L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Santi

Per tutto il tempo della lunga cerimonia del 27 aprile, per la beatificazione dei due pontefici, ha mantenuto un’espressione seria, quasi severa, non ha sorriso né ha manifestato quello sguardo a volte ironico che abbiamo imparato a riconoscere negli occhi di papa Francesco. Darei qualunque cosa per sapere che pensasse, che cosa passasse nella mente di un uomo che ha sedotto fedeli e non fedeli con la sua proposta di semplicità e di spontaneità. Cosa poteva pensare davanti a una folla sterminata che seguiva con una straordinaria attenzione un rito difficile da capire con strumenti intellettuali? Mi piacerebbe sapere come il papa che ha parlato alla interiorità dei cristiani riesca a dare coerenza nel suo intimo alle parole di misericordia e umiltà da lui spesso pronunciate e una manifestazione di massa trionfante che riempiva piazza san Pietro e via della Conciliazione.
La grandezza della chiesa cattolica sta probabilmente in larga misura proprio in questa capacità di mantenere uniti e solidali i due livelli, della interiorità e della esteriorità, in modi diversi secondo i tempi, secondo le sensibilità, secondo le differenti maniere di intrattenere i rapporti con il mondo. La lettura evangelica della messa che ha accompagnato la beatificazione ricorda le parole con cui, secondo Giovanni, Gesù si rivolge ai discepoli dicendo loro: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. Difficile immaginare una dichiarazione di potenza meno umile e meno misericordiosa.
E tuttavia, guardando quelle immagini – e cercando nello stesso tempo di non prestare troppa attenzione ai banali ed edificanti commenti dei telecronisti – è impossibile non sentire il fascino, se non della fede, almeno della storia, di quanto lo scorrere dei secoli abbia saputo produrre e delle occasioni per far sentire unite masse di uomini, e oggi per fortuna senza bisogno di essere contro qualcun altro.
Anche l’omelia di papa Francesco non ha avuto i voli e la forza di comunicazione cui pure ci ha abituato. E’ stata ordinata, tradizionale, con i suoi riferimenti alle piaghe di Gesù risorto, scandalo per la fede ma anche verifica per la fede e si è collocata armoniosamente entro una lunga tradizione fatta rivivere dal canto che l’ha preceduta – Victimae paschali laudes – che risale all’XI secolo.
Poco più di cento anni fa, la chiesa cattolica conobbe momenti di particolare crisi nella tensione, sempre presente, tra spinte tradizionaliste e spinte innovative, tra il bisogno di santi e il bisogno di disciplina, tra interiorità ed esteriorità.

Figlio mio disse Sua Santità alcune di queste cose il Signore le ha dette da gran tempo anche nel cuore mio. Tu, Dio ti benedica, te la intendi col Signore solo; io devo intendermela anche cogli uomini che il Signore ha posto intorno a me perché io mi governi con essi secondo carità e prudenza; e devo sovratutto misurare i miei consigli, i miei comandi, alle capacità diverse, alle mentalità diverse di tanti milioni di uomini. Io sono un povero maestro di scuola che di settanta scolari ne ha venti meno che mediocri, quaranta mediocri e dieci soli buoni. Egli non può governare la scuola per i soli dieci buoni … (A. Fogazzaro, Il santo)

Non saprò mai cosa passasse nella mente di Francesco, dietro quella sua espressione insolitamente severa, ma mi sono commosso di fronte alla storia.

  1. Sono troppo giovane per avere un ricordo di Papa Giovanni XXIII e avevo appena cominciato la scuola superiore quando Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato. Ciononostante del primo ammiro soprattutto il coraggio di aver indetto il Concilio Vaticano II, del secondo la straordinaria forza d’animo e la capacità rara di semplicità e profonda intelligenza.
    Del processo di canonizzazione fatico a cogliere la necessità di appurare l’autenticità di miracoli/grazie attraverso l’intercessione dei nuovi santi. Proprio nel Vangelo di domenica, letto nella cerimonia in latino e greco, Gesù afferma: Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20,29). Sono più vicino a un cristianesimo della Parola piuttosto che a uno del segno. D’altra parte Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, avvicina la ricerca dei segni al giudaismo: Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano la sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1,22-23). Paolo avrebbe forse voluto ritagliare una specificità del cristianesimo, ma poi di fatto sia la ricerca dei segni, sia la ricerca della sapienza sono rimaste, in modi diversi, nella nuova religione. Esteriorità e interiorità, due livelli che convergono nel Verbo fattosi carne (Gv 1,14), segno per eccellenza (1Cor 15) e sapienza (Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1,24)) nella Parola, nell’insegnamento, nell’esempio.

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