1. Il 60° anniversario dalla morte di Benedetto Croce è stato organizzato a Trento nella convinzione che pensare lo storicismo secondo le istanze di un “moderno umanesimo”, ereditato nel nuovo secolo, non poteva più essere considerato, come appariva ed era negli anni ’50, un pensare eretico. E non lo poteva essere in base alla documentazione della ricerca, della storiografia, pubblicata intorno e insieme all’Edizione Nazionale delle opere del maestro di Palazzo Filomarino. Sessant’anni dopo il novembre 1952, lo storicismo crociano sembra poter essere letto in tutta la sua dimensione, italiana ed europea, nazionale e transnazionale, calato nel suo tempo e a noi “contemporaneo”, come un riferimento ermeneutico per la “comprensione storica” del nuovo secolo.
E’ su questo presupposto che avvalendoci della consulenza di giovani studiosi, è stato proposto al Centro d’Italianistica e al Dipartimento di filosofia dell’Università di Innsbruck da parte del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, un programma di lavoro per un approccio filologico, filosofico e storico all’opera di Croce. Programma sottoscritto da altri prestigiosi centri di studi trentini (la Fondazione del Museo Storico di Trento, il Centro Culturale Rosmini di Trento, l’Accademia degli Agiati di Rovereto, il Centro di alta formazione di Bolzano). All’Istituto Italiano per gli Studi storici di Napoli è stato chiesto, inoltre, il patrocinio mentre le prime partecipazioni e i primi contributi sono venuti dal Dipartimento di Filosofia di Pisa e dall’Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento di Firenze.
Sulla base di questo programma, Croce Filosofo europeo è stato già discusso in primavera a Trento e in estate a Dobbiaco. Qui in un primo colloquio abbiamo potuto discutere il tema: Croce, filosofia della natura e ambiente, con uno storico già ex normalista e sottosegretario per la ricerca scientifica come Giuseppe Tognon, e con una figura nota ed eminente d’intellettuale tecnico-politico come quella di Guido Viale. Altri appuntamenti sono previsti in questo autunno ancora a Trento a Bolzano e ad Innsbruck, dove l’iniziativa si concluderà dopo un seminario dedicato a Croce e la filosofia italiana del Novecento.
2. Quando ho cominciato il corso la scorsa primavera a Trento, ho dovuto tenere insieme lo sguardo degli studenti e quello di un vecchio bambino che aveva vissuto un sorprendente e insolito corteo funebre. Lo sguardo dei pochissimi studenti frequentanti, sembrava chiedermi: ma perché Croce? E nelle brevi e veloci discussioni, per me che a nove anni avevo assistito da un balcone nei pressi di Piazza del Gesù al funerale del filosofo, era imbarazzante conciliare un Croce una volta – ma tanto tempo fa – “papa laico della cultura italiana” e un pensatore poi considerato inattuale e messo da parte, con l’idealismo italiano, da una generazione post nichilista durante l’ultimo anno del liceo. In continuità con la loro formazione scolastica è sembrato del tutto evidente agli studenti che nel sessantennio che ci separa dalla scomparsa del filosofo lo storicismo coi suoi studi fosse diventato espressione e testimone di una stagione troppo remota, giunta da tempo al tramonto e non più trasmissibile.
Il corso è diventato via via più affollato e gradualmente ha cominciato a prendere spazio la possibilità di pensare e contestualizzare un “errore” metodologico, ideologico ed effettuale, quello che porta a credere a un Croce arroccato in un ambito di ricerca chiuso al pensiero europeo e americano ed esclusivamente legato alla costruzione di una tradizione ‘italiana’, che si vorrebbe vivente, del tutto differente, separata e sfuggente tanto alla “filosofia moderna”, da Cartesio a Hegel e a Nietzsche, quanto a quella che si delinea oggi col nuovo secolo, una volta attraversato il Novecento.
A dare una mano e a visualizzare questo “errore” hanno contribuito, tra gli altri, alcuni testi: il testo di Marcello Mustè, Croce (Carocci 2009) che ha sostituito lo studio manualistico divenendo testo base nelle esercitazioni, insieme allo studio insuperato di Gianfranco Contini pubblicato inizialmente in anni a ridosso del ridicolmente famigerato ’68 col titolo L’influenza culturale di Benedetto Croce, (Napoli Riccardo Ricciardi editore 1967). Significativamente per Contini il “vivo” della storia per Croce non era esclusivamente “filologico” ma filosofico e autobiografico. Non a caso Contini citerà insieme, accostandoli, il “pathos rattenuto” di Croce e il “’Discours’ del razionalista Cartesio”. Per questo motivo Il Contributo alla critica di me stesso (a cura di F. Audisio, Bibliopolis 2006) e il Saggio sullo Hegel (a cura di A. Savorelli e con una nota di Claudio Cesa, Bibliopolis 2006) hanno provocato di riflesso una “attenzione fluttuante” da un problema ad un altro, orientata quasi esclusivamente verso una comprensione del “presente” e della propria condizione.
Nella direzione di una storia come “storia contemporanea” ha fatto breccia anche un Croce “biopolitico” attento a tematizzare e a distinguere costantemente il vivo dal morto, tanto nel ‘tempo’ attuale quanto nella propria “autobiografia mentale” in formazione; un interesse vivacissimo e vitale per la condizione organica del ‘pensiero’ col tempo, il «buco nero» insomma dello ‘storicismo’, la temporalità. Un Croce in tacito e polemico contatto con la propria “angoscia”, ma forse lontano dalla pur acuta ermeneutica di Nancy, e che consentiva di riprendere in un altro presente, storia e filosofia, le considerazioni sulla storiografia “psicologica” e quelle sullo “scartafaccio” di Luigi Martinotti comparate e capovolte rispetto alle considerazioni di Elvio Fachinelli a proposito dell’uomo col magnetofono. Sui temi della lingua viva o ‘laica’ si è concentrata a Trento Emma Giammattei del Suor Orsola Benincasa e sulla consistenza letteraria, implicitamente stilizzata e citazionistica della ‘scrittura’ crociana è tornato, con grande interesse degli studenti, Davide Colussi dell’Università di Milano Bicocca.
3. Con la risonanza dei seminari, gli studenti, provenienti da Trento e da Bolzano, da Cassino e da Palermo hanno cominciato a sentire il fascino dell’autore anche quando non erano d’accordo. Il fascino di un autore che si voleva nato in un’assenza elaborata e altra dal proprio, “vitale” essere gettato. La “vita civile” e il “barocco” riletti dalla lente di Andrea Battistini dell’Università di Bologna, la “storia contemporanea” e il “Croce editore” riproposti da un ‘giovane’ editore fiorentino come Tommaso Codignola e perfino il Croce dei dirigenti comunisti che “venivano da lontano” riletto da Luca Basile dell’Istituto Gramsci scatenavano pensieri inediti in una generazione così nuova e lontana. La dichiarazione di Borges, segnalatami occasionalmente: “Ho letto quasi tutti i libri di Croce e non sempre sono d’accordo con lui, ma ne sento il fascino” (Nove saggi danteschi Adelphi 2001), veniva acquisita tra gli studenti come una presente verità. Del resto il fascino di pensare Croce confessato dal Borges del 1977 (un altro anno in Italia famigerato) aveva un antecedente nazionale in Ernesto De Martino, posto di fronte all’ondata europea e americana, dirompente in Italia negli anni ’60. De Martino può essere considerato l’allievo emblematico, proveniente dalla biblioteca di Palazzo Filomarino, che non aveva fatto arretrare Croce nella “filologia” o nella tradizione “liberale” e “nazionale” né era risalito ad una “antica sapienza”, sottratta alla “modernità” e alla “religione della libertà”. De Martino aveva osato confrontarsi con Eliade e Foucault, con Jaspers e Sartre, con Freud, rivendicando pienamente la propria formazione. Non a caso il suo problema era stato, ancora prima di quegli anni, “continuare a pensare lo storicismo crociano sottoponendolo alla prova di mondi storici alla cui diretta esperienza storiografica esso non era nato” (Morte e pianto rituale,1958). In effetti continuare a pensare Croce col suo fascino – come indicato da De Martino e Borges – faceva tutt’uno col pensare al fascino dei Frammenti di etica e alla drammaticità dell’azione che connette natura e cultura, una connessione non data logicamente (sostiene De Martino) e che spiega il raccordo tra patologia e storia.
Era su questa strada che si poteva pensare lo storicismo italiano non separato dalla filosofia europea, per es. da Kant e da Husserl come da Heidegger, dopo la Critica della Ragion pura, dopo la “storicità” di Essere e tempo, dopo la Crisi delle scienze europee, e attraverso la fenomenologia italiana (Paci) e franco-tedesca, (nella duplice direzione di marcia della parigina Ecole Normale: Sartre e Foucault). Croce faceva ripensare l’homme togliendolo dal vicolo cieco di un ‘sentiero interrotto’ e rendeva la filosofia italiana partecipe critica di un approccio attivo a quella europea. Insomma sentire il fascino di Croce, continuare a pensare Croce, è sembrato poter fare tutt’uno non solo col pensare insieme “filologia”, “filosofia” e “storia” e col pensare un Croce non solo “italianista”. Per esempio il Croce dei carteggi. Pensare Croce con Benjamin e Loewith, Croce con Thomas Mann e con Leo Spitzer.
4. Si può ritenere quella di Croce una “filosofia vivente” (come si sarebbe detto nel linguaggio egemone della fenomenologia in alcuni anni del secolo scorso), un pensiero “vivo” come suggeriva Contini, perché non separato dalla tradizione nazionale, con i suoi fortissimi accenti “meridionali”, e perché riponeva questa tradizione in quella europea. Come mostrano i due scritti di Benedetto Croce e Renato Serra appena proposti (Che cos’è la storia, Storia e letteratura 2012), Croce nostro contemporaneo riaffiora attivamente dentro il “nuovo mondo” del XXI secolo perché non si conserva separato idealmente (da quello europeo e americano) dentro una “filosofia della storia”. Borges (Scritti prigionieri) e Hayden White (Retorica e storia) fanno risalire al “vissuto” del terremoto del 1883 la scelta fondamentale con cui Croce “per sfuggire ad una disperazione totale” (Borges) si era fatto autore. Emergendo “attraverso numerose sepolture” “alla luce della filosofia” (White) aveva stabilito lo statuto della natura nella storia, la preminenza dell’attività dello spirito, la cifra di normale e patologico, l’autobiografia come critica.
Naturalmente Croce sessant’anni dopo non si comprende solo per la sua scelta fondamentale. E’ “presente” in quanto ripreso all’interno delle attuali incertezze e degli attuali conflitti, nei quali, come cita Lucio Villari, gli uomini “ sono costretti a considerare la loro vita e le loro relazioni reciproche con occhi disincantati” (Notturno italiano, Laterza 2011) che però, finalmente riscoprono l’incanto della scoperta e del dialogo a partire da Croce nel segno vivace e vitale di giovani studenti e ricercatori.
A proposito, in particolare, dei rapporti di Croce con la cultura statunitense, meritano d’essere ricordati gli apprezzamenti di Dewey per la sua estetica, di Berenson per i suoi studi studi storici e letterari.
Il carattere complesso e internazionale della cultura di Croce è ben noto da un pezzo. I suoi rapporti con scrittori e studiosi americani ed europei lo è altrettanto. Croce incontrò di persona Thomas Mann, Einstein, Sptitzer, Auerbach, ecc. ecc. Come scrissi io stesso anni fa, è possibile che qualche suggestione crociana sia anche nel «Doktor Faustus» di Thomas Mann. Il «New Criticism» statunitense ha avuto, consentendo o dissentendo, l’«Estetica» di Croce come uno dei suoi punti di riferimento. Il pensiero dell’inglese Collingwood si sviluppò in stretto dialogo con quello di Croce. Non per niente l’università di Oxford gli conferì la laurea honoris causa, e T. S. Eliot e Thomas Mann lo proposero per il Nobel.