mese! Allora in agosto Milano rimaneva aperta), su iniziativa della Camera di Commercio e con la guida di Enrico Mylius (vicepresidente, 69 anni), nel salone della Borsa in Piazza Mercanti viene invitata l’imprenditoria milanese per discutere la creazione di un soggetto capace di “promuovere l’incamminato progresso delle Arti e Mestieri a Milano”. L’adesione è molto promettente e confluirà nella seduta costituente del 22 marzo 1841 nella quale si raccolsero ben 433 sottoscrizioni per un totale di 70.042 lire. Presidente fu eletto Enrico Mylius che conservò la carica sino al 21 aprile 1854, data della sua morte (85 anni). Mylius non si limitò a progettare e promuovere la SIAM ma la finanziò generosamente[1] e convinse molti a contribuire. E’ questa una caratteristica fondamentale dell’epoca; si tratta di una grande tradizione che accompagnerà la nostra città almeno lungo tutto l’800, e della quale Mylius è l’indiscusso apripista. Così come Mylius finanziò generosamente la prima Scuola di chimica applicata, nata nell’ambito della SIAM e sulla quale ci soffermeremo  parlando del primo direttore Antonio Kramer. Mylius donò alla scuola di chimica una rendita perpetua di 4,605 lire pari ad un capitale di 104,732 lire, alla quale aggiunse 12,000 lire per l’attrezzatura della scuola.

Non so se il magnifico motto lombardo: “metà parè e metà danè” nacque allora, ma certo esso interpreta perfettamente il modo di pensare e di agire dei leader economici di quel periodo. Chi ha avuto successo sente di dover restituire alla città almeno parte di quello che ha ricevuto, per sostenere ulteriormente le arti e i mestieri, lo sviluppo della conoscenza tecnica e scientifica, le scuole, la crescita economica, l’incivilimento. Il decollo industriale è opera di grandi individualità ma è anche, e sono tentato di dire, soprattutto opera collettiva. Questo movimento è stato giustamente denominato: “mecenatismo produttivo”. In questa sede non si dona per aiutare i bisognosi  o per favorire la realizzazione o la tutela di opere d’arte, ma per rendere la città, nel suo insieme, più produttiva e più moderna. Sono donazioni di denaro, ma anche di impegno, di tempo, di trasmissione di esperienza, di docenza. E le donazioni si realizzano attraverso quei soggetti che hanno per missione quello di “promuovere l’incamminato progresso delle arti e mestieri di Milano”, come la SIAM e, più tardi, il Politecnico (1863).

Si instaurano così circuiti virtuosi. Si investe sui giovani di valore nell’ambito della SIAM, dove spesso partono come semplici operai (come Luciano Pomini) o tecnici (come Ercole Marelli) o del Politecnico (come Giovan Battista Pirelli). Molti di loro ritornano, dopo il successo imprenditoriale, nelle scuole dalle quali sono decollati e li ritroviamo come insegnanti e come sovventori  o come consiglieri delle istituzioni formative dalle quali provengono. La parola d’ordine nella classe dirigente è “I migliori nomi ed i migliori intelletti”. E’ per questo che giovani di modeste origini come Carlo Cattaneo e Giuseppe Colombo vengono aiutati ad esprimere rapidamente tutte le loro grandi doti. E’ anche così che nasce il mito di Milano, capitale morale d’Italia.

Dopo la morte di Enrico la famiglia Mylius si intreccia con la famiglia Vigoni, ma la tradizione di impegno civico e di mecenatismo non va persa, Così un Giulio Vigoni (1837-1926) dal 1912 al 1921 è presidente della SIAM e l’ultimo erede Ignazio Vigoni (1905-1983) donerà al governo tedesco la elegante villa della famiglia Mylius –Vigoni a Loveno di Menaggio, a condizione che venisse affidata ad una fondazione impegnata a sviluppare i rapporti culturali tra Italia e Germania. Così è stato fatto e così la Fondazione Villa Vigoni, Centro Italo-Tedesco per l’eccellenza europea è, oggi, sede di attivi scambi culturali italo-tedeschi, sempre ad alto livello. In questa villa si respira la grandezza imprenditoriale, culturale e morale di Enrico Mylius, che rappresenta un esempio di come dovrebbero essere gli imprenditori responsabili. Nelle enciclopedie   su Milano da me consultate, non ho trovato il nome di Mylius e ciò mi ha molto rattristato, perché la riconoscenza che Milano deve a Enrico Mylius è molto grande.

SOCIETA’ INCORAGGIAMENTO ARTI E MESTIERI (1838-2013)

Parlando di Carlo Cattaneo e di Enrico Mylius ci siamo ripetutamente incontrati con la Società Incoraggiamento Arti e Mestieri (SIAM). Ma vedremo che con essa si incrociano tutti gli altri protagonisti sui quali ci soffermeremo, ad eccezione di Ferdinando Bocconi (ma il fratello Luigi fu nel Consiglio direttivo della SIAM dal 1890 al 1896). Per questo è utile, a questo punto, sviluppare qualche, sia pur breve, cenno su questa fondamentale istituzione milanese[2].
Abbiamo visto come la SIAM, il frutto migliore e più duraturo di Enrico Mylius, viene  costituita tra il 1838 – 1841. Essa è ancora in vita e opera utilmente nella nostra città nella sua sede storica di Piazza Mentana – via Santa Marta che fu la terza e definitiva sede della SIAM (che ivi si insediò nel 1890). Dunque  è testimone di 175 anni di storia cittadina.

La SIAM nasce con un’identità e una missione ben precisa: “Istituzione privata produttrice di pubblici servizi”. Era quella un’epoca felice nella quale se gli imprenditori volevano fare qualcosa di utile, non chiedevano soldi allo Stato ma ci mettevano del loro a favore della città e cioè per lo Stato. Scorrere gli elenchi di coloro che si sono impegnati nella SIAM (come contributori o docenti o allievi o amministratori e spesso con una molteplicità di ruoli) è impressionante; ci sono tutti i migliori della storia della Milano moderna. All’inizio oltre a Carlo Cattaneo, Francesco Brioschi (scienziato), Antonio Allevi (economista) e poi Cabrio Casati (autore della famosa legge Casati del 1859, magna charta della scuola italiana), Giuseppe Colombo, Antonio Kramer, De Angeli, G. Battista Pirelli,  Salvini, Fuzier, Gavazzi, Salmoiraghi, Antonio Biffi, Ercole Marelli, Luigi Pomini, Borletti, De Micheli, Semenza, Gadola, Conti, Cicogna e tanti altri.

Le attività principali sono state: formazione; premi incentivanti per le attività più innovative; sostegno all’avvio di nuove attività. Come la Scuola di chimica applicata, finanziata da Mylius ed affidata ad Antonio Kramer, di famiglia tedesca ma nato a Milano con studi in Germania, Francia, Svizzera, un vero scienziato morto, purtroppo, a soli 47 anni. Ma Kramer aveva impostato le cose tanto bene  che la scuola proseguì e si sviluppò. Passeremo davanti alla sua tomba di famiglia. La SIAM sviluppa stretti contatti con analoghe società in Europa e, quindi, anche per questa via dà un forte contributo all’inserimento di Milano nelle reti internazionali. Il successo è rapido ed importante, sicché la SIAM progetta di promuovere analoghe sezioni in altre città lombarde. Ma si scontra con l’opposizione ruralista. Mantova, Sondrio, Chiavenna, Lodi si rifiutano di partecipare ad una iniziativa “volta alla promozione di nuove e inusitate industrie” non rispondenti ai propri interessi agricoli. Bergamo (ed è ancora oggi atteggiamento tipico dei bergamaschi) è positiva sull’iniziativa, ma vuole fare da sola, costituendo una società simile ma bergamasca. Nel 1847 si costituisce la scuola comasca di setificio. Nel 1851 la SIAM  sostiene la partecipazione di molti esperti all’Esposizione Universale di Londra per imparare e ciò sarà prezioso per la preparazione dei giovani brillanti e per incominciare a pensare alla  Esposizione da tenere in Italia (ciò avverrà nel 1881). Nel 1857 al giovane tecnologo Giuseppe Colombo, neolaureato a Pavia, viene affidato (pochi mesi dopo la laurea) l’insegnamento come assistente di tecnica applicata, su indicazione del suo professore Francesco Brioschi con il quale si è laureato. E’ la fortuna di Giuseppe Colombo, ma è anche la fortuna di Milano e dell’Italia. Come vedremo, soffermandoci alla sua tomba, Giuseppe Colombo è persona di straordinaria importanza ed influenza nel decollo industriale di Milano. Sul piano per così dire ideologico la dirigenza SIAM è ferma su tre punti cardine: difendere una propria forte autonomia; promuovere lo studio e lo sviluppo dei settori ed attività innovative; preparare tecnici e operatori con solide basi scientifiche e con una buona base culturale e non semplici pratici, come molti pretendevano (una questione questa che ritornerà anche in relazione dell’avvio del Politecnico e della Bocconi).

Nel 1863 la SIAM svolge un ruolo fondamentale per la costituzione e l’avvio del Regio Istituto Tecnico Superiore (previsto nella legge Casati), subito chiamato Politecnico dalla cittadinanza. Il primo gruppo di docenti viene tutto dalla SIAM: Francesco Brioschi (che sarà il primo direttore), il giovanissimo Giuseppe Colombo (disegno industriale), Agostino Frapolli (chimico), Celeste Clericetti (disegno di costruzioni civili). Della SIAM sono le collezioni tecnologiche e le attrezzature didattiche. Nella sede della SIAM si svolgono le prime lezioni del Politecnico. E se si osserva la fotografia dei primi laureati ingegneri del Politecnico si vedono: Alberto Riva, Giovanni Battista Pirelli, Angelo Salmoiraghi e poi Cabella, Prinetti, Pane, Gavazzi. Ed allora si capisce che l’imprenditoria milanese non nasce dai praticoni ma da una preparazione tecnico-scientifica di alto livello, che ha le radici in Carlo Cattaneo e si sviluppa, come un filo rosso, tra SIAM, Politecnico e, dal 1902, la libera università Luigi  Bocconi.
Nel 1871 il ruolo della SIAM è importantissimo per la preparazione della prima Esposizione industriale italiana voluta dall’Associazione Industriale sorta a Milano nel 1870 e nel 1881 per la preparazione della Esposizione industriale che fece scoprire agli italiani il grande progresso industriale realizzato. Nel 1893 si costituisce la prima scuola elettrotecnica italiana, per avviare ai bisogni formativi della nuova industria avviata, in Italia, nel 1883, da Giuseppe Colombo che aveva avviato la prima centrale elettrica d’Europa in via Santa Radegonda e l’avvio della Edison.

Nel 1902 grazie ad un ricco lascito del commerciante Prospero Moisè Loria fu costituita a Milano l’Umanitaria che divenne, accanto alla SIAM il secondo grande centro d’irradiazione dell’istruzione professionale. Rispetto alla SIAM, l’Umanitaria, in consonanza con i tempi e con la volontà del fondatore prestava particolare attenzione ai temi sociali e della crescita negli operai di un sentimento di inclusione. Non a caso il primo segretario generale e direttore, Augusto Osimo, era un turatiano. Ma con lui collaborarono strettamente l’imprenditore Angelo Salmoiraghi, Cesare  Soldini, tecnologo che proveniva dal Politecnico e da una lunga esperienza alla SIAM. E tra la SIAM, l’Umanitaria, il Politecnico, non ci fu rivalità, ma collaborazione e sinergia, nel comune sentimento di collaborare allo sviluppo della città ed al generale incivilimento. Ad essi, per chiudere il cerchio, si unirà ben presto la neonata Bocconi (nata anch’essa nel 1902) che pure utilizzò, per alcuni dei primi corsi di impronta merceologica, spazi della SIAM.

La SIAM prosegue la sua attività nel corso del 1900. Nel secondo dopoguerra troviamo tra i soci, Falck, Pirelli, Edison, Montecari, Gavazzi, Tecnomasio, Riva,  Ercole Marelli. Negli anni ’50 le varie scuole avevano 5500 allievi. La presidenza fu del grande imprenditore, soprattutto,  Ettore Conti (1871-1972) dal 1921 al 1965 e poi del senatore Borletti.

Oggi, la SIAM, non ha più l’importanza di un tempo ma continua a svolgere compiti molto utili ed a testimoniare una stagione veramente gloriosa per la nostra città e per la sua storia imprenditoriale.

FRANCESCO BRIOSCHI

 

Prima di lasciare il Famedio ci spostiamo nella Galleria di levante per una breve visita alla tomba di uno dei grandi del nostro itinerario: Francesco Brioschi. Già sappiamo parecchio di lui, perciò potrò essere molto schematico.

Nasce a Milano nel 1824 e muore a Milano nel 1897. Scienziato e matematico è professore all’Università di Pavia dal 1850; deputato al Parlamento nel 1861 fu due volte segretario generale dell’istruzione pubblica. Nel 1863 (a 35 anni) fu determinante per la creazione del Politecnico, del quale fu direttore sino alla morte, nel 1897, quando a lui subentrò  Giuseppe Colombo un allievo che lui aveva aiutato a crescere e ad affermarsi, dapprima nella SIAM e poi  nel Politecnico. Nel 1865 fu nominato senatore; nel 1884 succedette a Sella nella presidenza dell’Accademia dei Lincei. Gestì la seconda serie della rivista Politecnico che fuse con il giornale dell’ingegnere. Fu grande organizzatore ed al tempo stesso autore di studi matematici raffinati e maestro di grandi matematici  quali il Beltrami, il Cremona, il Casorati. Le prime leve di ingegneri laureati nel “suo”Politecnico furono componente essenziale del decollo industriale milanese.

PASSEGGIANDO VERSO LA TOMBA DI GIUSEPPE COLOMBO

 

Ci avviamo verso la tomba di Giuseppe Colombo, del quale sapete già molto, facendo  però una breve deviazione dalla linea retta. Usciti dal Famedio prendiamo (a sinistra) il grande viale che porta a ponente. Qui troviamo al termine del viale la bella tomba della famiglia Mylius  ma non, come già detto, quella di Enrico. Prendendo poi il viale verso Nord ci imbattiamo in un elegante cippo della famiglia De Kramer (o Kramer) della quale abbiamo già incontrato Antonio Kramer (1806-1853). La famiglia proviene da Essenheim, presso Francoforte. Trasferitosi a Milano verso la fine del ‘700, il padre di Antonio, Giovanni Adamo De Kramer, si affermò come uno dei più noti imprenditori tessili, aprendo un importante stabilimento per la stampa di tessuti di cotone. Antonio nasce a Milano ma compie i suoi studi di perfezionamento all’estero con la guida dei più importanti scienziati chimici del tempo: in Germania, a Ginevra, a Parigi. Rientrato a Milano si affermò come tecnologo chimico, collaboratore di istituzioni scientifiche, pubblicista (scrisse saggi importanti sul Politecnico di Cattaneo) e fu anche consigliere comunale (era allora comune che le persone competenti dedicassero del tempo agli affari cittadini nel consiglio comunale). Mylius gli affidò nel 1844 la direzione della nuova scuola di chimica nell’ambito di SIAM che iniziò il 26 febbraio. La scuola fu un grande successo e alla seconda lezione, il 28 febbraio, l’affluenza fu così elevata che molti non trovarono posto. Tra il pubblico “molti giovani e molti operai”, “50 industrianti” e “alcune centinaia delle più culte persone”. Kramer morì giovane e morendo, donò alla scuola l’attrezzatura del suo laboratorio, il cui valore fu stimato in Lire 10.370, che lo colloca nell’elenco dei maggiori benefattori, anche finanziari, della SIAM.

Proseguendo ancora un po’ verso nord non possiamo non notare sulla sinistra la magniloquente cappella di Davide Campari sovrastata da un monumentale complesso statuario che, credo, rappresenti l’ultima cena. Questa tomba segna un passaggio di epoca e di stile. Oramai, grazie all’intelligenza iniettata nel sistema dai Cattaneo, Mylius, Brioschi, Kramer, l’imprenditoria milanese è diventata ricca e vuole esibire la sua ricchezza anche dopo la morte; un po’ come i faraoni, alla ricerca dell’immortalità.

Ma lasciamo la cappella Campari alle spalle e prendiamo il grande viale che va verso levante. Notiamo a destra ed a sinistra molte cappelle familiari tra le quali quella dei Pirelli. Poco prima dell’incrocio con il grande viale centrale che collega il Famedio all’Ossario Centrale, ci spostiamo verso il primo vialetto verso Sud e troviamo la severa, sobria e un po’ trascurata tomba di Giuseppe Colombo.

GIUSEPPE COLOMBO (1836-1921)

 

Credo che, sulla base di quanto abbiamo già detto, a nessuno sfugga l’importanza di Giuseppe Colombo.

Schematicamente:

–          Nasce a Milano da famiglia della piccola borghesia nel 1836, lo stesso anno di nascita di Ferdinando Bocconi ma gli sopravviverà 13 anni, morendo nel 1921 a 85 anni. Una vita lunghissima ed estremamente fertile;

–          in gioventù è garibaldino;

–          studia meccanica a Pavia con Francesco Brioschi, laureandosi nel 1857 a 21 anni;

–          nello stesso anno viene chiamato, su segnalazione di Brioschi, a insegnare meccanica applicata alla SIAM, con la quale manterrà un legame stretto e reciprocamente fruttuoso per tutta la vita;

–          nel 1862 la SIAM lo incarica di andare a Londra a studiare l’Esposizione Universale e le innovazioni presentate in tale sede. L’incarico è finanziato con un contributo di lire 1500 della Camera di Commercio. Il suo rapporto risulta prezioso per gli sviluppi successivi;

–          nel 1863 segue Brioschi, come professore di disegno meccanico al nuovo Politecnico, conservando, in un primo tempo, anche l’insegnamento alla SIAM. Poi nell’insegnamento di base alla SIAM viene sostituito da G.B. Pirelli, uno dei più brillanti nuovi laureati al Politecnico. Colombo appare sempre più anello di congiunzione fondamentale tra le due istituzioni;

–           è uno dei principali organizzatori e protagonisti della Esposizione Industriale del 1881 (dopo quella fiorentina del 1861 e quelle di Milano del 1871 e 1874). L’Esposizione del 1881 mostra all’Italia e al mondo gli straordinari progressi nell’industrializzazione che l’Italia ha saputo fare in soli 20 anni, come ben illustra lo stesso Colombo in una relazione di grande interesse. La manifestazione fu anche un successo commerciale: 7139 espositori, 1 milione di biglietti venduti, saldo attivo di 135,504 lire;

–          sostiene strategie che si riveleranno preziose nei decenni successivi, come quella che Milano deve evitare lo sviluppo di grandi complessi industriali e puntare sull’industria media;

–          nel 1883 avvia il sistema elettrico italiano, negoziando personalmente a Parigi con Edison e installa il primo impianto europeo per la distribuzione di luce elettrica con il sistema Edison, in via Santa Radegonda (la stessa via dove, nel 1865, avevano aperto la prima bottega i fratelli Bocconi). Fonda la Edison della quale diventa azionista. “O io m’inganno grandemente – affermava Colombo nel 1890 – o l’applicazione dell’elettricità alla trasmissione della forza a grandi distanze rappresenta per l’Italia un fatto di un’importanza così straordinaria che l’immaginazione più fervida difficilmente potrebbe prevederne tutte le conseguenze. E’ un fatto che può mutare completamente la faccia del paese, che può portarlo un giorno al rango delle Nazioni più favorite per ricchezza di prodotti naturali e per potenza d’industria”;

–          cura la formazione e la crescita anche economica dei migliori allievi (come Pirelli, Soldini, Cantoni). E’ dubbio che i Pirelli avrebbero potuto avere la cappella che abbiamo appena visto senza un professore come Colombo che spinge G.B. Pirelli a perfezionarsi all’estero, che gli fa avere le borse di studio per poter fare ciò, che gli suggerisce di dedicarsi alla gomma che è il prodotto del futuro e che quando il giovane Pirelli ritorna lo aiuta, con un’operazione di autentico venture capital, a raccogliere i fondi per la sua “start up”. Certo G.B. Pirelli era un giovane particolarmente dotato e deciso ma, senza professori come Colombo, il suo decollo sarebbe stato molto più difficile;

–          scrive il celebre Manuale Hoepli dell’Ingegnere, che ha resistito per quasi cento anni alle  innovazioni tecnologiche in tutti gli studi di ingegneri e di tecnologi;

–          fu tra i promotori dell’Associazione degli Industriali d’Italia, per prevenire gli infortuni sul lavoro (1894) e per la Cassa Nazionale d’Assicurazione contro gli infortuni;

–          dal 1897 alla morte nel 1921 è il secondo direttore del Politecnico dopo la morte di Brioschi;

–          dal 1881 è impegnato nell’attività politica, dapprima come consigliere comunale a Milano e dal 1886 come deputato. Sostenitore coerente e fermo del liberismo economico a cui accoppia una politica antifiscalista, diviene ministro delle Finanze nel governo Rudinì (1891), dimettendosi ben presto per contrasti sugli eccessi di spese militari. Ministro del tesoro (1896), presidente della Camera (1899-1900) è su posizioni moderate: condanna le repressioni seguite ai moti del 1898, è contrario alla politica coloniale, ritenendo più utile concentrarsi sullo sviluppo economico del Paese. Negli ultimi anni, pur non rinunciando alla battaglia politica, in particolare contro la partecipazione statale nell’industria e nei servizi, si dedica soprattutto all’insegnamento come direttore del Politecnico.

Alberto Saibene ha ben sintetizzato la straordinaria importanza di Giuseppe Colombo con queste parole: “Personalità esemplare dell’età positiva e della Nuova Italia, Colombo è riuscito a coniugare, nella sua lunga e operosa vita, una lucida visione teorica dei processi di innovazione tecnologica a una sterminata attività pratica di cui ancor oggi la nostra città porta il segno”.

FERDINANDO BOCCONI (1836-1908)

 

Prendiamo il viale che volge a Sud parallelo al viale centrale. Ci sono tombe eleganti, come quella illuminata da una bellissima scultura in ceramica di Lucio Fontana. Ma ci sono anche roboanti mausolei come la grande piramide di tipo egiziano dei Falk, e come, al termine del viale, quella della famigliaBocconi.

Qui ci soffermiamo perché siamo arrivati all’ultimo grande personaggio della nostra passeggiata alle origini dell’imprenditoria milanese e lombarda: Ferdinando Bocconi.

Ferdinando Bocconi nasce a Milano (nonostante alcune fonti continuino a farlo nascere a Lodi) nel 1836 e viene qui battezzato nella parrocchia di Sant’Alessandro. Ma i genitori sono di Lodi e qui si trasferiscono subito. A Lodi Ferdinando compie gli studi della scuola primaria (3 anni) per poi impegnarsi subito nel lavoro. Il padre è un povero sarto che per integrare il bilancio familiare fa anche il venditore ambulante di tessuti e mercerie. I tre figli (Ferdinando, Giuseppe, Luigi) lo aiutano in questa attività. Ferdinando viene messo a bottega presso un commerciante di tessuti. Il padre, che a Lodi ha avuto problemi di varia natura anche giudiziari, si trasferisce a Milano nel 1850 quando Ferdinando ha 14 anni. Raccontano che Ferdinando ha con se solo un libro che, in quegli anni, fu un best seller mondiale: “Self help” di Samuel Smiles, il cui insegnamento di fondo è: lavorate, lottate, persistete, non contate che su voi stessi (ma resta il dubbio di dove avesse imparato l’inglese lui che aveva fatto solo le scuole elementari). Ferdinando è un giovane di vivissima intelligenza, coraggioso e deciso e fa propri questi insegnamenti. Continua a Milano ad aiutare il padre nell’attività di venditore ambulante. Dicono che avesse una bancarella sul Naviglio.  Nel 1861 si  arruolò come volontario nella guerra contro il brigantaggio meridionale. Nel 1864 muore il padre e un anno dopo Ferdinando con il fratello Luigi, apre la prima bottega in via Santa Radegonda. Nel 1868 si sposa ed avranno tre figli; il primo è Luigi. La decisione di aprire bottega è rischiosa ma i fratelli Bocconi hanno le idee molto chiare e sono forti innovatori. Sono il primo esercizio commerciale a installare l’energia elettrica, il che attirerà l’attenzione del pubblico. Ma sono anche i primi ad applicare  i prezzi fissi, a offrire vestiti pronti, a fare vendite su cataloghi per corrispondenza, a fare uso di pubblicità e cartellonistica (ci sono vecchie foto di via Radegonda che mostrano la grande evidenza dei cartelloni che segnalano: Fratelli Bocconi.)

Nel 1867 viene inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele del Mengoni. Parte una grande discussione cittadina se demolire  o meno tutte le stradine e portici intorno per creare una prospettiva forte Galleria – Duomo. Ferdinando è attivo nel sostenere la demolizione dei vecchi edifici e quando questa tesi prevarrà sarà lesto a procurarsi un lotto di terreno vicino alla Galleria. Dove ora vi è la Rinascente, vi era allora un importante albergo di 400 stanze, denominato Albergo Confortable, la cui gestione non è in buone acque. Ferdinando è, ancora una volta, lesto e coraggioso. Si assicura in affitto il complesso per 50,000 lire annue e vi installa il primo grande magazzino italiano che chiama “Aux villes d’Italie” (allora tutto  quello che era francese era di moda). L’intelligenza, la volontà, il coraggio dei fratelli Bocconi, ma soprattutto di Ferdinando, pagano, a conferma di quanto diceva Cattaneo: la ricchezza nasce dall’intelligenza e dalla volontà. Tra il 1870 e il 1880 lo sviluppo è rigoglioso, e  non solo a Milano ma a Firenze, Genova, Trieste, Roma, Livorno, Palermo, Torino, Napoli e persino a Parigi. La sua è una gestione severa e dura ma anche umana. Il personale deve essere fedele e impegnato ma riceve anche le sue soddisfazioni, economiche e comportamentali. Federico è sensibilissimo alla formazione ed educazione dei suoi dipendenti e mostra, in generale, nel campo formativo ed educativo, una attenzione particolare, anche al di fuori dell’azienda.

Sostiene la necessità di tenere aperti i grandi magazzini la domenica, con parole che vanno bene anche nel dibattito odierno sul tema: “Anche il commercio, nei suoi templi maggiori e minori, dovrebbe celebrare la domenica le sue esibizioni allettanti. E’ vero che con ciò si sacrificano schiere di lavoratori, ma questa è necessità ineluttabile della civiltà, quando la civiltà ha raggiunto una certa altezza. Nessuno si sogna di interrompere alla domenica il traffico dei treni e dei tranvai, la fornitura dell’acqua potabile, del gas e dell’energia elettrica. Nessuno chiude di domenica gli ospedali e le farmacie. Nessuno chiude la domenica i teatri. Anche queste attività implicano il sacrificio dei lavoratori che vi sono adibiti, ai quali è d’uopo consentire il riposo in un altro giorno della settimana. La legge biblica, religiosa, sociale muove evidentemente dalla considerazione che l’uomo ha bisogno di riposo e di distrazione per un intero giorno ogni sei giorni lavorativi; ma scientificamente considerata la prescrizione non v’è bisogno che quel giorno cada per tutti nell’identico ambito di 24 ore”.

Partecipa all’Expo 1881 con un padiglione importante. Nel 1887 avvia la costruzione del nuovo palazzo a Milano ed inaugura la nuova sede di Roma in piazza Colonna. In due anni, nel 1889 la nuova sede è pronta a Milano con un investimento di lire 5.500.000, 2300 metri di esposizione, 1432 addetti. Il motto è: Fervet opus. La nuova sede sarà gravemente colpita da un incendio nel 1918 (riprenderà con il nome di Rinascente, creato da D’Annunzio) e dai bombardamenti nel 1943.

Federico, a differenza dei personaggi che abbiamo incontrato in precedenza, rifiuta ogni incarico pubblico dicendo a chi lo preme in tal senso: “quello che mi proponete non è proprio il mio mestiere”.

Per la successione punta sul primogenito Luigi, che è un giovane di valore ma inquieto. E’ sottotenente di complemento, volontario nel V Alpino di Torino, viaggia molto. E’ alla ricerca di qualcosa che spieghi e giustifichi la sua posizione privilegiata. Nell’ultima lettera al padre Luigi scrive: “Non mi guida l’ambizione, mi guida invece il decoro del nostro nome e la volontà ferrea di volerlo stimato e riverito. Senza di ciò le ricchezze sono vane chimere, atte ad indebolire i corpi e a falsare gli animi”.

Nel 1896 Luigi aveva 27 anni e, come tanti giovani di allora, era molto sensibile al messaggio socialista umanitario. Quando Crispi scatenò la guerra d’Africa, Luigi,  in disaccordo con il padre, si allontanò da casa senza avvertire la famiglia. Si imbarcò come inviato speciale, ma partecipò ai combattimento con una squadra di ascari da lui formata e finanziata. Ed al tramonto del 1 marzo 1896 cadde sul campo, insieme al col. Airage nella tragica sconfitta di Adua. Ferdinando Bocconi seppe della morte da una lettera che Luigi aveva scritto ai genitori prima di partire, e che doveva venire consegnata al padre solo in caso di morte. E’ una lettera, piena di sentimento, di amore per i genitori, di ricerca di qualcosa di più alto e più nobile, qualcosa che dia un senso alla vita. Luigi scrive: “Non c’è gioia nel mondo dove non esiste poesia; la poesia non è senza sacrificio e il sacrificio non  è vana parola. Vi assicuro che sono morto con il Vostro nome sulle labbra, perché, fin che ho un ultimo soffio di vita lo respirerò per Voi”.

Luigi era sicuramente un giovane fuori dall’ordinario e ciò rese ancora più duro il colpo per Ferdinando. Ma come è proprio degli uomini d’azione e forti, Ferdinando cerca conforto nella sua ultima grande impresa: realizzare e finanziare la creazione di una grande Università per ricordare nel tempo il nome di Luigi Bocconi, l’amato figlio caduto ad Adua.

L’idea della Università Luigi Bocconi nasce, sin dall’inizio, come una cosa grande,  ad alto livello. Deve essere qualcosa che rappresenti una novità assoluta per l’Italia, un istituto di alto livello scientifico per  gli studi economici, un’alta scuola di commercio.

In un primo momento Ferdinando pensò di farla nascere come sezione speciale del Politecnico e l’ipotesi, accolta con entusiasmo dal direttore del Politecnico Giuseppe Colombo, era già molto avanti. Ma rendendosi conto che con questa impostazione ci sarebbero stati molti vincoli e condizionamenti, Ferdinando improvvisamente cambiò strada. Deve essere una Università libera ed autonoma. Affida il progetto didattico a Leopoldo Sabbatini, un quarantenne di Camerino,  con studi a Pisa, segretario della Camera di Commercio di Milano. La scelta fu molto felice. Sabbatini si identifica nel pensiero e nella volontà di Ferdinando e li realizza al meglio tanto che, come è stato scritto se Ferdinando Bocconi  è il fondatore, Leopoldo Sabbatini è il forgiatore della Bocconi. Fonda un organismo di alto livello come modello didattico e come qualità di docenti; resiste ai soliti, che abbiamo già visto all’opera nella SIAM e nel Politecnico, che vogliono una semplice preparazione tecnico-professionale e non scientifica; anzi alza l’asticella ancora più in alto di dove l’aveva posta Ferdinando. Ma questo lo segue in pieno, anche alzando la dotazione finanziaria dalle iniziali 200,000 a 400,000 lire e poi a un milione. Nella prima riunione di Consiglio, il 5 luglio 1902, Sabbatini viene nominato  primo presidente ed il 10 novembre 1902 iniziano i corsi, nella sede di via Statuto di quella che, rapidamente, diventerà una delle più importanti università italiane, gloria e forza della nostra città. Nel 1906 Ferdinando viene nominato senatore del regno, ma non partecipa, ed il 5 febbraio 1908 alle sei di sera si spegne. Quanta strada ha fatto il piccolo venditore ambulante di tagli di stoffa, di Lodi!

INTELLIGENZA E VOLONTA’

 

Avevamo iniziato con Carlo Cattaneo e con la sua tesi che la ricchezza nasce dall’intelligenza e dalla volontà. Chiudiamo con Bocconi che è una limpida testimonianza di quanto ciò sia vero. Da Cattaneo a Enrico Mylius, a Francesco Brioschi, a Giuseppe Colombo, a Ferdinando Bocconi, il filo rosso che tutti li lega è la convinzione che intelligenza, volontà e scienza sono i pilastri di una buona imprenditoria, di un buon modello imprenditoriale, di un buon e civile sviluppo, di una buona città.

Questi sono i pilastri sui quali ancora oggi noi poggiamo, e che resistono anche se da qualche tempo, stupidamente, li stiamo prendendo a picconate.



[1] Solamente il suo primo contributo nel 1842 fu di lire 101.920. Per avere un metro di misura tutti i negozianti della Camera di Commercio donarono lire 59.519.

 

[2] Per chi vuole approfondire c’è un libro bellissimo e importantissimo: Carlo G. Lacaita, L’intelligenza produttiva, Imprenditori, tecnici, operai nella Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri di Milano (1838-1988), Electa, 1990

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