MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Libia, la Caporetto italiana

Essere alla mercé del “Sultano di Ankara”, l’uomo della pulizia ernica contro i curdi siriani nel Rojava, o provare a trovare un accordo con il “faraone de Il Cairo”, l’uomo che ha riempito le carceri di migliaia di oppositori e che ha coperto l’omicidio di Stato di cui è stato vittima Giulio Regeni. A questo l’Italia è ridotta nella guerra per procura che si sta combattendo in Libia.

LA FARSA DELLA MEDIAZIONE

“La soluzione alla crisi libica può essere solo politica, non militare. Per questo motivo continuiamo a respingere qualsiasi tipo di interferenza, promuovendo invece un processo di stabilizzazione che sia inclusivo, intra-libico e che passi per le vie diplomatiche e il dialogo”. È la posizione ufficiale della Farnesina in merito alla lettera inviata ieri dal presidente del Consiglio presidenziale del Governo di Accordo nazionale libico Fayez al-Sarraj all’Italia e ad altri Paesi circa la richiesta di aiuti militari. Al-Sarraj, ha inviato lettere ai leader di Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Algeria e Turchia, chiedendo di “attivare gli accordi di cooperazione in materia di sicurezza per respingere l’aggressione contro Tripoli di tutti i gruppi armati che operano al di fuori della legittimità dello Stato, al fine di mantenere la pace sociale e raggiungere la stabilità in Libia”. Roma  fa sapere che è disposta a seguire soltanto percorsi diplomatici e politici e non militari, ma Cipro e Egitto si organizzano per rispondere a una eventuale presenza militare turca in zona. Insomma, il cocktail al tritolo è servito. Di Maio: ” “Siamo impegnati nella ricerca di una soluzione tempestiva della crisi libica: l’Italia nei prossimi giorni nominerà un inviato speciale per la Libia che risponderà al ministero degli Esteri e si occuperà di favorire il dialogo con le varie parti libiche”. “Sarà una persona agile, in grado di parlare con tutte le parti coinvolte, sia quelle interne che quelle esterne”, conferma la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re. “E’ indispensabile evitare il bagno di sangue che si rischia con il ricorso alle armi”, ha aggiunto.

Nel frattempo il governo italiano si gioca tutte le carte della diplomazia. “Ho sentito il ministro degli Esteri turco e il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita – ha spiegato il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio – e sentirò i ministri europei. Questo perché bisogna promuovere una missione europea in Libia. Siamo impegnati per riuscire ad ottenere un cessate il fuoco o, quanto meno, una tregua fra le parti perché questa crisi potrebbe sfociare in una ulteriore crisi umanitaria. Io credo che nei prossimi giorni l’Italia sarà fondamentale anche per favorire il massimo dialogo tra Russia e Turchia”.  Mediatori improbabili. Lo spiega senza giri di parole, una fonte a Tripoli molto vicina a Sarraj: “L’Italia fa finta di non capire che quel golpista di Haftar e quanti lo sostengono vuole conquistare la Libia con i mercenari russi e le armi che gli vengono fornite da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Per respingere il golpe abbiamo bisogno di riequilibrare i rapporti di forza sul campo, e questo il presidente Conte lo sa bene”.

“Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l’Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi. Da Roma, in verità, non sono mai giunte risposte ufficiali”, ha confermato Sarraj parlando con il Corriere della Sera delle armi fornite dalla Turchia. “Con Di Maio abbiamo avuto un ricco scambio d’opinioni. Quanto invece alla sua tappa a Bengasi dal nostro aggressore e Tobruk non ho visto alcuna sostanza, ha aggiunto.

La Turchia “può elevare il proprio sostegno militare navale, aereo e terrestre al governo legittimo libico se richiesto”, ha ribadito Erdogan. Il “Sultano” ha poi sottolineato che la politica turca “in Libia e Siria non cambierà”, annunciando inoltre che entro il 2027 verranno schierati nel Mediterraneo sei sottomarini di nuova generazione. “Rimarremo al fianco dei nostri fratelli libici finché la pace e la sicurezza non verranno assicurate, come stiamo facendo in Siria” ha sottolineato dal canto suo il ministro della Difesa di Ankara. Erdogan è intervenuto dopo l’incidente avvenuto davanti alle coste dell’est libico, dove le forze navali di Haftar hanno sequestrato un cargo con equipaggio turco.

“Nel corso di un pattugliamento delle acque territoriali libiche, al largo delle coste di Derna – si legge in un comunicato sulla pagina Facebook del portavoce di Haftar, al Mismari – la Brigata navale Sussa ha sequestrato un mercantile battente bandiera di Grenada e comandato da un equipaggio turco. La nota è a corredo di un video che mostra le fasi salienti dell’operazione. “Il cargo è stato rimorchiato al porto di Ras Lanuf per controllo e perquisizione del carico e per adottare le misure necessarie”, si prosegue. A bordo, secondo quanto si è appreso, ci sarebbero almeno tre marinai turchi. Le forze navali di Haftar hanno quindi annunciano lo stato di allerta massima in previsione del probabile “invio di armi e soldati dalla Turchia in forza dell’accordo con il governo” di Tripoli, bollato come l’intesa “della vergogna”.“Abbiamo le forze necessarie per respingere qualsiasi violazione turca delle acque libiche”, ha avvertito il generale Mahdawi.

Tra gli interlocutori scelti dal presidente libico non c’è la Francia. Parigi è stata più volte accusata da Tripoli di sostegno al generale Khalifa Haftar. Sarraj ha anche esortato i cinque Paesi a “cooperare e coordinarsi con il governo di riconciliazione nazionale nella lotta alle organizzazioni terroristiche”, comprese quelle jihadiste, “per le quali l’aggressione ha creato un’opportunità per tornare in Libia, dove le loro attività sono aumentate” da quando è cominciata l’offensiva .La lettera contiene anche un invito a intensificare la cooperazione nella lotta all’immigrazione clandestina e nella lotta alla criminalità organizzata e ai trafficanti di esseri umani.

BRUXELLES-NEW YORK,  Il VALZER DEGLI APPELLI

L’Unione Europea chiede a tutti gli attori della crisi in Libia di “evitare di alimentare le tensioni e aumentare le iniziative militari e di ridurre ogni azione che possa portare all’escalation e allo scontro militare”, ha detto il portavoce del Servizio europeo di azione esterna, Peter Stano, rispondendo a una domanda sull’assistenza militare della Turchia al governo di accordo nazionale di al-Sarraj. “La posizione dell’Ue è che non c’è soluzione militare in Libia. La soluzione per la crisi deve essere trovata attorno a un tavolo negoziale con un processo politico”, ha detto il portavoce. “Sull’embargo delle armi, è un embargo dell’Onu e deve essere rispettato da ogni Stato membro delle Nazioni Unite. Questo è diritto internazionale”, ha ricordato il portavoce Ue.

La Missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) denuncia i “recenti sviluppi” nel Paese africano, “l’escalation militare, le crescenti interferenze straniere in Libia e lo scambio di accuse di tradimento tra le parti libiche, che mettono a rischio l’unità della Libia”. In una dichiarazione diffusa ieri  su Twitter e Facebook la Missione insiste per una “soluzione politica” considerata “l’unica soluzione alla crisi” che si trascina nel Paese dal 2011, dalla fine dell’era di Muammar Gheddafi. “Unsmil continua con l’incessante impegno per arrivare a una posizione internazionale unita sulla crisi libica”, conclude la nota che sollecita “i libici a tornare al dialogo, tutelare le vite degli innocenti, porre fine ai combattimenti tra i fratelli, porre un freno alle interferenze straniere ed evitare ulteriori catastrofi per i civili”.

Belle parole, nobili intenti.. Ma privi di effetti concreti. Perché nel caos armato libico l’unica “diplomazia” che conta è quella delle armi.

ERDOGAN DETTA LEGGE

“Haftar non ha legittimazione, il presidente libico legittimo è Sarraj, leader della Libia. Purtroppo stiamo assistendo al tentativo di Egitto, Abu Dhabi, Francia e persino Italia di legittimare Haftar”. Lo ha detto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, dopo un vertice a Kuala Lumpur, a cui hanno partecipato leader di alcuni Paesi del mondo islamico.

Le forze di Misurata hanno “72 ore” per ritirarsi da Tripoli e Sirte. A lanciare l’ultimatum è stato Ahmed Al-Mismari, il portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar, secondo quanto riportano i media satellitari arabi. Al-Mismari ha minacciato di continuare a bombardare le milizie di Misurata se non si arrivasse al ritiro, sottolineando come l’altro ieri sera le forze dell’Lna abbiano preso di mira un deposito di armi inviate dalla Turchia. Le operazioni sono state condotte “in risposta all’annuncio da parte del governo di accordo nazionale di una richiesta di supporto logistico e tecnico alla Turchia”, ha dichiarato al-Mismari sulla sua pagina Facebook, sottolineando come la richiesta di aiuto alla Turchia di Fayez al-Sarraj rappresenti “un inutile tentativo di salvataggio”. “L’operazione ha provocato l’indebolimento delle capacità del nemico in diversi siti militari a Misurata. I nostri combattenti sono tornati alle loro basi sani e salvi – ha aggiunto al-Mismari – La guerra è un’opzione che siamo stati costretti a scegliere per liberare la Libia dalle milizie terroristiche che prendono ordini da Turchia e Qatar”.

Roma rischia di essere il classico vaso di coccio, tra il vaso di ferro turco e quello egiziano. Tanto che nella serata dell’altro ieri, da Palazzo Chigi, parte una telefonata del premier Conte al presidente Erdogan. Al centro del colloquio, che è stato definito “lungo e articolato”, proprio la crisi del Paese africano. Il presidente del Consiglio deve aver ritenuto necessario comunicare con il leader turco, dopo che lui, in mattinata, aveva attaccato tutti i Paesi che offrono una qualche legittimazione al maresciallo Khalifa Haftar, tra cui “persino l’Italia”. La Turchia – ha aggiunto Erdogan – non resterà in silenzio davanti ai “mercenari” russi che “attraverso il gruppo chiamato Wagner, stanno agendo letteralmente come mercenari di Haftar. Sapete chi li sta pagando”. Nel frattempo, sono due gli incontri sui quali c’è grande attesa. La visita del maresciallo della Cirenaica a Roma, così come lui stesso ha annunciato al ministro Di Maio, e l’incontro tra Erdogan e Vladimir Putin. Questa volta sarà il presidente russo a volare a Istanbul l’8 gennaio, al contrario di quanto era avvenuto quando al centro della riunione tra i due c’era la Siria. Dal Cremlino fanno sapere che il vertice avrà come primo punto all’ordine del giorno il lancio definitivo del gasdotto Turkish Stream. Ma è facile immaginare che troveranno anche l’occasione per parlare della situazione in Libia, sebbene siano schierati su due poli opposti: Ergodan con al-Sarraj e Putin con Haftar.

LO ZAR S’INFURIA

La Russia si è detta molto preoccupata per il potenziale invio di militari turchi in Libia, come previsto dal memorandum sulla sicurezza firmato dalle autorità di Ankara e dal governo del premier libico al-Sarraj. Lo riporta l’agenzia di stampa Interfax citando una fonte del ministero degli Esteri russo.

Gli appelli alla ricerca di una soluzione condivisa dalla comunità internazionale per la stabilizzazione della Libia sono una tragica farsa a fronte degli schieramenti politico-militari contrapposti che si stanno sempre più delineando. Il presidente cipriota Nicos Anastasiades ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi per discutere di come contrastare gli accordi raggiunti tra Turchia e Libia in ambito militare e della sicurezza. Secondo la nota diffusa dal portavoce del governo cipriota Kyriakos Koushos, durante il colloquio al-Sisi ha detto che il memorandum di intesa tra Ankara e il governo di Tripoli non ha alcun effetto legale. Anastasiades e al-Sisi hanno concordato che ”devono essere adottate tutte le misure appropriate per mettere fine all’implementazione delle clausole dell’accordo illegale”. Al-Sisi ha quindi detto ad Anastasiades che una possibile presenza militare della Turchia in Libia causerà una destabilizzazione della regione. La nota di Koushos spiega anche che i ministri di Egitto, Grecia e Cipro hanno deciso di coordinarsi rispetto alle iniziative da adottare per contrastare i piani turchi.

“Siamo preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia, compreso l’impatto del conflitto in corso sui civili, gli attacchi contro i difensori dei diritti umani e i giornalisti, per il trattamento di migranti e rifugiati, le condizioni di detenzione e l’impunità”. E’ quanto si legge in un comunicato firmato dal portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti Umani (Ohchr), Rupert Colville.

“Nel 2019, il nostro ufficio insieme alla missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha finora documentato almeno 284 morti civili e 363 feriti a seguito del conflitto armato in Libia, con un aumento di oltre un quarto del numero di vittime registrato nello stesso periodo dell’anno scorso”, si legge nella nota sul sito dell’Ohchr, che prosegue precisando che “gli attacchi aerei sono stati la principale causa di vittime civili, con un bilancio di 182 morti e 212 feriti, seguiti da combattimenti sul terreno, ordigni esplosivi improvvisati, rapimenti”.  “Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati in Libia, che ovviamente non può essere considerato in nessun modo come un porto sicuro per lo sbarco, denuncia ancora l’Onu. Migranti e rifugiati in Libia “continuano a essere regolarmente sottoposti a violazioni e abusi”, ha detto ancora l’Onu. Raid anche su ospedali, su aree densamente popolate e contro i centri di detenzione migranti. Come quello a Tajoura che nel giugno scorso ha fatto strage di 53 persone tra i quali sei bambini. Il rapporto Onu denuncia l’incapacità, o la non volontà, delle autorità di Tripoli di contrastare gli abusi delle milizie che gestiscono questi centri. Percosse, bruciature, torture coi cavi elettrici, violenze sessuali e infine le esecuzioni sommarie con l’obiettivo di estorcere sempre più soldi alle famiglie. “La Libia non è un porto sicuro” conclude il rapporto Onu.

“Alla luce dell’attuale escalation in Libia, soprattutto attorno a Tripoli, l’Unione europea reitera il suo appello a tutte le parti libiche perché cessino tutte le azioni militari e ricomincino il dialogo politico“. “Tutti i membri della comunità internazionale dovrebbero osservare e rispettare l’embargo sulle armi dell’Onu”. Così in una nota il portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, Joseph Borrell.

A fianco di al-Sarraj si schiera anche il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, che ha discusso col premier  libico “la possibilità di trasferire esperienze nella soluzione dei conflitti e nella lotta al terrorismo”. Lo ha reso noto Lev Dengov, capo del gruppo di contatto russo per la soluzione del conflitto libico. Dengov ha anche affermato che Sarraj “ha dichiarato il suo desiderio di visitare la Cecenia, la repubblica della Federazione russa in Caucaso settentrionale, a maggioranza musulmana.  Ogni attore esterno a scelto chi sostenere, sul “cavallo” su cui puntare. Una cosa è certa: chiunque uscirà vincente – Sarraj o Haftar, il discorso non cambia – dovrà pagare un caro prezzo (in petrolio e gas) ai suoi sponsor. Mentre l’Italia si arrovella sul suo inviato speciale.

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