Perché manca una risposta di massa da parte dei musulmani?

Il rischio di una demonizzazione generalizzata, della sovrapposizione spontanea tra Islam e terrorismo era già alto prima che Parigi vivesse il dramma degli attentati di inizio 2015, effettuati al grido di “Allah akbar”. In Italia, a documentare questo rischio sono i dati di un sondaggio SWG pubblicati a metà gennaio ma raccolti nel mese precedente. Più della metà degli italiani (il 55%) pensa che se non si rispediscono nel loro paese i clandestini che sbarcano in Italia, rischiamo di diventare il crocevia del terrorismo – dice l’indagine; la stessa quota di intervistati accusa le organizzazioni musulmane di non prendere le distanze dagli integralisti.

“Una condanna è stata fatta subito, immediata come è stata pure la presa di distanza. Dite che non passa ed è vero, per questo ci mettiamo la faccia e continuiamo il nostro impegno.” Lo ammette Foad Aodi, Presidente del Co-mai (Comitato del mondo arabo in Italia), ribadendo con tono fermo che “il terrorismo non ha una religione”. Di fronte all’ambasciata francese di piazza Farnese, durante una delle manifestazioni in risposta alle sparatorie di Parigi, tiene in mano un cartello: “Il Comitato del Mondo Arabo in Italia condanna ed esprime solidarietà ai francesi”. Quanti sono i musulmani in piazza questa sera? “Circa cinquecento”, sostiene lui a dispetto del colpo d’occhio. Una presenza considerata comunque importante da Aodi che spiega: “L’opinione pubblica di alcune comunità musulmane è che questa violenza non c’entra con la religione islamica. Purtroppo c’è una parte estremista che utilizza l’Islam in modo sbagliato e per questo noi, arabi e musulmani per primi dobbiamo continuamente condannare e cercare di sconfiggere il terrorismo”.

Meno soddisfatto è il deputato del Partito Democratico Khalid Chaouki che non nasconde l’amarezza: “Purtroppo non c’è stata questa condanna netta e visibile da parte dei musulmani italiani”. Non che siano mancate le prese di posizione. Nella stampa nazionale, hanno trovato spazio anche le parole degli imam delle moschee locali: “La strage di Parigi offende la nostra religione e i nostri valori” – la Repubblica ha riportato la dichiarazione dell’Imam della moschea di Catania che si è detto pronto a denunciare eventuali terroristi infiltrati durante gli sbarchi. “Noi tutti, ma proprio tutti, rifiutiamo e condanniamo ad alta voce la violenza e il crimine di uccidere in qualsiasi parte del mondo, che la vittima sia musulmana o non musulmana e tutti insieme ci rivolgiamo ad Allah chiedendo che la pace e la serenità avvolgano e coprano tutto il mondo, senza distinzione di razza, colore, etnia, fede o appartenenza”, recitava invece durante la preghiera del venerdì, l’imam della moschea di Ravenna.

È evidente però che non sono state abbastanza. “La comunità islamica italiana può e deve partecipare molto di più”, dice Chaouki. E quando gli chiediamo perché allora non lo fa risponde che sì, esistono alcuni musulmani che minimizzano la strage e i pericoli del radicalismo ma sottolinea pure che questa fetta, seppur “problematica”, non è poi così rilevante dal punto di vista numerico. La verità, per Chaouki, è che “c’è una maggioranza silenziosa che non si sente così coinvolta nell’impegno civile pubblico – e questo è un tema che ci deve interrogare sul grado e il livello di sentirsi cittadini da parte dei musulmani”.
La questione sembra annodarsi tutta qui, nei processi di integrazione che costituiscono un filtro fondamentale per tentare di chiarire il prima e il dopo dell’attacco terroristico in Francia. La pensa così anche il giornalista pakistano Ejaz Ahmad: “Alla base degli attentati di Parigi, come dell’uccisione di Theo Van Gogh a Amsterdam, per esempio, ci sono le seconde generazioni e questo significa che c’è qualcosa, nei processi di integrazione, che non ha funzionato.”
Dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e dopo le sparatorie che come scosse di assestamento hanno fatto tremare la Francia, gli islamici sono stati chiamati più volte e da più parti a una presa di posizione ferma e dura contro il terrorismo dell’Islam radicale. Sono fioccate le condanne e le richieste di unanimità, da parte delle rappresentanze religiose come da parte degli intellettuali musulmani. Il comunicato pubblicato subito dopo la sparatoria sul sito della Grande Moschea di Parigi, a firma di Dalil Boubakeur (Presidente del Consiglio Francese del Culto Musulmano) è stato un appello alla comunità islamica a vigilare contro le manipolazioni della religione. La Junta Islámica de España ha parlato, attraverso il suo vicepresidente Mohammad Escudero, di “un atto esecrabile” a danno della comunità musulmana stessa, condannando: “Chiunque perpetri questo tipo di azioni vada fuori dall’Islam” – ha detto, spiegando che “noi, ciò che vogliamo è convivere in pace con la gente di ogni luogo”. Un appello a cui si è unito anche Yahya Pallavicini, vice presidente del Coreis (la Comunità religiosa islamica italiana): “I fatti sono brutali e non hanno nessuna legittimità islamica e religiosa”. Le sue parole sono state riportate dal sito Immezcla: “L’Islam è un modello di apertura, civiltà, dialogo sia interreligioso, che culturale e sociale. Ci sentiamo attaccati anche noi accanto a queste vittime, ma dobbiamo continuare a prevenire e reagire per far prevalere la verità del dialogo e della coesione sociale contro questi criminali”.

Gli inviti alla coesione nella risposta dei musulmani sono stati innumerevoli anche tra gli intellettuali. “I fanatici sono pericolosi per noi quanto per l’Occidente”, ha detto lo scrittore egiziano ‘Ala al-Aswani, intervistato da Viviana Mazza per il Corriere della Sera. Mentre l’autore Tariq Ramadan, con un post pubblicato su Facebook, ha espresso la sua “condanna assoluta”, figlia di “una collera profonda (sana e mille volte giustificata) contro questo orrore”, precisando che “contrariamente a quello che hanno apparentemente detto gli assassini criminali nell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, non è il Profeta che è stato vendicato, ma è la nostra religione, i nostri valori e principi islamici a essere traditi e sporcati”. In diversi – tra cui la scrittrice italiana di origini somale Igiaba Scego nell’invettiva pubblicata da Internazionale e che si apre con un tagliente “Oggi mi hanno dichiarato guerra” – rispolverano la campagna #NotInMyName, mobilitazione da social network nata qualche mese fa proprio per contrastare pubblicamente la barbarie dell’Isis.

Eppure a tutte queste prese di posizione autorevoli e massicce, non è seguita alcuna mobilitazione di massa. Più che di rammarico, sanno di condanna certi commenti pubblicati sui giornali arabi.
“Conosco molti intellettuali e [musulmani] benestanti che vivono in Occidente e che dicono costantemente ‘Noi non siamo terroristi; la nostra religione non ha nulla a che fare con il terrore; gli estremisti sono una minoranza e noi, la maggioranza dei Musulmani che vivono in Occidente, condanniamo il terrore’. Questo è vero, ma posizioni del genere non sono abbastanza”. Sono parole dell’editorialista egiziano Mamoun Fandy che ha spiegato la necessità di scendere in piazza: “L’Occidente e chi non è musulmano non crederà mai che noi diamo davvero contro il terrorismo finché non ci sarà un’immensa massa di persone arrabbiate che agiscono [contro di esso], come le folle che hanno manifestato nel giorno della pubblicazione delle vignette offensive di Maometto”.
Una necessità esplicitata anche da ‘Aziz Al-Hajj, commentatore iracheno che, sul sito Elaph.com, ha condannato un silenzio al quale non sa trovare che una sola, sferzante, giustificazione: “I musulmani di Francia hanno annunciato la loro partecipazione alla manifestazione [di Parigi] di domenica [11 gennaio]. Ma la comunità islamica non ha organizzato alcuna protesta contro i crimini commessi da Mohammed Merah [a Tolosa] diversi anni fa [nel 2012], dove morirono sette persone, inclusi quattro bambini ebrei. Né hanno condannato l’attacco [del 1995] alla stazione della metro Saint Michel [a Parigi], o i crimini dell’ 11 settembre, o gli attentati di Madrid e Londra, o i crimini perpetrati dall’ISIS in Iraq, che comprendono la cattura, lo scambio e lo stupro di 7000 donne. Tutto questo silenzio può essere spiegato solo come indifferenza se non consenso da parte di alcuni [musulmani].”

A eliminare ogni rischio di fraintendimento o di generalizzazione, arriverà quindi una presa di piazza da parte degli islamici? “Sarebbe rischioso e poco costruttivo se le comunità arabe e islamiche scendessero in piazza da sole. Meglio farlo tutti insieme” – risponde ancora Fouad Aodi. “Il terrorismo si sconfigge sul piano politico attraverso azioni forti dal punto di vista legislativo, sul piano sociale, su quello del dialogo”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *