ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

L’INFLAZIONE DEI PROGRAMMI DI SPESA E LA DEMOCRAZIA DEI CREDULONI

Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 13 aaosto 2022
Giovanni Cominelli
L’INFLAZIONE DEI PROGRAMMI DI SPESA E LA DEMOCRAZIA DEI CREDULONI

A circa quaranta giorni dalle elezioni, i partiti stanno completando l’offerta politico-elettorale, fatta di alleanze, programmi, candidati, esattamente in questo ordine. Prima sono state sistemate le alleanze, alle quali il Rosatellum spinge, benché non costringa, soprattutto per conquistare i collegi uninominali. Di qui la composizione di alleanze conflittuali, burrascose e reversibili. Da ultimo, arriveranno le liste e i candidati nei collegi uninominali.
Questi sono i giorni dei programmi, i cui punti variano in quantità esponenziale.
La Destra appare piuttosto omogenea sul piano ideologico: Dio, Patria, Famiglia, quella naturale, si intende. I suoi leader si autodefiniscono tutti cristianissimi. Sul piano della collocazione geo-politica, è largamente egemone un’impostazione sovranista-nazionalista, almeno per quanto riguarda l’idea di Europa. E’ l’Europa gollista: l’Europa confederale, l’Europa delle nazioni, l’Europa “dall’Atlantico agli Urali”. In quest’ultima a Salvini e Berlusconi piacerebbe includere anche Putin. Al confine ungherese e polacco si arresta invece la Meloni. Che però, in una proposta di modifica costituzionale ha sostenuto la preminenza del Diritto nazionale su quello comunitario. Pare che la posizione sia in revisione, se si deve credere ad un personaggio molto serio quale è Carlo Nordio. Si vedrà. Non si potrebbe stare nel PNRR, per esempio. In compenso, però, è più solidamente atlantica dei suoi alleati.
Più frastagliata la Destra sul piano programmatico: tre sigle, tre proposte di Flat-tax. Quella di Berlusconi costerebbe 30 miliardi l’anno, quella di Salvini 50 miliardi, quella della Meloni meno calcolabile, perché più progressiva. Ciò che accomuna queste forze è l’idea che l’abbassamento delle tasse produca di per sé una ripresa dello sviluppo. Di certo e nell’immediato, esso genera o debito pubblico, sempre che si vogliano mantenere gli stessi livelli di Welfare, o riduzione della quantità e della qualità del Welfare. Messa quella della Flat-tax insieme ad altre proposte di regalie e di assistenza – quale quota 41 per tutti o aumento delle pensioni fino a 1.000 euro (copyright di Berlusconi) – si profila un aumento di “debito cattivo”, che finirà matematicamente sulle fragili spalle delle generazioni più giovani. Il paradosso è che queste proposte vengono lanciate nel nome del “largo ai giovani!” sul mercato del lavoro. Sui quali, qualora trovassero un posto di lavoro adeguato, peseranno i debiti contratti per sostenere le pensioni degli anziani. Di riforme della scuola, dell’Università, della sanità e del Welfare. non si parla, se non per aggiungere altro debito. Al momento, tuttavia, interessa il voto degli anziani, anche perché più numerosi e più disponibili a recarsi alle urne. I giovani, a quanto pare, tendono a “votare con i piedi”.

Anche la Sinistra si presenta più coesa sul piano ideologico e più frastagliata su quello programmatico. Sul piano ideologico: il dirittismo, il cui apice è la riproposizione del DdL Zan. Sul piano della collocazione internazionale: la scelta europeista è quella del PD, che è quasi tutto euro-atlantizzante. Ma i suoi alleati di sinistra sono su posizioni opposte. Per ricomprendere queste divergenze programmatiche Letta è tornato a cantare una vecchia antifona: quella della difesa antifascista della Costituzione. E, come nel caso della Destra, le proposte, riguardanti i giovani in particolare, attingono ai fondi pubblici, qui nella forma dei sussidi-mancia ai diciottenni. E, recentissima, portare gli stipendi degli insegnanti alla media europea. Nella tornata elettorale del 2018 il 41% degli insegnanti votò il M5S. Il Rapporto Ocse conferma che gli insegnanti italiani guadagnano circa 41.800 dollari all’anno contro una media europea di 47.375 e una media Ocse di 48 mila. Non è questo il posto per incrociare i dati degli stipendi con il carico di ore effettive e con il numero degli studenti. Un eventuale considerazione complessiva indurrebbe a calcoli più favorevoli per i docenti italiani. Ma il fatto è che, in assenza ostinata di una riforma del sistema di istruzione, che lo renda “produttivo” dal punto di vista dell’alfabetizzazione e dell’incremento del sapere individuale e perciò collettivo, un eventuale aumento degli stipendi si riduce semplicemente ad una proposta allettante, ma irrealistica e demagogica. Purtroppo, della riforma del sistema non c’è la minima traccia nei programmi. Gli ITS li ha già varati il Governo Draghi. Ma l’introduzione della figura del “docente esperto”, operata dal suo Ministro Bianchi, senza la definizione di una carriera dei docenti è solo un pannicello tiepido.
Quanto al Terzo polo, messo in piedi dal Duo Calenda-Renzi, è certamente il più coeso sul piano ideologico e su quello programmatico: ha preso in mano l’Agenda-Draghi e si propone di riportare Mario Draghi al governo, dopo le elezioni. L’Agenda-Draghi consiste, innanzitutto, in un metodo, basato su due pilastri: dire la verità sulla condizione del Paese e sull’entità del suo debito pubblico e procedere, senza ideologismi e settarismi, a governare, facendo scelte che offendono vecchi privilegi corporativi. Però assai meno coeso appare il Duo sul piano caratteriale, a dimostrazione che a volte i tic dell’individuo contano nella Storia, anche se Plekhanov, già nel 1898, li collocava dentro rapporti sociali determinanti. Se un partito è personale e, per giunta, è anche piccolo, uno starnuto del suo leader basta a far crollare la casa e anche l’eventuale condominio.
L’offerta del M5S è la più nitida: i contenuti sono quelli del populismo di sempre. Abbandonata l’utopia tecnocratica della democrazia diretta, i pentastellati si sono dati un programma di sinistra sociale, in concorrenza diretta con una Sinistra, che non ha ancora scelto tra Macron e Mélenchon, e con la Destra protezionista nordica di Salvini e con quella assistenziale centro-meridionale della Meloni. Il M5S gode di un vantaggio competitivo rispetto ad ogni altra sigla: non hanno alleanze da comporre, ma il taglio delle ali estreme al proprio interno sta generando conflitti, i cui effetti sugli elettori si vedranno dopo.

Questo, dunque, il catalogo dell’offerta, grosso modo, al netto di altre sigle minori presenti nella competizione.
Nonostante le evidenti differenze tra i vari schieramenti, non si possono non notare le forti analogie.
La prima riguarda “il metodo”: essa consiste nel rifiutare direttamente o bypassare obliquamente “il metodo Draghi”.
Salvo il Terzo polo di Calenda-Renzi e “Noi moderati”, nessuno si propone di continuare le politiche socio-economiche di Draghi: “Smemoranda-Draghi”, come è stato osservato, più che “Agenda-Draghi”.
La seconda: tutte le varie promesse attingono a larghe mani alla casse pubbliche. Si vede benissimo il fiume di soldi in uscita, non si vedono le sorgenti che alimentano il bacino. Non solo non compare una proposta organica di riforma del Fisco – l’unica nota è quella di Luigi Marattin di Italia viva – ma non affiorano neppure quelle riforme radicali dell’Amministrazione, della scuola e dell’Università, della giustizia, che sono la precondizione per lo sviluppo delle forze produttive e della creazione di valore e di ricchezza da distribuire a larghe mani. Nelle altre campagne elettorali se ne parlava. In questa, contano le tecniche di estrazione dei soldi pubblici.
La terza: salvo che in quello di Giorgia Meloni, gli altri programmi rinviano ancora una volta il discorso sull’architettura istituzionale ormai sbrindellata della democrazia italiana. Che si accinge, dopo il 25 settembre, a ripercorre l’antica via dei governi deboli, instabili, brevi.
Non è ovviamente compito di questo giornale fornire indicazioni di voto. Abbiamo proposto settimanalmente, in questi anni, analisi e giudizi, al fine di contribuire a far crescere la capacità di discernimento personale, avendo quale unica finalità “politica” quello di scoraggiare l’avvento della “démocratie des crédules”, così definita da Gérald Bronner. E tanto ci basta…

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