ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

L’Europa nella tenaglia di due guerre

La guerra terroristica scatenata da Hamas contro Israele, con l’apporto fondamentale dell’Iran sciita, è un evento regionale, ma è connesso con gli altri scacchieri e punti di crisi regionali, fino a formare un intrico disordinato di fili come di un arazzo, di cui si veda solo il retro.

Riguarda da vicino l’Italia, l’Europa, il mondo intero. Nulla è più “regionale”. Perché tira un’aria novecentesca, più precisamente, una fuliggine da anni trenta del ‘900: l’emergere di un’alleanza di potenze e alleanze internazionali autocratiche – dittature, per chiamarle con il loro nome – la messa in discussione di confini e di sovranità nazionali, faticosamente stabiliti e condivisi, la paralisi degli organismi internazionali, la crisi degli assetti globali usciti da Yalta (1945), dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948, da Camp David (1978), dalla caduta del Muro nel 1989, da Dayton del 1995, da Annapolis del 2007, dagli Accordi di Abramo del 2020.

L’“ordine” mondiale si sta disfacendo, proprio mentre aumenta l’interdipendenza oggettiva economica e antropologica, di consumi e di costumi, tra i popoli della Terra. Ciò non porta verso nuove forme di collaborazione e di convivenza o coesistenza, ma verso attriti crescenti.

Poiché la carovana delle Nazioni non riconosce più una direzione di marcia e una regia, si è aperta la competizione. Sullo sfondo stanno culture e idee diverse circa il destino dell’umanità, il futuro della civiltà, la natura dell’uomo, la dignità assoluta della persona umana. Benché più d’uno abbia tacciato di razzismo e di etnicismo le posizioni di Huntington sullo “scontro di civiltà” e sul rifiuto crescente dell’Occidente, è ciò che esattamente è incominciato ad accadere, fin dagli anni ’90. La stessa invasione russa dell’Ucraina del 2022 è stata giustificata da Putin e dal patriarca Kirill come guerra di civiltà. Solo un marxismo deteriore o un cinico machiavellismo da sedicenti “realisti” alla Limes la può ridurre a pura copertura ideologica della volontà di mettere le mani sul grano ucraino e sulle terre rare. Nelle opinioni pubbliche occidentali si fa strada la sfiducia nei regimi democratici, a partire dai Paesi che hanno fondato e difeso la democrazia con le armi nel Secondo conflitto mondiale, insorgono pulsioni nazionalistiche, mentre l’Africa rovescia nel Mare Nostrum la propria sovrabbondanza demografica, in fuga dai mali biblici della peste, della fame, dei colpi di Stato e dal sole sempre più caldo. L’Europa, in particolare, si trova così stretta dentro una tenaglia di due guerre in corso, quella ucraina e quella scatenata da Hamas contro Israele.

È evidente alla coscienza di ogni individuo pensante che ci troviamo sull’orlo di un abisso. Dentro il quale dobbiamo guardare. Si è discusso tra gli storici se nella Prima guerra mondiale le potenze siano precipitate per sonnambulismo o per calcolo. Ma anche in questa seconda ipotesi nessuno fu in grado di calcolare gli intrecci, la reazioni a catena degli scacchieri coinvolti, la caduta di quattro imperi, i milioni di morti sui campi d’Europa.

Da “Due Popoli, due Stati”, a “Uno Stato, Due Popoli”

Si può fermare il tragico automatismo che si è innescato di azione/controreazione?

Intanto e immediatamente occorre separare la sorte del popolo palestinese da quella di Hamas. Hamas quale organizzazione fondamentalista e terroristica è cresciuta per incapacità e per corruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), che, mentre ha usato per decenni i campi profughi per ottenere enormi fondi dai paesi Arabi e non solo, non ha saputo costruire nei territori a essa affidati un welfare decente e occasioni di sviluppo e lavoro.

È accaduto in tutti i Paesi arabi della riva mediterranea, quando i gruppi dirigenti costituitisi all’insegna del socialismo arabo – modello sovietico – hanno messo le mani sulle risorse dei Paesi, lasciando nella miseria e nel sottosviluppo le masse arabe.

Alle quali hanno portato soccorso le moschee e le madrasse del fondamentalismo islamico, che partendo dall’offerta di welfare dal basso è arrivato ad assumere un ruolo politico e a conquistare democraticamente il potere, come accadde in Algeria nel 1992 e in Egitto nel 2012. Se alle masse arabe la versione fondamentalista dell’Islam è potuta apparire come una teologia della liberazione, la ragione è che avevano bisogno di “liberazione”.

E quindi?

Hamas deve essere distrutta. Il che si fa con le armi. Ma chi si farà carico del popolo palestinese?

Finora Israele e Anp si sono distribuiti, dopo vari conflitti, il territorio della vecchia Palestina, in base all’ipotesi “Due Popoli, due Stati”, su base etnica: uno ebraico, l’altro arabo. Agli arabi residenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza tocca la cittadinanza dello Stato palestinese.

Si tratta di una vecchia idea inglese, nata nel corso della Grande rivolta araba del 1936-39, quella di creare due Stati etnicamente omogenei. Ma, da quando è stato proposta ufficialmente nel 2007 ad Annapolis, nel Maryland, dal premier israeliano Olmert e Abu Mazen dell’Anp, non ha fatto molti passi in avanti.

Anche perché, nel frattempo, la Destra israeliana ha promosso massicce colonizzazioni in Cisgiordania, contro ogni accordo internazionale, e le nuove generazioni palestinesi, malgovernate dall’Anp e affascinate da Hamas, non ne vogliono sapere. Netanyahu, a sua volta, si è messo nelle mani dell’estrema destra israeliana, razzista, xenofoba, fondamentalista – si registrano anche episodi numerosi di persecuzione dei cristiani – e tuttora nostalgica della “Grande Israele” biblica.

“Due popoli, due Stati” non è la soluzione, non lo è mai stata. Alcuni storici e intellettuali, tra cui Yehuda Bauer, propongono la costruzione di uno Stato unico, che comprenda Israele, Cisgiordania, Striscia di Gaza e che sia fondato sul riconoscimento di cittadinanza e di pari diritti per tutti coloro che abitano in quel territorio, a prescindere dall’etnia e dalla religione.

Ne ha fuggevolmente accennato anche papa Francesco. Parrebbe la soluzione più ragionevole: uno Stato, due etnie. Irrealistica? Non più di quella “Due popoli, due Stati”. Lentamente, ma irreversibilmente si sta andando in varie parti del mondo – Europa per prima – verso città e regioni a democrazia multietnica, a “democrazie di immigrazione”. La California è a maggioranza latina, il Regno Unito ha un premier di origine indiana, quello scozzese di origine pakistana, il sindaco di Londra di origine indiana, il sindaco di Rotterdam è musulmano.

Tale soluzione prevede l’abbandono definitivo del fondamento ideologico biblico-religioso dello Stato d’Israele e l’adozione pura e semplice dello standard liberal-democratico e della Carta dei Diritti universali.

Già oggi vivono in Israele circa due milioni di arabi israeliani, di religione musulmana sunnita, drusa e cristiana, che appartengono alla fascia bassa della cittadinanza reale, che sono e si sentono discriminati e che, pertanto, fanno riferimento politico-ideale ai Palestinesi.

Si tratta di edificare uno Stato di diritto e uno Stato di welfare, nel quale tutti godano di eguali diritti ed esercitino uguali doveri, a prescindere da storie, culture, religioni, colore della pelle. Uno Stato laico, infine.

 

Quest’articolo è stato pubblicato in origine su www.santalessandro.org l’11 ottobre 2023.

 

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