LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Federico e la Venere di Milo

Il mondo? E’ a fumetti. Fanciullesco e circense, Federico Fellini resterà per tutta la vita un cultore delle strisce che riportano alla brulicante vitalità dell’infanzia, recuperabile grazie al cinema. Lo testimonia, fra l’altro, il collage felliniano di Vincenzo Mollica, Parole e disegni (Einaudi Stile Libero 2000) in cui sono richiamati gli incontri del regista con Charles Schulz e con Milo Manara. Parimenti, è nota la simpatia del Nostro per Andrea Pazienza, scomparso giovane nel 1988, il quale firmò la locandina di La città delle donne (1980) con la fanciulla dalla  memorabile capellatura medusea.

A Manara nel 1991 Federico concederà di pubblicare una versione a fumetti di Il viaggio di G. Mastorna, il suo soggetto “maledetto” risalente a metà anni ‘60 e alla cui sceneggiatura pose mano pure Dino Buzzati; mai realizzato nonostante i provini documentati in un volume fotografico di Tazio Secchiaroli (Sellerio 2000). Una sorta di “La dolce morte” dopo La dolce vita, un romanzo metafisico tra Pirandello e Kafka in grado di nutrire le successive visioni di Fellini da Toby Dammit a E la nave va, come nota Aldo Tassone, curatore in Francia di Le voyage de G. Mastorna (Sonatine 2013). Il film era stato pensato dal maestro per l’alter ego Marcello Mastroianni, violoncellista disperso in un Ade innevato, però nella storia magnificamente illustrata da Manara il protagonista ha le sembianze di Paolo Villaggio, mentre il titolo suona Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Alla fine della prima puntata per un errore di stampa uscì la parola “Fine” al posto di “Continua” e Federico, scaramantico quale era, non volle che fossero pubblicate le parti successive.

Manara aveva elaborato qualche tempo prima un altro copione non approdato sul set. E’ l’album a fumetti Viaggio a Tulum ispirato alle atmosfere sciamaniche di Carlos Castaneda e frutto di una scorribanda messicana di Fellini in compagnia del giovane Andrea De Carlo, che ne narrò nel romanzo Yucatan (per questo si raggelarono i rapporti tra i due). Il dittico di avventure felliniane di Manara, poi in un libro Mondadori del 2001, attesta un’amicizia sbocciata nei primi anni ‘80 sotto il segno dell’eros e del perenne “gioco” con la Venere di turno (o di Milo). Il Riminese riconosce nell’artista la sua stessa passione inesausta per il fantastico, l’onirico e l’immaginifico. Oltretutto, gli chiederà di dipingere le locandine di Intervista (1987) e di La voce della luna (1990). In Fellini, ma anche in Manara, è il Bambino a liberarsi dai tabù, dagli assilli e dai razionalismi del Genitore e dell’Adulto, secondo il lessico psicodinamico di Eric Berne. Dietro le maschere in commedia – lo sceicco bianco o i vitelloni, Zampanò o Gelsomina, Cabiria o Snàporaz – ricorre il disperato bisogno di sconfiggere la morte, di redimersi con un atto di coraggio dissimulato sotto un’allegra regressione… Tornare bimbetto e restarlo per sempre? Suvvia, sarà pur possibile!

E’ questo “il sorriso di Fellini” di cui scrive Claudio Carabba nella premessa al volumetto Racconti umoristici. “Marc’Aurelio” 1939-1942 (Einaudi 2004). Al bisettimanale satirico fondato da Oberdan Cotone e Vito De Bellis, Federico il 18 settembre 1940 consegna una vignetta a suo modo “storica”. “Io faccio il regista”, dice un uomo ad un altro, che replica: “Anch’io non so far niente”. Tranne che disegnare e sognare… Mica poco, dai.

Articolo pubblicato sul settimanale “Film Tv”, n. 31, 10-16 agosto 2014

 

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