LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Jonathan Sacks

Profili.

Rabbino capo del Commonwhealt, promotore del dialogo tra religioni e con il mondo laico, Jonathan Sachs (che ha molto in comune con Rowan Williams, di cui ci siamo occupati qualche post fa) è autore di molti libri, due dei quali in particolare si fanno segnalare per il tipo di riflessioni che contengono sulla società contemporanea. The Dignity of Difference. How to Avoid the Clash of Civilizations (2002) è stato celebrato, ormai dieci anni fa, come una delle risposte più forti e chiare che il mondo religioso ha saputo dare, dal punto di vista della riflessione, all’11 Settembre e a quel che ne è conseguito. “Un appello per la tolleranza in un’epoca di estremismi”, The Dignity of Difference tracciava le linee generali di una visione della società e della politica marcatamente anti-platonica. Nella Bibbia il rabbino Sachs individuava la più grande narrazione anti-platonica che abbia mai attraversato la civiltà occidentale, nel Dio della Bibbia (ebraica) scorgeva un ‘particolarista’ che ama le sue creature per quello cha hanno di diverso, e che della diversità fa ciò che gli esseri umani hanno davvero in comune.  The Dignity of Difference guardava alle società da questa ottica, sposando una prospettiva socio-politica affine a quella di Michael Walzer, secondo la quale le società sono necessariamente particolari perché i loro membri hanno memorie ‘spesse’, che appartengono alla loro vita in comune, fatte di storia e cultura, riti e pratiche condivise, mentre l’umanità ha membri ma non memoria, e tuttavia proprio per questo può condividere un’etica ‘sottile’, che si forma a partire da quello che siamo in quanto esseri particolari, che vivono in società particolari; l’universalismo della cura è qualcosa che apprendiamo ‘da dove stiamo’: “è perché sappiamo cosa significa essere un genitore, amare i nostri figli, non i figli in generale, che capiamo cosa significhi per qualcun altro, da qualche altra parte, essere un genitore, amare i suoi figli”. Questa, per Sachs, la via verso la solidarietà, una via al di là della dicotomia universalismo-tribalismo.

Tornando sugli stessi temi anni dopo, nel 2007, Sachs avverte la necessità di contrastare con più forza le spinte disgregatrici che nel frattempo hanno corroso dall’interno il tessuto sociale delle nostre società (quella inglese in primo luogo, sfondo comune delle riflessioni di Jonathan Sachs e di Rowan Williams, il cui valore però van ben oltre il solo caso inglese). In The Home We Build Together. Recreating Society, la critica al multiculturalismo si fa più marcata, e alla metafora della società come country house – in cui si è generosamente accolti ma a cui non si appartiene e che è invece la casa di qualcun altro – e a quella della società come hotel – in cui si è sempre stranieri e di passaggio – egli contrappone quella della società come casa che si costruisce in comune. In realtà, le distanze con il libro del 2002 sono più di accento che di sostanza. La metafora della casa costruita in comune è l’immagine di una società in cui si dà integrazione senza assimilazione, in cui si parte ancora una volta dalla dignità delle differenze. E ancora una volta è l’immaginario biblico a sorreggere il pensiero e la prosa di Sachs: la storia della costruzione del Tabernacolo (più ancora che del Tempio) è il simbolo della società che gli uomini sono chiamati a costruire insieme, di una diversità orchestrata, di un’impresa comune a cui ciascuno porta il proprio specifico contributo. La sensibilità per il particolare del rabbino Sachs lo porta a rifuggire da toni e tratti utopici, e dunque a preferire all’idea del ‘dialogo’ tra le differenze – con il suo gusto un po’ utopico e un po’ ‘buonista’ – quella delle pratiche di cooperazione ‘fianco a fianco’, locali, su piccola scala.

Credo che il rabbino Sachs condividerebbe la recente analisi di Richard Sennett (Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, 2012): la società moderna ha indebolito i “legami ritualizzati”, in special modo quelli che Sennett chiama (descrive e analizza) i rituali della collaborazione, alla base di quelle pratiche ‘side by side’ tramite le quali si costruisce una casa comune. Ma sono anche convinto che il rabbino Sachs condividerebbe la chiusa del libro di Sennett, che cito per intero, come esempio di uno spirito critico ma non disfattista: “Oggi, l’effetto incrociato del bisogno di una solidarietà rassicurante e dell’insicurezza economica tende a produrre una vita sociale brutalmente semplificata, dominata da due sole polarità: ‘noi contro di loro’ e ‘ciascuno da solo’. Ciononostante, io insisto sulla clausola: non è ancora così. I brutali semplificatori della modernità possono forse inibire e distorcere la nostra capacità di vivere e lavorare insieme, ma non cancellano, non possono cancellare, tale capacità. In quanto animali sociali, siamo in grado di collaborare più profondamente di quanto non immagini l’ordine sociale esistente”.

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