LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Pluralismo sotto attacco. Ci si mettono anche Inghilterra e Francia

Fatti.

La scorsa settimana ha visto salire agli onori della cronaca, quanto a questioni che hanno a che fare con religioni e società, due notizie (oltre, naturalmente, ai funerali del Cardinal Martini). Una viene dall’Inghilterra, l’altra dalla Francia. Prese insieme, lasciano un senso di amaro in bocca, perché gettano ombre su due paesi che, specie in tempi in cui l’Europa che dà sovente prova di chiusure identitarie e regressi agli anni trenta del Novecento, e pur esprimendo due versioni per molti aspetti alternative di modernità (specie con riferimento ai modelli di laicità e libertà religiosa), continuano a rappresentare nell’immaginario di ogni democratico riferimenti saldi cui guardare quando ci sono libertà da difendere.

In realtà, le cose appaiono complesse, come sempre, e tutt’altro che lineari e trasparenti. Quel che fa notizia è che la Corte europea per i diritti dell’uomo inizia a discutere quattro casi presentati da cittadini inglesi, che lamentano discriminazione cristiano-fobiche nei rispettivi luoghi di lavoro. Nadia Evedia, licenziata dalla British Airways, per la quale lavorava al banco check-in, (leggo) per essersi rifiutata di togliere dal collo una catenina con la croce. Shirley Chaplin, infermiera, licenziata perché (leggo) si rifiutava di togliere la collanina al collo con il crocefisso. Gary McFarlane, psicologo, licenziato dall’organizzazione per cui lavorava perché (leggo) in teoria, qualora si fosse presentato il caso, avrebbe avanzato ragioni di obiezione di coscienza nel fare terapia di coppia a coppie omosessuali. Lilian Ladele, ufficiale dell’anagrafe, minacciata di licenziamento perché (leggo) si rifiutava di celebrare “civil partnership” tra coppie omosessuali. Le informazioni, dette così, hanno un margine di opacità enorme, troppo ampio perché il giudizio possa formarsi in maniera attendibile. Che vuol dire cristiani? Anglicani, cattolici, o cosa? In Inghilterra può fare una certa differenza. Dei loro casi si occupa legalmente Christian Concern, dato su cui forse vale la pena riflettere. I quattro casi non appaiono esattamente uguali. Diversi ambienti di lavoro, diverse potenziali motivazioni. Dalla documentazione reperibile non appare facile districarsi. I ‘cristiani’ presentano i casi come esempi di una avanzante scristianizzazione del Regno Unito e dell’intera Europa, mentre i difensori della ‘laicità’ (c’è bisogno di dire che l’Inghilterra è anche la terra d’elezione del New Atheism?) presentano gli stessi casi come una frontiera nella difesa della libertà dei moderni contro l’oscurantismo di ritorno. Nella poca chiarezza restituita dalla stampa e dal web sui casi in questione si affaccia tuttavia un tarlo: troppe volte, sulla stampa ‘filo-cristiana’, i presunti casi di discriminazione anti cristiani vengono presentati come tali sullo sfondo di una ‘perversa’ attitudine inglese ad accordare diritti (in sfere delicatissime come il diritto di famiglia, ma anche il diritto al lavoro) ad appartenenze religiose non cristiane, Islam in primis. In altri termini, si affaccia il dubbio che la difesa della libertà religiosa, di cui a mia conoscenza l’Inghilterra è tutto sommato campione, nei casi in questione sia strumentalmente giocata in chiave identitaria, cosa di cui Christian Concern non fa mistero. Il che significa anche in chiave anti-pluralista. Un paradosso che colpisce profondamente un simpatizzante del multiculturalismo inglese (Cameron permettendo) come il sottoscritto, unitamente alle dichiarazioni di rappresentanti del governo britannico che sostengono non esistere alcuna discriminazione perché nessuno discute il diritto di coltivare la propria fede in privato. Dichiarazione che fa il paio con la strumentalizzazione identitaria ed anti-pluralista del cristianesimo.

Un simpatizzante del multiculturalismo in chiave inglese non rimane favorevolmente colpito neanche dalle notizie che vengono dalla sponda continentale della Manica, in cui il Ministro dell’Istruzione Vincent Peillon ha annunciato il progetto di introdurre nel prossimo futuro ore di etica laica nelle scuole francesi. Le dichiarazioni attribuite al ministro (“morale laica significa comprendere ciò che è giusto, saper distinguere tra bene e male, che ci sono tanto dei diritti quanto dei doveri, delle virtù e soprattutto dei valori”) mischiano toni genuinamente repubblicani (virtù e doveri) a inquietanti toni giacobini da stato etico (lo stato dispensatore di valori). Il ministro ribadisce con forza che la scuola ha il compito di insegnare a ragionare, criticare, dubitare. Sacrosanto. Ma si può ragionare non dico pacatamente, ma almeno in modo non immediatamente ideologizzato, sulle vie attraverso le quali perseguire un simile obiettivo? Un modello di scuola presuntivamente neutrale (e quella francese non vuole affatto esserlo) è l’unico modo? E l’educazione esplicitamente ‘non neutrale’ delle denominational schools  (esaltate o vituperate che siano), è l’unica possibile alternativa? O non si dà forse la possibilità di educare, in scuole pubbliche o private che siano,  al senso critico (a partire da un’idea universalistica ed egualitaria della scuola) mostrandosi allo stesso tempo sensibili e non ciechi (come invece si rivela chi fa di una presunta neutralità la sua bandiera) nei confronti delle differenze? Esistono tentativi di questo tipo, e vengono studiati (cfr. V. Fabretti, A scuola di pluralismo.  Identità e differenze nella sfera pubblica scolastica, Aracne 2011). Quel che colpisce, invece, è il riproporsi, nei commenti al progetto del Ministro francese (anche nel nostro Paese) di toni da guerre di civiltà, da cui in ogni caso sembra uscirne perdente una sana cultura pluralista. Che a stritolarla sia un confessionalismo religioso o un giacobinismo che si vuole repubblicano poco, a me pare, cambia.

  1. Buongiorno Prof. Rosati, ammiro molto il suo scrupoloso ed attento lavoro di ricerca e trovo i suoi articoli sempre molto interessanti. Questo argomento poi mi sta molto a cuore e per questo mi permetto di dire la mia. Concordo in pieno con lei sull’anti-pluralismo che si legge negli episodi che ci vengono raccontati dall’Inghilterra ma…oh là là questo Vincent Peillon è un grande! Un genio! Altro che anti-pluralista! Questo è un primo passo per un sano e costruttivo pluralismo!
    Spesso capita di perdersi in dogmatismi, pensieri e concetti elaborati in forme complesse per dare una parvenza di ricchezza quando la vera ricchezza sta nella semplicità. Sono le piccole cose a fare le grandi. Sono i dettagli che arricchiscono ed il dettaglio è semplice. Guardiamo al macro perdendo di vista il micro..un po’ come guardare un albero in tutto il suo splendore senza vederne le radici. E questo Vincent (o chi per lui) secondo me ci vede lungo!
    Sono una cattolica che non crede nella chiesa ma che crede e che crede altresì nella funzione benefica della religione in due fasi principali delle vite umane: l’infanzia e la vecchiaia. Nella prima la ritengo fondamentale perché è indispensabile dare delle regole ai bambini (è risaputo che un’educazione troppo permissiva rende insicuro il bambino – come lo è pure l’eccessiva rigidità ma su questo punto non mi pare la sede adatta di discuterne) e la religione, che dovrebbe essere ispiratrice di buoni sentimenti ed azioni, è molto utile per insegnare al bambino a tirar fuori le parti migliori di sé e ad accrescere un senso di fiducia generale che rende più disponibili verso gli altri favorendo di conseguenza interazioni positive. Nella seconda invece la fede aiuta a dare un senso alla propria vita ed a tirar le somme con serenità e per questo sono sicura che molti agnostici di lunga data….in vecchiaia iniziano a credere (o almeno glie lo auguro).
    Ma concettualmente, in una realtà sociale multi-raziale/multi-culturale come la nostra non trova anti-democratico, anti-pluralista, anti-tutto l’imposizione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola?
    Non sarebbe più giusto trovare il modo di insegnare delle linee guida che possano fondersi armonicamente con qualunque credo o tradizione? Possiamo scegliere come denominatore comune “IL RISPETTO”? Va da sé che la strada dell’insegnamento dell’etica laica è l’unica strada percorribile e a mio avviso i pluralisti lungimiranti dovrebbero esultarne. Le sfaccettature del caso restano tali ed il genitore attento sarà un valido mediatore o, in mancanza, meglio quanto insegnato dalla scuola di niente non crede anche lei? Perché sono convinta dei benefici di questa innovazione in un’ottica pluralista? Perché non si può scegliere quello che non si conosce. Perché non si possono proporre soluzioni al macro se non si conosce bene il micro e viceversa. Perché insegnare il rispetto equivale ad aprirsi al diverso. Quanti bambini diventati adulti cercando la propria strada la trovano in una che è completamente diversa e talvolta in opposizione a quella per molti anni da loro percorsa? Quante conversioni? Tutto normale. La vita di ogni essere umano è un insieme di fasi: la nascita, la crescita, la formazione accademica, l’inserimento nel mondo del lavoro, la ricerca di significati per la propria vita, la vecchiaia, la morte. Ogni fase è caratterizzata da diversi tipi e gradi di consapevolezza e invertire le fasi non è possibile! Ho un bambino di otto anni e i primi approcci che ha avuto a scuola con compagni marocchini e rumeni sono stati difficili (con alcuni di loro). Gli ho spiegato che siamo tutti diversi e che molte persone possono avere abitudini e idee diverse dalle nostre e che è importante riuscire a condividere con gli altri tutto quanto è possibile condividere per arricchire le nostre vite e le loro. Fra loro sono riusciti a trovare un costruttivo equilibrio. I bambini sono potenti ricettori e imparano tanto in fretta!!! Se insegni loro il rispetto per la vita, per le persone e per le cose, esaltando la bellezza ed il fascino della scoperta (del diverso/di quello che non si conosce), beh….che spettacolo tra un po’!!! I pluralisti dovrebbero muoversi a macchia per conquistare il mondo intero con questa nuova speranza.
    E poi mi viene spontanea un’altra riflessione: spendiamo denari per la formazione dei nostri figli pensando di fare il miglior investimento per le loro vite ma di quale formazione stiamo parlando? Quella accademica? Già quella accademica!!! Perché con quella aumentano le possibilità di posizionarsi bene professionalmente e poi ci accorgiamo che nel mondo del lavoro la differenza non la fa tanto la formazione quanto più tutto il resto della persona! Cosa manca? Manca la formazione finanziaria? Ah quella di sicuro e non credo di incontrare obiettori su questo punto. Manca magari la formazione alla vita? Già chi ci insegna a vivere? Certo quelle sono cose che vengono da sé. Le diamo per scontate. Peccato che siano proprio queste cose che non ci vengono insegnate a far poi la differenza nel mondo del lavoro quanto nella vita in generale. E così a cavarsela meglio è chi fra tutti noi, dilettanti di vita allo sbaraglio, ha l’intuizione migliore! Eccelle poi chi all’intuizione vincente unisce una ricca formazione accademica! Sono un’anonima di questo grande mondo, credente, madre, la vedo così e dico: bravo Vincent che ha fatto il primo passo! Ora tocca a noi altri.
    Firmato: uno, nessuno e centomila.

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