L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Epifania

Il 6 di Gennaio è notoriamente la festa della Epifania, cioè della manifestazione della divinità di Gesù, nato da pochi giorni. Milioni e milioni di persone festeggiano un avvenimento di cui non si sa praticamente nulla, che vede come protagonisti persone su cui si è detto tutto e il contrario di tutto, che siano stati prodotti da racconti leggendari o che invece corrispondano a una realtà storica, che rappresentino uomini saggi oppure sacerdoti dello zoroastrismo e provengano dalla Persia. Volendo scherzare si potrebbe pensare si tratti di precursori dello sciismo iraniano e che la loro visita sia lontana premessa del dialogo ecumenico. Ma non vogliamo scherzare, perché anche in questo inizio d’anno i ricchi dibattiti sulla libertà di satira, suscitati dalla copertina di Charlie Hebdo, hanno ricordato una grande acquisizione della cultura occidentale: scherza coi fanti ma lascia stare i santi.
E infatti nel giorno dell’Epifania si manifesta anche l’Osservatore Romano e afferma che quella copertina ferisce tutti i credenti delle diverse religioni: è una caricatura che non aiuta, in un momento in cui abbiamo bisogno di ritrovarci fianco a fianco. Ma non sono parole cattoliche, sono una citazione del presidente del Conseil français du culte musulman, quasi che i magi fossero diventati quattro. Anche la chiesa cattolica ha preso molto male l’immagine raffigurante, secondo un’iconografia chiaramente cristiana, Dio come un terrorista che corre, sporco di sangue e sulle spalle un kalashnikov. L’Osservatore parla naturalmente di laicità senza compromessi che dimentica quanto leader religiosi di ogni appartenenza stanno ripetendo da tempo per rifiutare la violenza in nome della religione: usare Dio per giustificare l’odio è un’autentica «bestemmia», come ha più volte ribadito Papa Francesco.
Non si può non essere d’accordo e non accogliere favorevolmente questi atteggiamenti dei leader religiosi che rifiutano la violenza, così come sappiamo che i conflitti che stanno alle spalle del terrorismo hanno cause politiche ed economiche, non certamente religiose. Anche le guerre di religione che hanno movimentato la modernità europea, come le crociate che avevano movimentato il medioevo, nascevano certamente da motivi più complessi della semplice fede religiosa. Questo è noto ai leader religiosi di tutti i tempi e di tutte le fedi, ma resta il dubbio che la gente comune che andava a morire partecipando alle crociate, alle guerre di religione, o muore diffondendo la violenza dei nostri giorni forse abbia creduto e creda di morire in nome di quelle fedi.
È naturalmente fuori dubbio che la fede, la religione, le tradizioni sono cose serissime e hanno svolto ruoli centrali nella storia dell’uomo; ci mancherebbe altro. Studiare il pensiero e il comportamento degli uomini significa studiare e cercare di capire la loro filosofia e ovviamente anche la loro teologia. Però è lecito – o era lecito – sperare che il pensiero contemporaneo avesse aperto qualche breccia nella solidità delle grandi religioni rivelate, il che non autorizza naturalmente a predicare repressione delle religioni, ma almeno a sorriderne sì. Ognuno ride secondo i propri gusti e le proprie inclinazioni, magari talvolta anche secondo quella laicità senza compromessi di cui parla l’Osservatore.
Forse sarebbe opportuna maggiore ironia e minore aggressività e allora si apprezza maggiormente la vignetta dedicata a Charlie dal canadese Guy Delisle in cui il disegnatore si alza dal tavolo per chiudere la porta, e poi torna a disegnare, ma è questione di gusti e in effetti per sorridere basta probabilmente pensare che quei leader religiosi, che fortunatamente rifiutano la violenza in nome della religione, sono appunto leader perché pensano di avere un rapporto diretto con Dio e pensano anche che il loro Dio sia più Dio del Dio degli altri. Da un punto di vista politico o storico si tratta di fatti assolutamente rilevanti, ma dal punto di vista teorico viene proprio da sorridere, e qualche volta – se è lecito – persino da ridere.

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