L’Islam Nusantara e la giustizia sociale

Il futuro dell’islam indonesiano, e dunque dell’intera nazione, passa per il nodo della giustizia sociale. Ne è convinto Ahmad Syafii Maarif, 82enne leader musulmano, oggi membro del Comitato presidenziale per l’applicazione dell’ideologia della Pancasila, organismo consultivo di dieci membri, creato dal presidente dell’Indonesia Joko Widodo per preservare e attuare la “Carta dei cinque principi” (“Pancasila”, appunto) che è alla base della nazione.

Maarif è il padre nobile dell’islam indonesiano e incarna quei principi di profonda saggezza e lungimiranza che spesso mancano ai pensatori e leader islamici più giovani, troppo spesso plasmati da una cultura fortemente mediatizzata e condizionati dalla ricerca del consenso che, anche nel vasto e articolato mondo islamico indonesiano, passa attraverso nuovi strumenti come i social network.

Syafii Maarif ha visto molta acqua passare sotto i ponti. È cresciuto e si è formato quando in Indonesia si viveva l’epoca post indipendenza, segnata dal presidente Sukarno. Ha attraversato il tempo della dittatura del generale Suharto e ha poi vissuto da protagonista il risveglio democratico, traghettando una delle maggiori organizzazioni islamiche della società civile indonesiana, la Muhammadiyah, verso un pensiero e un’azione orientate alla convivenza e al pluralismo religioso e ancorate ai principi della Pancasila.

Va detto che, come ama confessare candidamente, Ahmad Syafii Maarif non è nato pluralista. Ha dovuto compiere un viaggio fino all’altro capo del modo per una propria personalissima “conversione” alla visione di un islam che incoraggia e promuove la pacifica convivenza, i diritti umani, il rispetto di ogni tradizione religiosa, i principi di tolleranza e pluralismo.

Originario dell’isola di Sumatra, dove è diffusa una pratica islamica piuttosto tradizionalista – e c’è oggi una provincia, quella di Aceh, nel nord dell’isola, dove è in vigore la sharia – Maarif non sognava di diventare un leader politico e religioso. Di famiglia di umili origini, la sua vita ha avuto una svolta quando si è trasferito a Giava per continuare gli studi al collegio islamico Mu’allimin, gestito dalla Muhammadiyah nella città di Yogyakarta. Era il 1955 e l’Indonesia era una nazione giovane che stava per tenere le sue prime elezioni democratiche. Come molti dei suoi compagni della Muhammadiyah, Maarif si infervora per la nascita del partito islamico Masyumi, che promuoveva anche la creazione di uno stato islamico. Durante quegli anni tumultuosi, Maarif, vigoroso attivista, spesso scrive articoli per sostenere la visione e il disegno del partito Masyumi. Con l’ascesa al potere di Soekarno e la sua idea di “democrazia guidata”, Maarif restava ancora convinto che uno stato di carattere più marcatamente islamico potesse essere la panacea per la nazione.

Alla fine degli anni ‘70, quando da ormai 15 anni l’Indonesia era nelle mani di Suharto, Maarif si reca negli Stati Uniti e incontra il pensatore pakistano Fazlur Rahman, allora docente all’Università di Chicago. Grazie al serrato confronto con Rahman, Maarif cambia radicalmente il suo approccio e matura una concezione religiosa e un pensiero filosofico ben diverso dal passato. “Non ho mai trovato l’espressione ‘Stato islamico’ nel Corano o nella letteratura classica islamica. Questo termine inizia a circolare nel XX secolo. Non vi è alcun riferimento nelle fonti primarie dell’islam”, rileverà.

Al ritorno in Indonesia, sarà oggetto di forti critiche ma questa svolta, avvenuta non senza un travaglio intellettuale e spirituale, permea la sua ortodossia e ortoprassi islamica e resta uno snodo cruciale nella sua storia personale.

Maarif si ritrova a diventare presidente della Muhammadiyah, ruolo che ricoprirà fino al 2005. Oggi è icona del pluralismo, strenuo difensore della Pancasila e faro di speranza per la democrazia indonesiana, grazie a una intensa attività pubblicistica e editoriale che lo rende uno dei commentatori più influenti e presenti sulla scena politica indonesiana. Maarif è ben consapevole delle sfide che il paese affronta oggi, come la povertà estrema o la strumentalizzazione della religione in campo politico. Dopo aver lasciato la leadership della Muhammadiyah, libero da incarichi istituzionali, Maarif ha continuato a intervenire nel dibattito pubblico, soprattutto sul ruolo dell’islam nella società e nella politica. Senza perdere mai l’ottimismo sul futuro della nazione. Reset lo ha incontrato a Yogyakarta per comprendere la fase storica che attraversa l’islam indonesiano.

Prof. Maarif, la comunità internazionale è preoccupata per le sirene del radicalismo islamico che sembra stiano contagiando l’Indonesia. E’ una percezione giusta? Qual è la fase che attualmente attraversa l’islam indonesiano e dunque la società indonesiana?

Alcune notizie e alcune vicende, come quella dell’elezione del governatore di Giacarta (qui l’ex governatore cristiano di etnia cinese Basuki Tjahaja Purnama, detto Ahok, è stato sconfitto dal musulmano Anies Baswedan e, accusato di blasfemia verso l’islam, è in carcere, ndr) hanno destato allarme sui mass media internazionali. Tutto parte dalla presenza sempre più visibile e rumorosa di gruppi radicali islamici sulla scena politica. Costoro non solo danno una interpretazione errata dell’islam, ma strumentalizzano anche la religione e la usano per scopi di natura politica. Secondo alcuni sondaggi, il 10% degli indonesiani sarebbe sostenitore di tali gruppi, come Hizb ut-Tahrir o Front Pembela Islam. Secondo la mia esperienza, credo che questa percentuale sia più bassa e che non sia destinata a salire. Il governo, da parte sua, ha adottato chiari provvedimenti per contenere e contrastare questi gruppi, che rischiano di essere messi a bando. Si ha la netta impressione netta che siano una esigua minoranza, pur se visibile, organizzata e che si fa sentire. La larga maggioranza della popolazione indonesiana non apprezza l’islamismo radicale e non vuole il Califfato. Gli indonesiani, dopo un lungo tratto di storia che parte da Sukarno e arriva fino all’odierna stagione democratica, hanno chiaro il riferimento all’ideologia nazionale della Pancasila. Quella carta resta la bussola che non verrà abbandonata: anzi, stiamo lavorando per rafforzarla, perchè penetri nella coscienza di ogni cittadino e sia realmente attuata nella società.

La Pancasila ha 70 anni. Lei fa parte del Comitato creato dal Presidente Widodo per rafforzarne l’impatto nella società. Ma, guardando al paese reale, oggi in Indonesia viene effettivamente rispettata? I cinque principi sono statati messi in pratica in questi decenni? O dove ci sono carenze?

Noi crediamo fermamente nella Pancasila come base per la convivenza nazionale. I cinque principi (fede nell’unico e solo Dio; giustizia e civiltà umana; unità dell’Indonesia; democrazia guidata dalla saggezza interiore e dalle delibere dei rappresentanti; giustizia sociale per tutto il popolo) restano un faro, l’ispirazione per le generazioni più giovani, nell’ottica di promuovere la tolleranza e per combattere il fanatismo, sotto qualsiasi forma. La Pancasila ha caratterizzato la nostra storia passata e garantisce un futuro luminoso per il pluralismo e la democrazia nel nostro paese.

Purtroppo oggi in Indonesia troppe persone e troppi leader politici o religiosi lodano la Pancasila a parole ma la tradiscono con le loro azioni. Uno dei cinque principi è la giustizia sociale. Questo credo sia un principio non ancora realizzato. La sfida per la nazione oggi, infatti, è colmare il gap tra l’élite dei ricchi e le masse di poveri. È un problema che si collega strettamente al radicalismo islamico: la povertà è la madre del radicalismo e la lotta alla povertà è cruciale per frenare il terrorismo. Molti dei nostri problemi e disordini sociali sono conseguenza di una combinazione tra ingiustizia sociale e arabismo deviato. Ma, se il principio della giustizia sociale sarà tradotto nella realtà, sono convinto che i gruppi radicali spariranno da soli, non avranno più seguaci. La mia convinzione è che questi gruppi islamici estremisti non hanno nulla da offrire a questa nazione. Sono finanziati da paesi esteri, organizzano la loro propaganda ma non hanno profonde radici nel tessuto sociale e nell’islam indonesiano. Anche se vedo bene le sfide del presente, e la questione non va affatto sottovalutata, sono convinto che il radicalismo islamico è antistorico e poco lungimirante. Mi professo ottimista: è solo una questione di tempo per la scomparsa dei gruppi fondamentalisti. Il nostro futuro è fortemente ancorato alla Pancasila. Gli indonesiani lo capiranno. Per queste ragioni, il Comitato presidenziale di cui faccio parte si occuperà propriamente di programmi di sviluppo, di sradicamento della povertà e di welfare.

Quando si parla dell’islam indonesiano, il riferimento principale sono due storiche organizzazioni: Muhammadiyah e Nahdlatul Ulama. Può farci una panoramica sul momento che vivono oggi? Crede che stiano portando avanti un discorso efficace e incisivo per contrastare la propaganda radicale e jihadista?

La Muhammadiyah che, con oltre cento anni di storia e 35 milioni di membri è la più antica organizzazione islamica indonesiana, ha una grande tradizione di impegno sociale, nel campo dell’istruzione e dell’assistenza. Oggi è chiamata riscoprire le sue radici e la sua storia, tenendo la barra a dritta contro ogni tentazione o contaminazione radicale. Negli ultimi tempi ha ricevuto critiche ma credo che la Muhammadiyah debba fare tesoro e imparare da queste critiche, rispolverando la sua autentica identità di organizzazione moderna, moderata, aperta al dialogo e promotrice dell’islam indonesiano. Questo, pur libero da ogni sincretismo, ha un suo volto peculiare, diverso da quello arabo. Va detto che alcuni membri influenti dell’organizzazione hanno studiato in Arabia Saudita, portando all’interno della Muhammadiyah idee tipiche della dottrina wahabita. Ma credo che la corrente moderata sarà prevalente e vincerà la competizione interna. Le tendenze radicali, presenti in alcuni leder locali, non sono predominanti e l’attuale leadership è alla ricerca di un punto di equilibrio tra le vari correnti. Resto convinto che la linea che valorizza la Pancasila, e si interessa direttamente delle condizioni sociali popolazione, prevarrà. Lo auspico vivamente, anche perchè questo è lo spirito originario dell’organizzazione, caratterizzata da una “filosofia sociale”, che enfatizza l’atto piuttosto che l’idea. La fede e la filosofia, se non vengono trasformate in azione, sono inutili e prive di senso: i padri fondatori della Muhammadiyah erano tutti consapevoli della sfortunata condizione del popolo che, oltre ad essere sotto il dominio coloniale, era povero e analfabeta. La Muhammadiyah ha diffuso instancabilmente le proprie reti e attività sociali, educative e umanitarie, nella convinzione che la povertà, l’analfabetismo e superstizione siano i veri nemici del progresso dell’umanità. In effetti, la rivoluzione è avvenuta. Scuole, madrase, ospedali, orfanotrofi ed altre forme di assistenza sociale sono sorti ovunque nell’arcipelago, insieme a ospedali, cliniche, centri di assistenza familiare, centri di sviluppo comunitario. La storia della Muhammaddiyah dimostra che, sin dall’inizio, l’islam indonesiano è stato la forza motrice di una riforma sociale per la creazione di una società eticamente equa. Fede e giustizia sociale non si possono separare: da questo oggi bisogna ripartire.

E cosa può dire di Nahdlatul Ulama?

E’ la più grande organizzazione indonesiana islamica, con 50 milioni di aderenti: dunque il suo apporto in questa fase storica è determinante. Credo stia tenendo bene la posizione avversa a ogni forma di radicalismo ed estremismo, facendosi sempre promotrice dell’ “Islam Nusantara”, cioè la visione e versione tipica dell’islam che si vive in Indonesia. I valori islamici si sono fusi con la cultura e la tradizione locale: da questo processo è nato il sistema sociale chiamato “Islam Nusantara”, che non è una nuova setta o credenza, ma è il risultato di questo peculiare processo di fusione. L’Islam Nusantara, in questa prospettiva, non è solo su un concetto geografico, ma piuttosto una concezione filosofica o un’intuizione dal punto di vista della mentalità e dei valori. Il nostro islam è caratterizzato dalla cultura dell’incontro, del dialogo e della pace, dal costruire relazioni amichevoli con culture e religioni diverse. In nome di questa caratteristica forma di islam, la Nahdlatul Ulama ha chiaramente preso posizione contro ogni forma di radicalismo islamico, puntando a risvegliare tra i musulmani indonesiani un senso di nazionalismo e di impegno nei confronti dei valori della Pancasila, che sono “nostri”, appunto, e non importati dall’esterno.

Crede che l’islam sia pienamente compatibile con i diritti umani?

Creo che l’islam sia pienamente e naturalmente compatibile con la democrazia, i diritti umani, la dignità umana. I diritti e le libertà fondamentali sono parte integrante della religione islamica. Nessuno ha il potere o il diritto di violarli o di ignorarli poiché essi sono comandamenti divini, contenuti nel libro della rivelazione. Ogni musulmano è individualmente responsabile e la Ummah collettivamente responsabile della loro salvaguardia. L’Indonesia è la terra del pluralismo religioso e manterrà questo volto. Potrà incarnare nella comunità internazionale l’esempio concreto della piena compatibilità dell’islam con la democrazia e i diritti umani universali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *