Rinascere criminali. Padrini, battesimi e simboli nell’iniziazione mafiosa

Il corredo di simboli e rituali che caratterizzano i cosiddetti “battesimi” mafiosi presenta dotazioni, logiche e sintassi pressoché analoghe. Che si tratti dell’iniziazione a cosa nostra, alla camorra, alla ‘ndrangheta, alla sacra corona unita, oppure alla yakuza giapponese, le triadi cinesi o l’ms-3 salvadoregno – la “forma strutturale” che soggiace ai riti di affiliazione resta identica ovunque. Così come identici sono i valori che li sottendono e che, come si vedrà più avanti, sembrano rinviare a veri e propri archetipi del pensiero umano.

  1. Sono essenzialmente tre gli elementi costitutivi il cerimoniale dell’iniziazione mafiosa: la recita di formule verbali pronunciate dal maestro di iniziazione e dal postulante, spesso ricorrendo a un linguaggio criptico volto a conferire un alone di mistero al contesto e a produrre un’intensificazione emotiva tra i presenti;
  2. L’esposizione e la manipolazione di sacra cui è demandato il compito di conferire efficacia simbolica e valore di costituzionalità al rito;
  3. Il giuramento solenne di adesione ai valori e alle norme di comportamento della società mafiosa.

I riti, di norma, hanno inizio con una formula di sacralizzazione dello spazio. Riferisce al riguardo il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola, intervistato da la Repubblica:

Per il rito ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati. Il primo passo è la “formazione del locale”, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario: “Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile.

La sacralizzazione dello spazio, oltre alla formula verbale pronunciata dal maestro di iniziazione è garantita dall’evocazione di testes mitologici o religiosi che variano – dall’arcangelo Michele alla Madonna del soccorso, da Osso, Mastrosso e Calcagnosso, a Gaspare, Melchiorre e Baldasarre, compresi Mazzini, Garibaldi e la Marmora – a seconda dei contesti o dei gradi di iniziazione previste dall’organizzazione mafiosa.

Significativo poi è il fatto che vengano utilizzati riferimenti proprio al rito del battesimo. Sono ancora le parole di Cretarola a darne testimonianza:

A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo.

Il riferimento al battesimo trova riflesso anche nella presenza di padrini che svolgono un ruolo fondamentale sia nel reclutamento del novizio, sia nel rito di affiliazione che lo introduce nella onorata società e sia in tutta la sua successiva condotta di vita di cui lo stesso padrino è ritenuto il responsabile e il fideiussore.

Un altro aspetto costitutivo dei riti è la rivelazione di un segreto iniziatico riguardante il codice di comportamento al quale il postulante dovrà conformarsi per sempre, giacché dal giuramento non è possibile recedere da vivi. Come il giudice Giovanni Falcone spiegava a Marcelle Padovani in Cose di cosa nostra, questo codice di comportamento implica: l’obbligo di conservare il segreto a costo della vita; il dovere di non mettersi in contrasto con altri uomini d’onore e di dimostrare sempre un comportamento leale verso i fratelli di sangue; l’obbligo di non presentarsi mai soli al cospetto di altri uomini d’onore, bensì accompagnati da un altro uomo d’onore che garantisca la medesima appartenenza a Cosa Nostra affermando: “quest’uomo è la stessa cosa”. A queste clausole essenziali e non eludibili se ne possono aggiungere altre accessorie che trovano attuazione con intensità di vincolo non sempre (o non più) riconosciuta: il non desiderare la donna di altri uomini d’onore; il non sfruttare la prostituzione; il non uccidere altri uomini salvo in caso di assoluta necessità; l’evitare la delazione alla polizia.

Ulteriore topos ricorrente nei riti di affiliazione è il sangue. Viene fatto fuoriuscire tramite un taglio dell’avambraccio o tramite la punciuta di un dito e viene lasciato cadere su un’immaginetta votiva successivamente bruciata nel palmo della mano del neofita cui viene chiesto di pronunciare una breve formula promissoria:

Poi hanno preso una candela accesa, hanno disinfettato un ago facendolo bruciare al fuoco e ci hanno punto il dito. Pigghiaru a santa, ci dettiru focu e nna’ misiru nna’ manu, poi ci fecero giurare: io giuro di essere fedele alla famiglia, se io dovessi tradire le mie carni saranno bruciate come brucia questa santona.

Con queste parole Candido Cannavò, in Pretacci. Storie di uomini che portano il vangelo sul marciapiede, mostra come l’atto del pungere o dell’incidere la pelle al fine di provocare la fuoriuscita di sangue, costituisca un espediente rituale dall’impatto emotivo molto potente e drammatico.

Sul perché il sangue giochi un ruolo così determinante nei rituali di iniziazione si vogliono richiamare le considerazioni che Luigi Lombardi Satriani espone nella sua introduzione a Fratelli di Sangue, il libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso sulla ndrangheta.

Secondo l’antropologo calabrese, capire il ruolo del sangue nelle cerimonia di iniziazione mafiosa significa innanzitutto riconoscere il significato profondo che lo stesso sangue riveste nella cultura folklorica meridionalistica, quindi significa tener conto di cosa, in prospettiva interculturale e diacronica, il sangue rappresenti alla luce di un pensiero simbolico universale. Scrive testualmente Lombardi Satriani:

Il sangue è un elemento investito di intense cariche di valorizzazione simbolica e può declinarsi tanto come principium vitae che come principium mortis. Il sangue cioè si pone come elemento atto a far vita, a fondarla, a renderla imperitura. Inoltre si qualificandosi come supremo regolatore della quotidianità, non è sottoposto alle norme del quotidiano, e quindi può infrangere le barriere del tempo, introdurre al potere, richiamare al potere, essere potere. Il sangue, poi, in quanto nesso dialettico vita-morte, introduce a una dimensione sacra in cui la ritualità rappresenta la trascrizione sul piano simbolico dell’esperienza di vita e di morte.

Tra i vari scopi assegnati alla profusione rituale del sangue (dal garantire l’efficacia del rituale al produrre l’idea della fratellanza) c’è anche quello di attestare i requisiti di coraggio del postulante nell’atto di diventare uomo d’onore. Ebbene letto in questa in questa prospettiva dietro il simbolismo del sangue noi possiamo cogliere un assunto assai importante che il rito iniziatico esalta e che il sistema mafioso ratifica come proprio: quello della virilità. Una virilità che, nella cultura mafiosa descritta dallo stesso Lombardi Satriani in Il silenzio, la memoria, lo sguardo, si vede assegnare un valore di primissimo piano e che viene recepita sulla base di due accezioni:

  • quella – più ristretta – che ruota attorno al concetto di “mascolinità” e che porta a escludere gli omosessuali (o coloro che hanno moglie e sorelle che non siano di specchiata rispettabilità) dal consesso degli uomini d’onore;
  • un’altra – più estensiva – che ruota attorno al concetto di “omineità” e che fa riferimento alla capacità di testimoniare con le proprie azioni la validità delle norme e l’efficacia indiscutibile dei valore. È da uomo non tradire, è da uomo tacere, è da uomo darsi alla latitanza, è da uomo persino dire bugie al fine di instaurare con lo stato un rapporto di antagonismo. In pratica è da uomo l’esercizio dell’omertà che il mafioso considera alla stregua di una virtù.

Volendo dunque sintetizzare. L’utilizzo di scenari e di simbolismi iniziatici nelle cerimonie di affiliazione mafiosa, se da una parte mirano a suggellare il passaggio da uomo comune a uomo d’onore, o da contrasto onorato a picciotto liscio, dall’altra rispondono al bisogno di trasformare gli affiliati in un consesso di similes e di pares vincolati da un giuramento per nessuna ragione derogabile. Tuttavia il ricorso a scenari e simbolismi iniziatici svolge anche un’altra importante funzione nell’ottica dell’ideologia mafiosa: ossia quella di creare una identità forte dove la distinzione tra sé e il gruppo è impossibile da concepirsi; dove l’interesse collettivo (della famiglia) deve prevalere su quello del sé; dove il senso del noi deve assumere il sopravvento su quello dell’io.

Conclusioni

Secondo il fenomenologo delle religioni rumeno Mircea Eliade, l’iniziazione rappresenta una esperienza vitale che appartiene in proprio alla condizione umana e che si accompagna ad ogni percorso di rinascita o di rinnovamento esistenziale; una esperienza totale e totalizzante che, basandosi sull’acquisizione di saperi specialistici, sul cimento di prove interiori più o meno traumatiche e traumatizzanti e sulla volontà di trascendere il passato è volta a perseguire la trasformazione radicale dello status esistenziale della persona:

Sia che si tratti di un giovane Masai, di uno sciamano iacuto, di un bramino induista, di un congregato gesuita, [sia che si tratti di uno ndranghetista calabrese o di un camorrista casalese] colui che decide di sottoporsi a tali percorsi di decostruzione/ricostruzione dell’identità viene a godere di un’esistenza diversa dalla precedente; realizza la propria palingenesi. Come dire: muore e rinasce.
(E. Di Renzo, Si fa il cammino con l’andare, Roma, Bulzoni, 2002)

E l’ideologia dei riti d’iniziazione implica sempre, in maniera più o meno trasparente, una morte simbolica seguita da una nuova nascita.

Premessa indispensabile all’inizio di una esistenza diversa e rinnovata, la morte iniziatica può esprimersi attraverso una gamma diversificata di immagini allegoriche: le tenebre, l’ascesi, la reclusione, simboli di tipo embriologico (regressus ad uterum) o simboli di matrice tellurica (descensus ad inferos), il sangue.
(E. Di Renzo, Si fa il cammino con l’andare, Roma, Bulzoni, 2002)

Tutte immagini atte a significare la regressione ad una condizione di tabula rasa che conduce mentalmente l’individuo lontano da ciò che egli era o da ciò che gli è usuale.

Ebbene perché questo riferirsi ai simbolismi di rinascita dovrebbe essere ritenuto conforme a spiegare l’esistenza di ritualità iniziatiche nelle pratiche di affiliazione mafiosa.
La risposta la fornisce lo stesso Mircea Eliade allorché afferma:

L’ideologia e l’esperienza delle iniziazioni lontano dal riferirsi ad “altrovi” culturali distanti nel tempo e nello spazio, esprimono permanentemente e con efficacia tutte quelle aspettative di rigenerazione e di rinnovamento esistenziale che contrassegnano la vita dell’individuo.
(M. Eliade, La nascita mistica, Brescia, Morcelliana, 1974)

Come altrimenti dire: se si decide di trasformare la propria vita rendendola altra da ciò che essa fino ad ora è stata – al di là delle possibili ragioni per cui si vuole che ciò accada o quali tipo di esistenza ci si propone di costruire – non si può non far riferimento a questo archetipo nel rendere pensabile e perseguibile il cambiamento.

E che le iniziazioni costituiscano un archetipo in base al quale è pensabile e perseguibile il cambiamento ontologico della propria identità ne costituisce riscontro evidente il fatto che ancora oggi l’homo laicus occidentale, benché abbia da tempo rinunciato a questo modello mitico-rituale socialmente istituzionalizzato per sancire il passaggio da una condizione esistenziale a un’altra, ha comunque continuato a rimanere del tutto sensibile a simbolismi di tipo iniziatico. Simbolismi che residuano nella dimensione ritualistica del battesimo e della cresima, o che trapelano nei percorsi di noviziato e di presa dei voti; simbolismi che operano nella psiche profonda e che spesso affiorano nell’immaginazione letteraria e cinematografica; simbolismi che, nel caleidoscopico universo delle associazioni segrete di stampo mafioso, sono ritenuti del tutto efficaci per ambire a diventare uomini d’onore.

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