Ailes, l’uomo-Spin da Nixon a Bush
Una macchina da guerra in salotto

Tratto da Spin.Trucchi e tele-imbrogli della politica di Giancarlo Bosetti (Marsilio, 2007)

Roger Ailes è un personaggio di cui vale la pena di occuparsi quanto di Karl Rove. Meno conosciuto, è una persona di cui si dice che “ha bisogno di nemici come un carro armato ha bisogno di benzina”, che si tratti dei concorrenti di Cnn, di un giornalista che lo ha lasciato per andare in un’altra tv, delle “pappamolle” progressiste o democratiche. Ailes è uno dei principali rifornitori di antagonismo nel discorso pubblico americano, e dunque nei discorsi di tutto il mondo. È un fornitore continuo e ben organizzato di militanza “contro”, di quello che ho chiamato “pensiero-per-nemici”. Ed è anche un punto di incontro della storia dello spin con la storia della televisione commerciale.

Il potente Roger Eugene Ailes, nato nel 1940 a Warren Ohio, presidente, amministratore e capo incontrastato di Fox News dalla sua fondazione è stato consulente per la comunicazione di Richard Nixon nel 1968, di Ronald Reagan nel 1984 e di Bush senior nel 1988 (e in Europa ha dato una mano anche a Chirac nel 1995) [1] . Ricordate il racconto di McGinnis, il giornalista che si era ‘infilato’ nello staff degli spin-doctors di Nixon per raccontare come le trasmissioni apparentemente spontanee in cui il candidato rispondeva al pubblico erano in realtà preparate e recitate su copione? Ebbene tra coloro che scrivevano quei copioni e inventarono il trucco c’era Roger Ailes. Era lui una delle fonti del celebre, già citato, saggio-scoop The Selling of the President, 1968. E mentre altri non ebbero il coraggio di confermare, lui, Ailes, invece aderì pienamente al racconto di McGinnis con il suo nome e cognome. Racconta Ailes (e per questo, una volta eletto, Nixon non lo richiamò più a lavorare per lui) che quel candidato era mediaticamente un disastro, un tipo di persona che dimostra 42 due anni già da bambino, noioso, e per di più con l’aspetto di uno che sembra sempre appena uscito da una nottataccia passata in un sgabuzzino, con i vestiti stazzonati, e che poi in quelle condizioni pretende di andare di corsa in televisione per dire: “voglio diventare presidente”.

Uno così bisognava convincerlo a cambiare personaggio, bisognava crearlo il personaggio inventandosi quelle domande e risposte “improvvisate” da parte dei cittadini “qualsiasi” che erano in realtà accuratamente preselezionati e addestrati. Solo quel format consentiva di farlo apparire al meglio, perché, al naturale, Nixon non era proprio proponibile. “La sfida per me (di collaborare con la squadra di Nixon) – dichiarò Ailes a McGinnis – non aveva a che fare con la politica. Di fatto tutto il mio lavoro con Nixon non c’entrava con la politica. Era un problema di media, non un problema politico.” Ma sul loro orientamento politico Fox ed Ailes hanno l’abitudine cronica di mentire, Spudoratamente. Infatti Ailes fu poi nella squadra di Ronald Reagan per la campagna del 1984 contro Walter Mondale e nell’88 aiutò Bush padre a succedere a Reagan sconfiggendo Mike Dukakis.

L’idea era quella che bisognava cancellare l’immagine di “pappamolla” che Bush aveva addosso e schiacciare Dukakis con una campagna di pubblicità negativa, una delle più dure che siano state inventate: il candidato democratico diventò così, lui, la “pappamolla” progressista, elitista, pro-tasse, pro-criminali, pro-tagli alla spesa militare. Lo schema di Ailes è sempre lo stesso: attacca e distruggi. E per distruggere Dukakis usò una martellante e famigerata pubblicità che lo abbinava al pregiudicato nero, WillieHorton, che commise un omicidio in occasione di un permesso di uscita dal carcere che gli era stato concesso per la riabilitazione, in base alle leggi del Massachusetts (di cui Dukakis era stato governatore).

Fox News è di Rupert Murdoch e indubbiamente c’è del vero in quello che dice di lui Dan Rather, il celebre giornalista televisivo della Cbs: “Ha sviluppato un business enorme nel campo dei media, il che è perfettamente regolare nel mondo della libera economia e ha messo questa forza imprenditoriale in linea con le sue inclinazioni personali, politiche, partigiane”. Ma questo vale per la Fox come per il Sun, tabloid britannico, o per le reti satellitari Sky. C’è qualche cosa di più specifico nell’impresa Fox, c’è un “tono” generale nella militanza patriottica, Repubblicana, che ha messo in soggezione il resto della stampa americana dopo l’11 settembre. E lo sottolinea Todd Gitlin, lo studioso della televisione americana di Columbia University [2], quando osserva che il talento di Ailes è martellante e “Fox News ha un tono e questo tono è il suo prodotto. Il tono è un rumore di urgenza dirompente. Qualche volta spinge a interessanti discussioni, il più delle volte spinge alla prepotenza. La maggiore influenza Fox News ce l’ha a Washington. E’ difficile immaginare che siano in molti a credere che quella di Bill O’Reilly sia una ‘no-spin zone,’ o a prendere sul serio lo slogan ‘We report. You decide‘, (noi riferiamo voi decidete). È solo una battuta. Serve a dare meglio l’impressione a Washington che “noi happy few siamo i membri del club”. Rinforza la destra nel sentirsi giustificata e fiduciosa nel mandare avanti le sue politiche.”

E il “tono” di Fox News è tutta opera di Ailes, suo lo stile di chi definisce i nemici politici o giornalistici per distruggerli. Suo lo stile di grande manager che scende in campo e si sporca le mani tutte le volte che serve: quando i pacifisti manifestano davanti alla sede della Fox invece di eclissarsi reagì facendo scrivere sui displays luminosi sulla facciata del palazzo (dove scorrono di solito le ultime notizie): “Attenzione manifestanti: il club dei fan di Michael Moore si riunisce giovedì nella cabina telefonica tra la Sesta e la 50esima strada”. È lui che definisce una “guerra santa” quella in corso con la Cnn, è lui che, senza sempre riconoscerlo e spesso negandolo con formule di circostanza, vuole un giornalismo di tendenza conservatrice e fatto da giornalisti che devono essere anche loro di tendenza conservatrice “senza se e senza ma”.

Se il famoso “O’Reilly Factor” fa tre milioni di ascoltatori e durante la guerra in Iraq ha raggiunto i sette milioni, Ailes si è proposto qualcosa di ancora più ambizioso: spostare la percezione di quello che è il mainstream, il centro del flusso dei media. “Pensavano che il centro della strada fosse il liberalismo. Credo che non abbiano veramente capito che c’è gente seria in America che non è necessariamente d’accordo con qualunque cosa ascoltino nell’Upper East Side di Manhattan”, cioè nella zona più ricca ed esclusiva di New York. Presentare il progressismo (liberalism) come un lusso lascivo per sofisticati mangiatori di tartine al caviale è un aspetto fondamentale del tono di Ailes, che gli è stato molto utile all’epoca di Chirac, quando il presidente francese (1995) sbaragliò i socialisti con argomenti popolari e puntando all’elettorato operaio.
Le fortune della Fox sono cresciute con lo scandalo Clinton-Lewinsky, ma il balzo decisivo è avvenuto con la guerra in Iraq. Fox News, come scrive Ken Auletta, è l’unica televisione che invece di seguire o “coprire” la guerra, è andata in guerra, e così facendo ha definito la sua identità.

(…)

Con questi e altri innumerevoli mezzi Fox News ha spostato a destra la percezione del centro, facendo apparire la cosiddetta stampa di élite (anche questa soglia si è di molto spostata e abbassata) una roccaforte del progressismo, vale a dire del sinistrismo, pacifismo, radicalismo. Per il linguaggio di Ailes il settimanale “Newsweek” è un bollettino anti-Bush pubblicato a cura del Comitato nazionale dei Democratici, Dan Rather è un giornalista asservito all’Iraq. La logica persuasiva consiste nel proiettarsi continuamente all’attacco, mai nel restare in difesa perché sono i talenti aggressivi che fanno audience.

Per non lasciarsi travolgere dalla pressione ideologica è il caso talvolta di fermarsi e controllare, rifare le misure delle distanze politiche dove siamo veramente. Un dirigente delle news della Bbc – un altro pianeta, decisamente, rispetto a quello di Ailes e Rove – ha osservato che se è vero che Fox ha tirato a destra il resto dei media che fanno telegiornali, è arduo giustificare questo spostamento come la conseguenza del fatto che i vecchi networks erano progressisti: “Difficile vedere Viacom (proprietaria di Cbs) o General Electric (proprietaria di Nbc) come avvocati della sinistra internazionale. La crescente concentrazione dei media americani sta cacciando fuori della scena le voci indipendenti e non c’è una versione progressista dei talk show radiofonici o del Wall Street Journal o dell’impero di Murdoch. La faccenda ci dice che quelli come Franken e Michael Moore [3] hanno avuto il loro maggior impatto fuori della tv e della radio, attraverso libri e film. La prova cui sono chiamati televisioni e governi è quello di assicurare che questo tipo di voci ci sia anche nei media elettronici”[4].

[1] Denis Sieffert et Michel Soudais,«De l’UMP au PS : la tentation américaine», Politis, 9 dicembre 1994.

[2] Le interviste a Dan Rather e Todd Gitlin sempre su Ken Auletta, «Vox Fox», op. cit.

[3] Al Franken è l’autore del già citato Balle e tutti i ballisti che ce le stanno raccontando, Michael Moore è il  regista di Bowling a Columbine e Farenheit 9/11.

[4] Roger Mosey ,dirigente del settore news televisive della BBC, «The right to be wrong», The Guardian, 11 ottobre 2003.

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