C’è ben poco di quel cauto politichese che abbiamo imparato ad associare al linguaggio dei politici italiani nelle parole di Lella Golfo.
Cavaliere del lavoro, Commendatore, Golfo è la prima firmataria, insieme ad Alessia Mosca, della legge che introduce le quote rosa negli organi delle società quotate.
E’ inoltre fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario, che ha recentemente avviato la selezione di “1000 curricula eccellenti”, un “enorme serbatoio di competenze a disposizione delle società quotate e delle controllate che dovranno andare a “caccia di donne” per ottemperare alla norma sulle quote”.
Un impegno su più fronti, che quest’anno le è valso il TIAW World of Difference 100 Award, un premio assegnato a 100 donne e uomini di tutto il mondo che hanno contribuito all’emancipazione economica femminile nel proprio Paese. E che, tuttavia, non è bastato a garantirle una riconferma nelle liste del Pdl alle scorse elezioni legislative. Anzi, come lei stessa denuncia, ne ha in qualche modo significato l’esclusione. Una epurazione in piena regola, di cui lei stessa ha saputo solo dai giornali: “Ho pagato sulla mia pelle la battaglia fatta per le donne”, dichiara senza giri di parole.
Un capitolo forse chiuso, quello parlamentare, di cui però rimane un’eredità importantissima, la legge 120/2011, al cui iter di approvazione, lungo e travagliato, Lella Golfo dedica un intero capitolo del libro “Ad Alta quota. Storia di una donna libera”.
È stata sempre convinta della necessità delle quote?
Dieci anni fa ero nella schiera dei contrari, pensavo che le donne avessero risorse e capacità per emergere e che semplicemente ci fosse bisogno di tempo perché in fondo eravamo entrate nelle stanze dei bottoni con anni di ritardo. Ma ero sul campo e assistevo al sostanziale immobilismo nel tempo mi convincevo sempre di più che serviva uno strumento legislativo a tempo determinato. Non dovevamo lasciare scelta e alla fine il sistema avrebbe sperimentato l’utilità del contributo femminile e l’equilibrio sarebbe diventato una scelta spontanea perché conveniente. È come se dovessimo educare il sistema, prenderlo per mano, mostrare i vantaggi dell’inclusione femminile.
Arriva in Parlamento nelle file del centrodestra.
Appena messo piede a Montecitorio, quindi, contattai subito il servizio studi e mi feci dare un corposo dossier di provvedimenti in favore delle donne già approvati e rimasti in itinere. Lo studiai e conclusi subito che le quote in economia fino a quel momento erano state un tabù. Allo stesso tempo, con la Fondazione mi ero imbattuta sul dato della presenza femminile nei CdA (allora il 5%) e soprattutto sulla lentezza dei progressi (secondo la Banca d’Italia ci sarebbero voluti 50 anni per arrivare al 30% senza strumenti coercitivi). Ero convinta fosse inutile presentare un testo lungo e articolato, che sarebbe stato oggetto d’infinite discussioni ed emendamenti: bisognava andare dritti all’obiettivo, con pochi, semplici ed efficaci articoli. Così presentati una proposta con soli 3 articoli. E inizio il lunghissimo iter in commissione Finanze.
Eppure la legge approvata porta anche la firma di Alessia Mosca, deputata del Pd.
In realtà è stata questione di regolamenti parlamentari. Dopo sei mesi dalla presentazione della mia proposta, infatti, la collega Mosca ne aveva presentato una simile e di conseguenza le due proposte vennero accorpate. Da quel momento, devo ammettere, di aver usato la natura bipartisan della proposta per agevolarne l’iter ed è stata certamente un’arma a nostro favore.
Quali sono state le resistenze più forti che avete incontrato nell’iter di approvazione? Da che parte sono venute?
Parlerei di vero ostracismo, venuto da più fronti. Prima di tutto da quelli che ho definito i “Poteri forti”. Tanto per fare un esempio, in un momento decisivo dell’iter – la proposta era stata approvata alla Camera dopo un anno e mezzo e approdava finalmente in Senato – Confindustria, Ania e Abi fecero un’iniziativa piuttosto irrituale, inviando una lettera al Presidente della Commissione Finanza in cui chiedevano sia maggiore gradualità negli ingressi femminili sia pene più morbide rispetto allo scioglimento del CdA. Poi c’era anche parte della stampa che in un primo momento aveva attivato il silenziatore sulla mia proposta e quando fu proprio costretta a parlarne cominciò a ospitare le tesi di chi vedeva le quote come “fumo negli occhi”. E certamente il fatto che tra Camera e Senato fossimo 156 donne su 945 parlamentari non ha reso le cose più semplici. Non parlerei quindi di un’ostilità di una parte politica ma piuttosto di un conservatorismo trasversale. La verità è che per ogni donna che entra un uomo deve uscire e io avevo messo in conto che non sarebbe stato facile. Le rivoluzioni non sono mai indolori ma a volte sono necessarie. E quelle vere, di rivoluzioni, non passano prima e solo per la piazza ma anche e soprattutto per le stanze dove le leggi vengono pensate e approvate. D’altra parte, devo anche dire di aver avuto dalla mia parte uomini illuminati e lungimiranti come il Viceministro Catricalà e il Presidente della Commissione Finanze Conte e, soprattutto, il sostegno di migliaia di donne che mi incitavano a proseguire nel cammino tracciato.
Alle ultime elezioni politiche le hanno offerto un posto da ineleggibile nel Pdl. E lei lo ha rifiutato. Pensa che questa esclusione di fatto abbia a che fare con la sua battaglia per le quote rosa?
All’indomani della mia mancata candidatura, quasi 500 tra imprenditrici, manager, avvocatesse, religiose, economiste hanno voluto esprimere pubblicamente la loro solidarietà che una lettera pubblicata sul «Corriere della Sera», su «Il Sole 24 Ore» e su «Calabria Ora». Lo stesso giorno, peraltro, in cui l’importanza storica della legge sulle quote che porta il mio nome è stata sottolineata all’ultimo vertice di Davos dalla vicepresidente della Commissione europea, Viviane Reding. Un sostegno straordinario che si aggiungeva a quello, bipartisan, offertomi da alcune colleghe parlamentari di entrambi gli schieramenti. Quelle testimonianze di stima mi hanno ripagato della delusione piovutami addosso quando, in un freddo lunedì di gennaio, ho dovuto apprendere – peraltro, solo leggendolo dai quotidiani – che per me l’esperienza parlamentare si concludeva e che, paradossalmente, «grazie agli straordinari risultati raggiunti», mi ero guadagnata soltanto la via d’uscita per fare spazio a «signore e signori validissimi, coerenti e con storie esemplari».
Gliel’hanno voluta far pagare?
Senza mezzi termini, credo di poter dire che “ho pagato” sulla mia pelle la battaglia fatta per le donne e non sarei sincera se non ammettessi che la prima reazione a questa esclusione è stata di grande amarezza. A colpirmi di più è stato il silenzio: non ho mai ricevuto una telefonata, un semplice saluto. Eppure, la mia candidatura era stata garantita dagli alti organi di Partito Nazionali e Regionali. Comunque, come sempre nella mia vita, alla prima reazione di stupore e amarezza è subentrata una rinvigorita voglia di fare. Quanto alla mia avventura politica, nella vita ho imparato a non fare programmi a lunga scadenza.
È cambiato qualcosa in questi ultimi anni per le donne nelle aziende?
Nell’imprenditoria, la vera difficoltà per le donne è nell’accesso al credito ma per il resto hanno dimostrato di essere anche più brave degli uomini. Gli ostacoli maggiori sono invece nelle aziende, dove la carriera delle donne continua a essere un percorso a ostacoli. Ma io dico sempre di essere ottimista. La presenza femminile ai vertici aumenta a vista d’occhio, le donne stanno dimostrando nei fatti l’importanza del loro contributo in economia e anche la mia legge ha contribuito in maniera sostanziale a incrinare il famoso soffitto di cristallo sia in termini quantitativi sia di cambiamento di mentalità. Ora bisogna andare avanti e sono certa che i benefici portati da una maggiore partecipazione femminile faranno il resto. E naturalmente, una volta che più donne saranno ai vertici, servirà quello che io chiamo “l’ascensore di cristallo”: le donne “arrivate” dovranno consentire alle altre di salire i gradini della carriera. Finora la scelta dei ruoli apicali è avvenuta tramite regole di cooptazione per cui uomini sceglievano altri uomini: mi auguro che la presenza di più donne nelle stanze dei bottoni cambi le cose. E poi auspico che si riesca ad affermare uno stile e un modello di leadership femminile che le più giovani possano seguire ed emulare. Le donne ai vertici hanno una grande responsabilità ed è importante che ne siano consapevoli e la usino con intelligenza e lungimiranza.
La percentuale di occupazione delle donne italiane è del 47,1%, a fronte di una media europea del 68.
Gli economisti ci dicono che se l’occupazione femminile arrivasse a quel famigerato traguardo del 60% indicato da Lisbona, il nostro Pil crescerebbe del 7%. Senza contare che le donne rappresentano il 60% delle laureate, oltre il 30% di loro hanno fatto master e spesso all’estero: un grande bacino di competenze e know how sottoutilizzato, senza il quale il Paese non potrà mai essere competitivo e vincere le sfide che lo aspettano.
Quali sono le politiche di sostegno al lavoro femminile che a suo parere è necessario attivare con più urgenza?
Pochi giorni fa, a Salerno, durante la XIV Edizione del nostro Seminario Internazionale “Donna Economia & Potere”, abbiamo parlato della “fiscalità vista dalle donne” e stilato un Manifesto con tre proposte semplici. Una di queste mira appunto a correggere le distorsioni sul secondo reddito familiare per favorire la partecipazione al lavoro femminile. Secondo i dati OCSE presentati durante il nostro convegno dal Vicedirettore del Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE Grace Perez-Navarro, la tassazione del secondo reddito familiare in Italia è sottoposta a una delle aliquote marginali più elevate tra tutti i Paesi industrializzati. Tale regime è fortemente penalizzante per le donne e ha l’effetto di disincentivare la partecipazione al lavoro femminile. Senza necessariamente dover ricorrere a interventi di “fiscalità di genere”, è urgente riequilibrare gli effetti distorsivi dell’attuale regime di deduzioni e detrazioni fiscali familiari, eliminando le distorsioni. E poi bisogna rendere anche per le imprese più conveniente l’assunzione di donne e incentivare l’imprenditoria femminile.
Parliamo del futuro. Come continuerà la sua attività e il suo impegno sul fronte dell’uguaglianza di genere? Quali iniziative porterà avanti con la fondazione e/o personalmente?
Abbiamo in cantiere tantissimi progetti. Stiamo mettendo su un Comitato scientifico della Fondazione Bellisario che si occuperà di temi economici e del lavoro e coinvolgerà i più validi esperti italiani. Poi c’è la nostra campagna di curricula eccellenti che prosegue. Oggi il nostro Database conta su oltre 3000 profili di donne e sono le aziende a cercarci per avere accesso a quest’immenso patrimonio. Nelle scorse settimane ho personalmente consegnato questo immenso patrimonio a interlocutori come il Dipartimento del Tesoro, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Patroni Griffi, il Presidente della Cassa Depositi e Prestiti Bassanini e la società Ego Zehnder, mentre ho firmato 150 lettere di congratulazione alle donne entrate nei CdA nell’ultima tornata assembleare. Prosegue inoltre il lavoro della Commissione di Garanzia e manutenzione della mia legge sul fronte delle società controllate Nello stesso tempo, proprio per rendere sempre più forte e concreta questa “rivoluzione del merito”, con Deloitte abbiamo dato vita al ciclo Board Academy: corsi gratuiti durati di sei mesi – e che riprenderanno in autunno – per approfondire le tematiche relative alla governance delle imprese tenutisi a Roma e Milano con un’impressionante affluenza di donne. E naturalmente, siamo già al lavoro per la selezione dei migliori talenti femminili che riceveranno la Mela d’Oro nel corso della XVI Edizione del Premio Bellisario. Quanto a me, sto partendo per la Cina con una delegazione di imprenditrici della Fondazione e lì avremo incontri e colloqui con interlocutori istituzionali e imprenditori. Una volta tornata dalla Cina partirò per presentare il mio libro in New Jersey e a New York e, dove sarà il 25 Novembre presso l’Istituto Italiano di cultura. Insomma, non ho ancora deciso di fermarmi!