Il Codice di Camaldoli?
Serve una spinta cattolica, non la DC

Nel 2015, durante un’omelia pronunciata a Santa Marta, papa Francesco disse che i tempi cambiano e i cristiani, fedeli al Vangelo, devono cambiare con essi leggendo i segni dei tempi. Così è comprensibile, ma anche insidioso, parlare di una “nuova Camaldoli”, cioè di un nuovo incontro che, come quello che verso la fine della seconda guerra mondiale seppe impostare l’impegno in politica dei cattolici da Camaldoli, sappia oggi rifare la stessa cosa. Se fosse chiaro che bisogna cambiare, allora sarebbe uno sforzo importante, per capire come cambiare rispetto ad allora. Ma il meritorio diverrebbe problematico se si ritenesse che riscoprire Camaldoli ne evidenzierebbe l’attualità.

Il Codice di Camaldoli fu una pagina decisiva per i cattolici democratici e quindi per l’Italia repubblicana, ma la nostalgia di questo passato sarebbe tanto deleteria quanto impossibile, perché significherebbe nostalgia del partito dei cattolici. Per arrivare al punto direi meglio: Jacques Maritain è stato un grande, il suo contributo decisivo per il progresso che in quegli anni si determinò, ma oggi riproporlo così come fu vorrebbe dire non essere proiettati in avanti come a suo tempo fu lui, ma protesi verso un passato che non c’è più e che riproporre tal quale sarebbe dannoso per trovare un sano rapporto tra i cattolici e la società odierna. E non è osservazione d’oggi. Se Maritain nel 1936 con il suo “umanesimo integrale” si augurava una nuova cristianità, già nel 1986 Piero Scoppola scriveva della “nuova cristianità perduta”. Allora però, per capirci, dobbiamo ricapitolare i termini della questione.

Tutto cominciò con un intervento radiofonico, nel 1942, di papa Pio XII, nel quale invitava i cattolici ad attivarsi perché, terminata la guerra, il nuovo ordine della vita collettiva italiana fosse ordinato su basi cristiane. Il tempo divenne maturo nel 1943, dopo l’armistizio e, nonostante difficoltà che impedirono a molti invitati di raggiungere la sede prescelta per il confronto, per l’appunto Camaldoli. Cominciò un lavoro decisivo per realizzare concretamente quanto sollecitato dal papa. Il Codice di Camaldoli fu la risposta concreta a questa esigenza, che portò alla Democrazia Cristiana.

Il suo testo si articola in sei capitoli: lo Stato, la famiglia, l’educazione, il lavoro, l’economia, la vita internazionale. Già questo ci aiuta a individuare il grande passo in avanti rispetto a dove la dottrina del tempo consentisse ai cattolici di essere allora: la scelta democratica. Il passaggio era ardito per quel tempo: a una Chiesa garante dei diritti di Dio si veniva a parlare dei diritti dell’uomo, della democrazia, affermando che un regime politico democratico ma guidato dai cattolici e garantito dalla Chiesa era necessario. Questa garanzia di conformità cristiana consentiva di passare a certi diritti dell’uomo e del cittadino, tutelati nella loro conformità e così compatibili con la certezza di non violare i diritti di Dio. Ricordo che la prima volta che l’espressione “diritti umani” compare in un documento pontificio arriverà con Giovanni XXIII e la sua enciclica Pace in Terris. L’espressione, fortemente avversata dalla curia romana, era anatema per la Chiesa dei diritti di Dio.

Il Codice di Camaldoli ha fatto compiere, già anni prima, questo balzo in avanti, richiamandosi alla dignità umana, e garantendo diritti civili e politici a tutti. È stato Maritain il grande intellettuale che ha reso possibile questo sviluppo decisivo: per consentirlo ha puntato tutto sulla legge naturale, ben sapendo che la Chiesa se ne ritiene depositaria. Questa legge naturale garantisce i diritti di tutti, inviolabili come è inviolabile la legge naturale. Le opposizioni interne furoreggiarono, il fronte intransigentista cattolico non vedeva con nessuna simpatia la democrazia, l’associare alla legge naturale la democrazia. Maritain accompagnò papa Paolo VI in tutto il cammino conciliare, il suo contributo non può essere ritenuto secondario da nessun osservatore onesto. È lui che ha aiutato Paolo VI a portare il cattolicesimo nella modernità. Ma, come ha osservato con precisione il professor Daniele Menozzi, noi oggi non siamo più nella modernità, siamo “nell’età postmoderna, segnata dalla rivendicazione dell’autodeterminazione del soggetto in ogni campo: pensare ancora la politica in quei termini può solo costituire un ostacolo al rapporto del cristianesimo con gli uomini d’oggi”. Alla Chiesa che aveva ora accettato, ora rifiutato il fascismo, Maritain indicò la via a una scelta netta per la democrazia, delimitata dalla Chiesa e dalla legge naturale di cui essa rimaneva garante.

L’idea di Francesco, quel papa che ha detto che i tempi cambiano, è molto diversa perché guarda avanti, e come lo fa? Anteponendo il Vangelo alla legge naturale. Il Vangelo non è una legge, ma una visione che richiede coerenza, infatti sa rapportarsi ad altro da sé, dalla cananea all’adultera, dà voce cioè a un evoluzionismo cristiano che non ferma il tempo al tempo presente, segue un cammino in avanti, cioè evolutivo, e in alto, cioè verso il trascendente. È uno dei motivi per cui credo che ci si debba chiedere: quale senso potrebbe avere oggi un partito cattolico? Il senso della nostalgia, o, peggio, della caserma in un’epoca in cui vaghiamo smarriti fuori dalle vecchie caserme ideologiche.

Quando si discusse della Costituzione europea e delle radici cristiane, ci si dimenticò della coerenza: è questo, mi sembra, l’unico modo per iscriverle davvero, le radici cristiane della nuova Europa, nella sua vita quotidiana concretezza. Cioè la migliore iscrizione non è quella a mezzo di bolle, ma quella che si fa quotidianamente testimoniando quelle radici nella propria azione umana. La testimonianza purtroppo è apparsa a molti traducibile con “militanza”, garantita ad esempio dall’iscrizione alla Dc, per questo ha ragione il professor Rocco D’Ambrosio che dall’Università Gregoriana ribadisce da tempo che la testimonianza per un cristiano è sinonimo di coerenza evangelica. Per D’Ambrosio una fede può portare a impegni politici diversi, il problema è farlo con coerenza evangelica, non nel segno di un’appartenenza. Questa coerenza dunque è anche politica, incontra e dialoga con diverse priorità, con il resto della società, dimostrando le proprie coerenze.

Questo è chiarissimo e indispensabile in questa fase postmoderna, infatti quel che serve è la polarità contro la polarizzazione, come afferma il noto docente cattolico Massimo Borghesi. Cosa vuol dire? Noi viviamo tra poli che non possono elidersi, per esempio globalizzazione e localismo. Il problema non è diventare globalisti o localisti, ma tenere insieme i due poli che si contrappongono ma non si contraddicono. Ritenere tutti i grandi poli del confronto dei nemici in armi crea polarizzazione, incomunicabilità, e così il populismo, che dovrebbe unire i popoli, spacca in due i popoli, perché polarizza. Il “cristianismo” di un partito dei cattolici, separato dagli altri italiani, farebbe lo stesso.

Oggi riproporre un codice “camaldoliano”, nonostante i grandi meriti che quel codice ebbe, vorrebbe dire riportarci al primato della legge naturale e del controllo della Chiesa sulla sua autenticità. Lo si può dire considerando che il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Matteo Zuppi, dopo aver auspicato uno sviluppo europeo non necessariamente fermo a Camaldoli, dicendo che “sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide”, ha aggiunto però che la Chiesa sa cosa conti oggi: l’epocale questione dei migranti, una politica di sostegno della natalità e di difesa della vita, con la consapevolezza che i principi e le posizioni che propongono i cristiani non esprimono l’interesse della Chiesa, ma il bene di tutti”. Ma questo bene lo conosce e lo certifica per tale la Chiesa? Questo bene di tutti, detto così, ricorda un primato della legge naturale garantita dalla Chiesa.

Non è un vetusto laicismo quello che serve, ma la realtà postmoderna rende quel meccanismo difficilmente adattabile ai nostri tempi. A questi tempi, da un punto di vista cattolico, servono testimonianze di cosa ci dica il Vangelo sulla dignità degli uomini, oggi, dialogando con questo anche con i non cattolici, o post-cattolici; perché il problema di oggi non è spaccare, come fanno i populismi, ma unire che si può proporre in tanti modi diversi, ma con la medesima finalità.

 

Foto di copertina: il profilo di papa Francesco, dopo l’incontro con il presidente dell’Azerbaijan al Vaticano, il 22 febbraio 2020 (foto di Alessandra Tarantino/POOL/Afp).

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