Matteo ci vuole, ma non buttiamo via il partito

Il Pd è nato tardi. In condizioni di emergenza. In una situazione in cui si capiva che il governo Prodi del 2006 non funzionava. Che sarebbe caduto e che probabilmente le elezioni sarebbero state imminenti. In questo caso sarebbe stato indispensabile presentarsi con questa nuova denominazione.

 

Alcuni pensavano, e io tra quelli, che l’esperimento si sarebbe dovuto coagulare in un nuovo partito. Sul fronte dei Popolari o della Margherita, che in verità non era ancora nata, lo pensava anche Nino Andreatta. È così che viene fuori l’idea di trasformare l’Ulivo in partito, anche se c’erano delle obiezioni, in particolare al tempo della presidenza del Consiglio di D’Alema, con un’antinomia Ulivo contro Partito socialdemocratico.

 

Dopo la sconfitta elettorale si sarebbe dovuto rilanciare l’Ulivo pensando a un partito che facesse un’operazione complessa, difficile, ma per molti necessaria: mettere insieme un quadro politico di sinistra, della sinistra che c’era allora – con anche i socialisti – ma la cosa non riuscì. Il dibattito verteva sull’ipotesi di un partito omogeneo, di tipo laico e socialista – questo pensava D’Alema – e un’ipotesi che mettesse insieme pezzi importanti della sinistra italiana e dell’eredità della sua tradizione con altrettanti pezzi della sinistra cattolica e democristiana per lavorare su un nuovo partito che doveva essere un partito nel quale inevitabilmente si sarebbero prodotte delle distinzioni, se non proprio delle correnti. Una distinzione che era in tutti i partiti della sinistra europea, tra una posizione più liberal e una più socialdemocratico-tradizionale.

 

La cosa buffa è che però i comunisti detestavano la socialdemocrazia quando questa era al suo apogeo e produceva i suoi meravigliosi risultati nei primi trent’anni di sviluppo postbellico, e sono passati poi armi e bagagli a difendere le conquiste socialdemocratiche una volta che la situazione è cambiata e queste conquiste non erano più estensibili. Un vero paradosso.

 

Che ci sarebbero state queste due componenti, presenti in tutti i partiti socialisti europei, in tutti i partiti della sinistra europea, era del tutto evidente. L’urgenza, allora, era preparare il partito a sentirsi sostanzialmente uno, dargli un’anima, uno spirito unitario adatto alle circostanze e tale per cui eventuali dissidi tra le vecchie componenti cattoliche e comuniste si riducessero sempre di più. Un partito è una comunità di intenti, un qualcosa che va vissuto intensamente. Questa operazione non fu fatta quando era necessario, cioè dopo la sconfitta del 2001, ma molto affrettatamente nel 2007 quando era indispensabile dare un’immagine di novità per presentarsi alle elezioni future.

 

Personalmente resto convinto che il momento più alto fu quello del Lingotto di Veltroni, che poi non ebbe un seguito. Lo stesso Veltroni sbagliò, mettendosi in seguito in una posizione che lo rendeva minoritario nei confronti della componente più tradizionale che si coagulò intorno a Bersani e che poi vinse.

 

Tutto questo avveniva in un contesto di lotta politica e in un contesto in cui i problemi profondi erano di fatto attenuati dall’eccezione berlusconiana che non permetteva di andare a fondo delle cose. Non dimentichiamo che Berlusconi fu un’incredibile collante di tutte le possibili sinistre. Bastava essere antiberlusconiano per trovare un’identità della sinistra, ciò che ha finito per snaturare la sinistra stessa. Il guasto prodotto da Berlusconi non è stato tanto in quel che ha fatto – i danni per l’economia erano stati compiuti anche molto prima di Berlusconi – ma nell’offrire un facile pretesto alla sinistra per non trovare un’identità adatta al XXI secolo. Una scusa meravigliosa per non andare a fondo ai propri problemi.

 

Perché una fetta consistente della sinistra si è schierata sotto le bandiere e le posizioni di Libertà e Giustizia, MicroMega, la Repubblica, che talvolta ha alcune o varie voci, anche se questa è predominante. E si è appiattita, come se ciò fosse sufficiente a risolvere i problemi d’identità.

 

Qui è anche racchiuso il nodo del consenso, della necessità per il Pd di allargarlo. Certo, Bersani alla fine non ha sfondato. E non è riuscito ad allargare il plafond dei consensi al Partito Democratico. Sfondare nel campo avverso significa conquistare pezzi di centro o di destra, e ciò non è avvenuto. Innanzitutto perché il centro ha trovato un suo campione in Monti, che ha consensi limitati. E anche l’operazione “di sinistra” tentata da Bersani, cioè di sfondamento, di reclutamento sulla sinistra non è passata, perché il discorso politico italiano, per la prima volta in maniera così secca e netta, non si è disposto soltanto sull’asse destra, centro, sinistra, ma s’è spaccato verticalmente tra coloro i quali si collocano su quell’asse in modo ragionevole e quelli che sono invece su princìpi e soluzioni più radicali, di rifiuto totale del sistema.

 

Il tentativo di sfondamento “a sinistra” operato da Bersani si è perciò scontrato con l’emergere più forte e radicato di un nuovo asse di coloro i quali rifiutano il rapporto destra-sinistra e sono per la distruzione tout-court dei partiti esistenti. Grillo, per intenderci.

 

Questo modo di ragionare, da un lato ha sconfitto Bersani nelle sue pretese di allargamento del fronte dei consensi, dall’altro gli ha dato l’illusione che all’interno dell’enorme successo di Grillo ci fossero moltissime truppe per dar vita e costruire una sinistra vera, il tipo di sinistra antiberlusconiana degli “smacchiatori del giaguaro” che lui stesso sognava. Bersani non si è reso conto che nella società ribolliva un risentimento ormai così grande per tutti i partiti, sia sul lato destro – berlusconiano – sia su quello sinistro. Questa è oggi la situazione in cui si trova il Partito Democratico, ed è una situazione estremamente difficile.

 

Quanto poi alla possibilità di scissione del Pd, la mia impressione è che ci sono vari modi per costituire il partito, tra cui uno molto bello – ma secondo me in parte anche utopistico, se non illusorio – che è quella del ministro Fabrizio Barca: lo persegua, però, perché credo che il partito debba sviluppare una rete di ascolto dal basso come quella che propone lui stesso.

 

Anche se il partito così com’è oggi ha bisogno in realtà di un grande comunicatore. E l’unico che abbiamo credo sia Renzi. E penso che il partito dovrebbe accettare con molta maggiore attenzione e rendersi conto che Renzi è l’ultima chance che ha e non boicottarlo come fa.

Renzi viene da una delle tradizioni del partito, di origine cattolica, ha dimostrato doti straordinarie di comunicatore, ha dimostrato soprattutto lealtà, una notevole lealtà, cosa si vuole di più? Se solo avesse voluto, Renzi poteva benissimo presentarsi con una lista sua in queste ultime elezioni, e avrebbe provocato uno sconquasso. Ma non l’ha fatto. Anche se avrebbe avuto un notevole successo e avrebbe spolpato ulteriormente il Pd. Ha invece deciso di restare al suo interno, e il meno che il Pd possa fare ora è riconoscerlo. Come si fa a non riconoscere che Renzi è il Pd, ne fa parte organica, è l’anima leale e profonda di un partito democratico che sta cercando la sua identità? Il partito è anche una comunità di affetti. Di persone che vogliono stare insieme. Renzi l’ha dimostrato, e allora per quale ragione il Partito – anche se è ostile a molte delle affermazioni di Renzi – invece di mugugnare non accetta quest’offerta? Un’offerta importante e senza danneggiare l’esperimento di governo che si sta conducendo. È un’operazione ovviamente rischiosa, ma che storicamente è già stata fatta. Durante la fondazione del Partito Democratico la persona meno contenta di tutti era ovviamente Romano Prodi. D’altra parte si fonda un nuovo partito in condizioni in cui gran parte della popolazione è scontenta del governo, anche del tuo governo: allora era il governo di Romano Prodi, adesso è il governo di Enrico Letta, dei rischi vanno corsi. Ricordo benissimo una incazzatura di Romano Prodi che non gli è ancora passata, Romano ha una memoria da elefante… Ma mi chiedo: di cosa ha paura il Pd?

 

Attualmente è in corso il dibattito tra leaderismo sì, leaderismo no. Per persone come me o anche dell’età di Bersani che è parecchio più giovane di me, il partito era una comunità in cui c’erano dei leader che uscivano da un curriculum interno, ma in realtà ben poco democratico, se si pensa alla tradizione del Pci; c’era il centralismo democratico, ma anche una pluralità di personalità e correnti per cui il leader è un primus inter pares. Da allora il partito è diventato una cosa diversa.

 

Bersani si dovrebbe studiare un po’ di testi su cosa sono diventati i partiti adesso. Un partito ha bisogno di un leader, un leader che viene scelto dal partito con i metodi che s’è dato, e questi metodi nel caso nostro non possono essere se non “primarie aperte”, perché questa è la nostra tradizione, da qui esce il leader. Dopodiché, date le circostanze, o il leader diventa capo del governo oppure no, ma questo lo si vedrà e non è poi una cosa così importante e da normare tassativamente a Statuto. Perché finché non saremo in un sistema bipartitico non è normabile. Questa è un po’ la situazione.

 

Ad ogni modo, un leader, una persona che abbia una capacità di comunicare, in una democrazia del pubblico come è la democrazia televisiva, è una cosa indispensabile. In realtà noi ne abbiamo uno che ha caratteristiche notevoli. Possiamo avere tutti i dubbi che vogliamo – io sono un renziano convinto, ma tanti dubbi sulle sue capacità, esperienza, eccetera li ho – ma delle scelte vanno fatte. In realtà, ci sono parecchie persone di primissima qualità che potrebbero benissimo svolgere questo ruolo. Letta, io spero, si dimostrerà un uomo con ottime capacità di governo e una persona con capacità di leadership. Renzi è una persona con grandi capacità comunicative in grado di incidere. Se questo avverrà, forse per la prima volta ci sarà la possibilità che il Pd incida anche nel campo dell’avversario. Per la prima volta, perché finora non è mai avvenuto. In queste ultime elezioni sul fronte destra-sinistra non c’è stata nessuna conquista da parte del Pd di voti saldamente berlusconiani, hanno perso tutti e due nei confronti di Grillo, ma nessuno ha conquistato pezzi dell’altro. Ed è un fatto di notevole interesse. In più, questa volta, s’è affermato un ragionevole, apprezzabile partito di Centro di una certa dimensione. Il dieci per cento non sarà tanto però è qualcosa. E soprattutto la persona che lo guida è una persona stimabile.

 

Per il futuro il partito deve pensare se stesso, cercarsi un leader e non considerare come estraneo o un corpo a sé una persona come Renzi, dopo le prove di lealtà che lui ha dato. Deve sentirlo come proprio. Se lo sente suo, se ammette che nel partito c’è anche questa componente, una componente liberal, è già una cosa molto importante.

 

Quanto poi alla speranza che possano formarsi due poli distinti e contrapposti che si alternano, io una – piccola – ce l’ho ancora. Se questo paese complessivamente rinsavisce, si forma probabilmente un ragionevole partito di centrosinistra e se anche per ragioni di età il centrodestra riesce a superare la “fase berlusconiana” alla quale è attaccato disperatamente – perché è l’unico acchiappavoti che ha – ma è una speranza che non so se vedrò.

 

So solo che un grande spazio di centrodestra, liberal-conservatore esiste, e che in qualche modo è stato un vero peccato che a suo tempo disgregandosi la Democrazia Cristiana invece di andare tutta quanta nella sua componente di sinistra, in cui era la leadership, ad una alleanza con i comunisti, un pezzo importante di leadership non abbia deciso di inseguire il suo popolo impedendo così questo rapporto… Voglio dire che l’operazione Segni, per avere un qualche senso, doveva essere l’operazione in cui un suo uomo decente, di destra decente, capeggiasse questa rivolta. Purtroppo allora non fu possibile perché la maggior parte degli inquisiti erano socialisti, democristiani. L’operazione doveva esser quella, ma le cose andarono diversamente. Si potrebbe dire che è un po’ il passato che non passa. Ma dovrebbe, prima o poi. Mi chiedo perché un personaggio come Monti o simile a lui non prende in qualche modo la leadership di questo partito di centrodestra? Perché non si va in quella direzione? Sarebbe tutto più semplice. Spero solo che un buon partito liberaldemocratico aiuti anche la nascita di un partito liberal-conservatore. Quella sarebbe la vera pacificazione. Oggi non lo è, perché con Berlusconi non ci si pacifica. È un elemento di divisione continua. Ed è un vero peccato che sia così.

(Testo raccolto da Alberto Ferrigolo)

 

  1. Come ho scritto qualche anno fa su Reset, provando a sintetizzare la storia dell’idea del partito democratico in Italia, occorreva un atto fondativo che sancisse la nascita effettiva di un nuovo soggetto politico con un’originale cultura politica ideale nell’era post ideologica. La formula dell’incontro delle tradizionali culture della sinistra democratica e riformista ha prodotto negli ultimi venti anni una sterile riproposizione dell’alfabeto politico post ideologico e una sostanziale incapacità di lettura e governo delle trasformazioni del Mondo Nuovo. Inoltre in buona parte della società italiana (Renzi o non Renzi) si è radicata la convinzione che l’operazione PD non sia altro che la maschera di garanzia della vecchia nomenclatura.
    La discussione sulla leadership è quindi rilevante ma il PD non sopravviverà se non si porrà il problema del nuovo inizio e della cultura politica nuova e condivisa. In sintesi RESET PD o fine del l’ennesimo tentativo di dare forma a un sogno mai realizzato.

  2. E gia!I comunisti detestavano la socialdemocrazia..e ora che la vorrebbero far propria la socialdemocrazia fa finta di esistere a Bruxelles ma è stata cancellata dalla globalizzazione.Poi hanno cercato di rifondare un partito con l’antiberlusconismo,ma è servito a ben poco perchè non è con l’antimignottismo che si crea un nuovo partito che sia una grande forza di sinistra.E non si crea nemmeno con la stanca ricerca di un nuovo leader (Barca o Renzi per me pari sono):una formula che ha già messo in graticola leader e opportunità. Ora che gli italiani si sono stufati dei partiti (di tutti i partiti)o si sarà capaci di inventare il “partito della solidarietà socialista” o ce ne andiamo tutti a casa ad aspettaremil “tintinnar di sciabole” (in Italia meglio dire ‘sciabolette’). mp

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