CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Oakeshott e Collingwood, la via idealistica al liberalismo

Quattro anni fa, nel 2009, Penguin Books pubblicò una raccolta di scritti, un’antologia di John Gray, uno dei più originali pensatori viventi, allievo di Isaiah Berlin e docente alla London School of Economics, firma di molti importanti organi di stampa in lingua inglese. Erano in tutto trenta saggi, pubblicati in periodi diversi della sua attività, raccolti sotto il titolo simpatico (in quanto richiama esplicitamente la nota serie televisiva) di Gray’s Anatomy. Nella prima parte del volume, che ha per oggetto il liberalismo, nella cui corrente intellettuale Gray è, per così dire, nato al pensiero, si trova uno scritto del 1992 dedicato a un altro pensatore del Novecento inglese irregolare e “eccentrico”, intendendo ciò ovviamente nel senso positivo di uno che non segue i terreni arati e le vie più semplici del pensiero. Il titolo del saggio è icastico ma significativo: Oakeshott as a liberal  (laddove, quasi per contrasto, uno dei capitoli successivi è dedicato a Hayek as a conservative). In effetti, anche se Oakeshott è spesso considerato, e per certi aspetti del suo pensiero e della sua personalità non a torto, un conservatore, in verità egli è soprattutto, e nel senso più genuino del termine, un liberale (nonché, come scrive Gray, “uno dei più profondi e originali filosofi politici britannici dopo Hume”). Ove la specificità del suo liberalismo consiste anche e soprattutto, ad avviso di chi scrive, nel fatto che esso è “fondato” sull’idealismo. In Experience and its Modes, la sua opera “teorica”, pubblicata nel 1933, Oakeshott dice che, pur potendo considerarsi conclusa, a quel tempo, la breve stagione idealistica inglese, egli ha voluto comunque tentare “non tanto un’apologia dell’idealismo, quanto una riaffermazione dei suoi principi primi”. E in particolare quel superamento del dualismo fra mente e mondo, cioè fra soggetto e oggetto, che è quasi un’evidenza, e che è ciò che dovrebbe caratterizzare una visione filosofica “senza se e senza ma”, ma che pur tuttavia doveva essere rimesso in discussione da molto pensiero anglosassone (e non solo) del secondo dopoguerra. In quel tempo, cioè nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, un altro grande pensatore inglese di “minoranza”, ma la cui statura emerge oggi in tutta evidenza nella crisi del paradigma neopositivistico e analitico, legava l’idealismo alla prospettiva liberale: Robin George Collingwood. Tanto che si può dire che i due pensatori, l’uno a Cambridge e l’altro a Oxford, contribuivano a tener viva la fiamma dell’idealismo nel tempo della sua crisi, anche se la propensione e l’interesse per la tematica politica erano in Oakechott più pronunciati. E in verità, forse il compito di Collingwood era facilitato dal fatto di operare in quella Oxford che era stata, a cavallo di XIX e XX secolo, il centro di irradiazione del pensiero idealistico. D’altronde, i due pensatori erano amici e consapevoli della loro vicinanza ideale. Di più: il pensiero di Oakeshott è considerato dagli studiosi fortemente influenzato da quello di Collingwood, tanto che molte delle idee presenti nel volume del 1933 sembrano nascere da una lettura attenta di Speculum mentis, l’opera “teorica” del 1924 dell’oxoniense. Il quale scrisse di Experience and its Modes che è la “più penetrante analisi del pensiero storico che sia mai stata scritta, e rimarrà un classico”; e del suo autore che è uno che possiede “doti filosofiche di altissimo livello”. Al che, qualche anno dopo, nel 1938, nel recensire The Principles of art, Oakechott restituì la cortesia e, con adesione, parlò di essa come della “più profonda e stimolante discussione che io abbia mai letto sul problema ‘Che cos’è l’arte?’”: l’opera di un artista e di un filosofo insieme”.

 

 

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