Da Ernesto Rossi alla naja, storia di una buona idea

 Sembra che la politica, sia su scala italiana sia su scala europea, non riesca più a raccogliere una quantità di energia morale sufficiente a introdurre nella sfera pubblica idee che introducano un significativo cambiamento degli orientamenti diffusi e insieme risolvano dei problemi acuti delle società contemporanee. Sarebbe questo il caso della introduzione di un vero servizio civile obbligatorio europeo per giovani, maschi e femmine. La campagna elettorale italiana sarebbe stata una di queste occasioni ma si è consumata purtroppo senza impennate che siano andate al di là di appelli alla serietà (assolutamente da condividere), contro le bugie populiste (idem), impegni per la crescita (e chi non la vuole?). Il momento recessivo rende difficile alzare lo sguardo verso il futuro. Forse per questo una proposta come quella che si è affacciata, solo per un attimo, durante la campagna delle primarie del Pd, sulla bocca di Matteo Renzi – introdurre un servizio civile europeo di sei mesi, su base volontaria, per aiutare a costruire dal basso la nuova società integrata – si è subito squagliata e non è stata neppure commentata. Forse neanche notata, se non dagli addetti e dai militanti del volontariato che da tempo si battono per un rifinanziamento del servizio civile. L’idea è subito uscita dalla politica e tornata nel campo delle «buone idee» di cui si parla senza farne nulla. Moto di approvazione, superficiale,  quando Daniel Cohn-Bendit e Ulrich Beck le propongono raccogliendo adesioni intellettuali e di testimonianza da parte di politici emeriti come Jacques Delors e Helmut Schmidt, ma nessun impatto sulle campagne elettorali e neppure sulle riunioni europee sul bilancio, dove per il progetto Youth in action e il Servizio Volontario Europeo, così piccoli da essere praticamente sconosciuti (qui comunque ne parliamo…), rimangono solo insignificanti briciole.

Se la miseria è una malattia infettiva, come sosteneva Ernesto Rossi, perché è dalla miseria che nasce altra miseria per propagazione virale, quel che vale per la miseria materiale vale anche per la miseria spirituale e per quella politica. Si propaga. E una buona idea, come quella proposta da Renzi, si è dissolta in niente. Altri tentativi fatti in passato non hanno avuto miglior sorte. Eppure il servizio civile, su basi nazionali, ha conosciuto in Europa momenti piuttosto buoni negli anni Novanta, quando è cresciuto a partire da una eterogenesi dei fini, quella per cui, nell’epoca della coscrizione militare obbligatoria, il numero degli obiettori di coscienza che si rifiutavano di prestare servizio nell’esercito è cresciuto fino ad assorbire una quantità di giovani che ha superato in Italia le 50mila unità. Anche in Germania ed altri paesi il servizio civile è cresciuto in una modalità analoga, andando a rappresentare una quota significativa di servizi, nell’assistenza ai disabili, nella sanità, in diversi generi di associazione volontaria. È accaduto poi che, abolito l’obbligo militare e affermatosi per ragioni ineludibili (la preparazione tecnica, i tempi lunghi di addestramento) il pieno professionismo dell’esercito, quel tipo di domande in entrata che venivano  alimentate dal rifiuto delle armi e che nel bilancio statale ereditavano i grandi numeri del costo del servizio obbligatorio e dunque di massa, si sono ridotte. Ma si sono ridotti soprattutto i mezzi a disposizione. Come documentiamo nei contributi di questo dossier l’Europa sta maltrattando quel poco che si spende per i programmi di integrazione culturale e civile della sua gioventù, Erasmus e Gioventù in azione (solo 400 e 100 milioni). L’Italia spendeva per il suo servizio civile, già ridotto a meno di 20mila unità, circa 120 milioni all’anno, che sono però anche loro in via di scomparsa nel prossimo bilancio. Se la politica europea riuscisse a immaginare una forte iniezione di integrazione dei suoi cittadini, per un progetto di servizio civile europeo capace di coinvolgere 2 milioni di giovani servirebbero 15 miliardi, dal budget dell’Unione. Per l’Italia, e per molto meno, sarebbero serviti 50 milioni nel 2013, ma non si sono trovati.

Non è difficile immaginare come un investimento più massiccio nella scelta politica e civile di dare impulso a questo servizio, in Italia e in Europa, potrebbe influire sulla crescita e formazione di una gioventù integrata in Europa attraverso la immissione annua di una quantità di giovani portatori di esperienze comuni in diversi paesi europei: basi di una nuova cittadinanza. E potrebbe mettere a disposizione di bisogni i cui costi non sono sostenibili a valori di mercato, attraverso questa forma di volontariato. Molte funzioni preziose nella tutela ambientale, del paesaggio, dei beni culturali potrebbero essere coperte con risultati importanti in particolare per l’Italia.

Ho citato Ernesto Rossi e le sue idee da Abolire la miseria, un libro che pubblicò nel 1946 ma rimase praticamente sconosciuto fino alla riedizione nel 1977 per Laterza con una introduzione di Paolo Sylos Labini perché quel grande ingegno azionista, liberal-socialista, aveva formulato in una forma quasi utopistica il progetto di un «esercito del lavoro», che attraverso una coscrizione civile, di maschi e femmine, al termine del ciclo scolastico, aveva il compito di affrontare il problema della miseria che affliggeva l’Italia con livelli di mortalità infantile doppi della Francia e dell’Inghilterra. I regimi che Rossi definiva «individualistici» producono nella circonferenza ai margini della società il fenomeno estremo della morte per indigenza, che si manifesta in modo da punteggiare i bordi della società. Ma nella zona interna di questa circonferenza appare una fascia più spessa e continua che è la «striscia della miseria», la fascia povera che non può provvedere a garantirsi i servizi fondamentali alla salute e all’istruzione. Per Ernesto Rossi, che elaborò queste idee leggendo il piano Beverdige e studiando la Poor Law inglese negli anni di carcerazione a Regina Coeli e poi a Ventotene, il servizio di lavoro, sostitutivo del servizio militare e concepito in modo da trasformare il servizio militare in appendice del servizio civile , avrebbe potuto prendere il posto di un intervento che l’azione dello stato non poteva svolgere se non attraverso una collettivizzazione burocratica che il liberale Rossi avversava.

Oggi in condizioni assai diverse, il volontariato, che il servizio civile può alimentare in misura assai maggiore di quanto fatto finora, potrebbe coprire un’area di bisogni e di problemi, nell’assistenza, che le ordinarie attività dello Stato lasciano sguarnita. Mentre si riaffaccia il problema della povertà, il tema tipico di Ernesto Rossi secondo il quale la degradazione economica porta con sé la degradazione spirituale non è estraneo ai nostri tempi, anche se in misura e forme diverse. E va notato di passaggio che l’idea di trasformare il servizio militare in una appendice di quello civile, si è pressoché realizzata negli anni ’90 in Germania quando il numero dei coscritti prestanti servizio in ambito civile aveva abbondantemente superato quello dei prestanti servizio in ambito militare.

L’andamento paradossale di queste vicende nella società europea ha prodotto nel tempo situazioni estremamente contraddittorie. In epoche di forte crescita, con la piena occupazione e dunque con la gioventù fortemente inserita nel lavoro, avevamo in Italia una situazione per cui i ventenni venivano costretti all’esperienza del servizio militare, che quasi sempre li sottraeva a un lavoro che avevano già trovato, o li metteva alle strette; nel caso degli studenti universitari li costringeva a interromperli o a chiedere il rinvio fino a un momento in cui avrebbero invece immediatamente cominciato a lavorare. Negli ultimi dieci anni, al contrario, in una fase di amplissima disoccupazione, la cancellazione del servizio militare ha privato i ventenni di una esperienza, quella del servizio militare, che per quanto avesse aspetti negativi, avrebbe avuto comunque una funzione integrativa, più raccomandabile comunque dell’attuale parcheggio nel nulla. Oggi un forte rilancio del servizio civile sottrarrebbe braccia al vuoto dell’attesa di un lavoro che non c’è, alla dipendenza dalla famiglia, e persino alla criminalità.

    • Cari amici, grazie degli appprezzamenti e suggerimenti, cerchiamo di far fare strada al progetto. Superati questi giorni di blocco politico, dobbiamo cercare il modo di portare l’idea in primo piano.

  1. condivido anche le virgole.Pensate che risorsa sarebbero nelle scuole!.E’ un po’ che ci penso e ogni volta mi dico che questa è la strada per ricostruire comunità e comunicazione vera fra generazioni e fra generi
    .Ma per il Pd il tema era banale evidentemente…

  2. Caro Gianfranco, sono molto d’accordo sull’idea di un servizio civile obbligatorio del tipo di cui parli. Anzi, se fosse possibile lo estenderei a un anno facendone fare una parte in Italia (ci sarebbe un enorme bisogno di cura del territorio: l’idea mi è venuta in mente quando le alluvioni si sono abbattute sui muretti a secco delle 5 terre. Un’opera che difficilmente la sola logica del mercato può garantire) e una parte in Europa e anche in altri paesi (penso al Nord Africa, che dovremmo considerare ormai parte dell’Europa…). Aggiungo che, soprattutto per giovani maschi in crisi di identità la cosa mi sembrerebbe doppiamente utile. Non solo Renzi, peraltro, ha avanzato questa idea. Ne ho sentito parlare da orientamenti molto diversi: da Fulvia Bandoli, a Michele Serra, Barbara Palombelli. Io vado anche più in là, dicendo che a questa idea, però su base volontaria, si potrebbe collegare il progetto di un impegno anche nelle azioni di “peacekiping”, come aveva indicato a suo tempo Alex Langer. Perchè non costruiamo una sede di confronto comune? Ti abbraccio.

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