Archivio 2009 – I nodi da sciogliere in Vaticano

Dossier
Sommario

Questo dialogo è uscito sul numero di Reset di marzo-giugno 2009.

«Reset»: In questi mesi diversi episodi hanno fatto discutere di questo papato, hanno sollevato critiche: da ultimo quelle dopo il viaggio in Africa. Ma è solo uno degli episodi controversi che vorremmo interpretare e collocare nella giusta luce. La lista degli «incidenti» è stata diversamente considerata: da alcuni come il segno di un allontanamento del pontefice dalla linea conciliare della Chiesa, da altri invece come errori di percorso, e non dunque il risultato di una strategia di allontanamento. Vorrei farvi esaminare il tema sotto questo profilo: continuità o distacco dal Vaticano II, in relazione almeno a tre punti. Il primo: l’esclusività della salvezza nella Chiesa di Roma. Ratzinger è stato l’autore come prefetto della fede, nel 2000, della Dominus Iesus, documento che chiudeva le porte della salute eterna alle altre confessioni, porte che il Concilio Vaticano aveva aperto. Il secondo: il dialogo con l’islam, compromesso dal discorso di Regensburg con la citazione di Manuele II paleologo, e poi recuperato. Ma, di nuovo, nella lettera inserita nel libro di Marcello Pera Benedetto XVI torna a respingere il dialogo interreligioso parlando della sua «impossibilità». Terzo: la questione degli ebrei, per la quale la tesi dell’errore è molto onerosa da sostenere, se consideriamo, oltre al terribile caso Williamson, il vescovo lefebvriano negazionista cui è stata revocata la scomunica, la reintroduzione dei «perfidi giudei» nell’Oremus del venerdì santo, e poi ancora i molti inciampi che hanno preceduto il viaggio a Gerusalemme, senza dimenticare la controversa beatificazione di Pio XII o la permanenza del delegato pontificio a Ginevra (Durban II) durante il discorso antisemita del presidente iraniano, mentre i paesi dell’Unione europea abbandonavano la conferenza.

Francesco Margiotta Broglio: Vorrei iniziare sottolineando la parziale inadeguatezza dei collaboratori del pontefice per quel che riguarda i probabili sviluppi della cristianità nei prossimi cinquant’anni. Siamo di fronte a un papato che rimane eurocentrico anche quando il cattolicesimo e il cristianesimo non lo sono più. E lo saranno sempre di meno. Questo mi sembra un punto di grande importanza. Altro punto che vorrei notare: non è possibile in questo momento realizzare un anti-concilio. Se si volesse stravolgere la linea conciliare, peraltro molto annacquata negli ultimi venti-trent’anni, si tratterebbe di un’impresa che mi pare fuori della portata di questo pontefice.

«Reset»: Ma l’autore della Dominus Iesus, il cardinale Ratzinger, condanna le teologie plurali e dunque da pontefice non è coerente nell’allontanarsi dalla linea conciliare? Quel documento già suonava in controtendenza rispetto all’impostazione di Giovanni Paolo II che appariva universalistica nel preparare il Giubileo del 2000. La domanda allora è: aveva ragione chi avanzava un pregiudizio negativo nei confronti di Ratzinger nel momento in cui diventava papa?

Alberto Melloni: È necessario distinguere alcune cose. Da un lato, per capire il ruolo e gli atti di Ratzinger prefetto bisogna rimetterli in quello che è stato il contesto del pontificato wojtyliano, nel quale c’era la volontà di assicurare la massima estensione nella corsa del pendolo del governo e della politica dottrinale. Per cui la Dominus Iesus non era né più né meno che una forma di compensazione rispetto all’atto del mea culpa, lasciando che fosse poi il futuro a decidere quale dei due fosse lungimirante e quale dei due caduco. In questa logica del pontificato wojtyliano alcuni atti sono rimasti necessariamente ed enormemente controversi (mi ha molto colpito che recentemente Vittorio Messori sul «Corriere della sera», ricordando il quinto anniversario del pontificato wojtyliano, di cui è stato un grande «paladino», avesse quattro righe sprezzanti sulla «passerella sincretista di Assisi» e sull’errore del domandare perdono per le colpe dei morti: il che vuol dire che poi alla fine Wojtyla non aveva torto e quei due atti rimasti aperti e sospesi, sono una spina nel gozzo di molti). In questa logica, dunque, la Dominus Iesus non va eccessivamente sopravvalutata: era una forma di compensazione, dall’altra parte, che lasciava in un certo senso il tempo che trovava, come altri atti della Congregazione di cui proprio nel 2000 Ratzinger lamentava la scarsa ricezione. Dal 2005, invece, s’è inteso ridurre la corsa del pendolo, ma la forza oggettiva degli atti non è aumentata, e sono invece aumentati gli «incidenti». Se uno guarda ai grandi «incidenti» di questo quadriennio (la prima udienza a Fellay, la nomina del vescovo di Varsavia, il discorso di Regensburg, 2005, il motu proprio sull’uso del messale romano, la querelle nata sulla questione del venerdì santo, il decreto sulla riconciliazione dei lefebvriani, la prefazione a Pera, la gestione dell’affare Williamson) si trova più o meno uno schema che potrebbe dare l’impressione di una debolezza interna.

«Reset»: Quale genere di debolezza?

Alberto Melloni: Una debolezza nella valutazione delle conseguenze degli atti compiuti. In questi «incidenti» si segue un percorso costante: il papa prende una posizione che suscita reazioni, poi si incomincia a spiegare che non è stato ben capito, poi che questa posizione non va enfatizzata e poi alla fine normalmente interviene la Segreteria di Stato per dire una cosa abbastanza ovvia: e cioè che la Santa Sede rimane fedele al Concilio Vaticano II. È quasi un format che è facile caricaturare: ma che mette a nudo un nodo del governo della Chiesa romana. La mia impressione è che si tratti di incidenti, che non riguardano l’acume, l’arguzia, il savoir faire, il tatto, e men che meno la capacità attoriale, mediatica o sciocchezze di questo genere. Il nodo è un altro: un governo che riceve meno impulsi dalla comunione della Chiesa è meno in grado di valutare le conseguenze delle cose che si compiono. Il che ovviamente tocca i punti del Vaticano II, ma non perché ci sia una «strategia anticonciliare», ma per due ragioni più importanti e più fondamentali: a) il Vaticano II ha toccato i punti vitali della Chiesa dell’oggi e del domani: non è un Concilio «esaurito», diciamo così, come sono «esaurite» tante cose belle o cattive degli anni Sessanta; è un Concilio che ha messo il dito su quelle che erano le piaghe della Chiesa, ovvero l’autocomprensione di sé, il rapporto con «l’altro», la cattolicità, la collegialità episcopale, lo stile del governo e via di questo passo. E dunque chiunque governi una chiesa o la Chiesa tocca le cose conciliari. La seconda ragione per cui mi sembra che non si possa dire che sia una «strategia» anti-Vaticano II è che sarebbe comunque impossibile smontare quel Concilio. Sappiamo tutti che c’è naturalmente chi lo sogna: i lefebvriani in questo fanno davvero tenerezza, perché pensano che si possa tornare indietro rispetto al Vaticano II. E con loro ci sono altri che pensano che si possa almeno negare il «balzo innanzi» del Vaticano II. Questi si appoggiano spesso a un discorso del papa, troppo difficile per chi spesso lo cita, sulla questione delle ermeneutiche del Vaticano II che sostiene la continuità del soggetto Chiesa come continuità ontologica contro una discontinutà nei fatti che permette una continuità nella riforma: quel discorso propone una sistemazione teologica di un paesaggio variegato, perché le ermeneutiche del Vaticano II, non dico che siano tante quante i cattolici, ma poco ci manca. Il Vaticano II è definitivamente «incistato» nella pratica e nel vissuto dei cattolici. Lo si è visto nel recente atto di riconciliazione dei lefebvriani: un atto molto pasticciato dal punto di vista canonistico (Peter Hünermann ne ha argomentato la nullità), pasticciato dal punto di vista della preparazione prossima, precipitato per farlo uscire nel cinquantesimo dell’annuncio del Concilio. Il tipo di reazione che c’è stata nella Chiesa, nei vescovi soprattutto, è stato da un certo punto di vista stupefacente: ha dato la misura che l’idea che il Vaticano II non si tocca è condivisa da persone che proprio sul Vaticano II pensano cose molto diverse fra loro.

«Reset»: Non riuscirà a «smontare» le riforme del Vaticano II, ma quello di Benedetto XVI non è un indirizzo diverso? Come giudicare la linea politica di questo pontificato?

Francesco Margiotta Broglio: Questo aspetto non è quello che mi interessa di più. Quello che noto è l’immagine negativa che ha il papato in questo momento. Prendiamo il «Time» di maggio 2008: le persone più influenti del mondo. Ratzinger non c’è. Si muove qualche cosa di importante, per esempio l’avvicinamento Cuba e Usa, e chi è che media? I protestanti, mentre la Chiesa cattolica cubana non c’è. Il «Sunday Times» scrive: «È un monarca lontano dai fedeli e fuori dal mondo». I giornali tedeschi gliene dicono di tutti i colori. Ratzinger riceve un giudizio delle opinioni pubbliche mondiali che più negativo non potrebbe essere. La «Süddeutsche Zeitung» gli ha fatto un attacco, ed è di Monaco, cioè il posto dove lui è stato vescovo. Quindi il problema non è Vaticano II o non Vaticano II, è che lui sta facendo avere alla Chiesa cattolica un discredito che non aveva mai avuto. Anzi, nel periodo di Giovanni Paolo II per tante ragioni c’era stata, diciamo, un’esposizione positiva del papato.
Vorrei fare una piccola cronostoria: questo è il papa che si è trovato in un momento senza problemi; Pio IX dovette gestire il liberalismo, il Risorgimento, la perdita del potere temporale; Leone XIII dovette gestire la questione sociale, l’avanzata del socialismo; Pio X dovette affrontare il modernismo; Benedetto XV la Prima Guerra mondiale; Pio XI si trovò di fronte la rivoluzione bolscevica, il fascismo, il nazismo, i fascismi europei, la situazione messicana, la guerra in Spagna; Pio XII la Seconda Guerra mondiale, la Shoah, la sovietizzazione dell’Europa orientale con il contorno della scomunica dei comunisti e della Guerra fredda. Poi Giovanni XXIII e Paolo VI gestirono l’evento, grandissimo ma rischioso, che fu il Concilio con tutti i suoi effetti. Giovanni Paolo II è stato il papa della fine della Guerra fredda, con tutte le sue conseguenze, e quindi del cambiamento geopolitico, la globalizzazione, le grandi migrazioni planetarie. Insomma, Benedetto XVI arriva e si trova tra le mani una Chiesa e un papato molto amati e molto valorizzati dall’altissima esposizione mediatica del papa precedente. Eppure non riesce ad apparire incisivo in qualche modo.

«Reset»: Chiarissima questa rassegna storica. Però alcuni come Vittorio Messori, che a Ratzinger è molto vicino, dicono, interpretandolo e citandolo, che questo papa si trova di fronte a una situazione disperata, perché «Dio sta scomparendo dall’orizzonte umano». Che si adombri una scomparsa così drammatica per un cristiano fa apparire uno scenario molto diverso da quello dei precedenti pontefici.

Francesco Margiotta Broglio: Eppure i numeri dicono qualcosa d’altro. Dal 1978 al 2004, la popolazione cattolica nel mondo è aumentata del 45%: è passata da 757 milioni a un miliardo e 100 milioni di fedeli. Certo, è relativo al peso della crescita demografica, ma non c’è solo questo. In Africa i cattolici si sono moltiplicati per tre in questo periodo. Nelle Americhe 2/3 dei fedeli sono cattolici. In Europa sono almeno il 40%. Ma il problema è dell’Europa. La vera difficoltà è che in un mondo che sta diventando più cattolico la Chiesa continua a essere romana ed eurocentrica. Se si guarda il Collegio cardinalizio, l’origine nazionale non ha nessun riferimento con il peso delle cattolicità del mondo. Non solo, addirittura le proiezioni dicono che nel 2050 non solo il cristianesimo sarà molto più grande dell’islam, ma il cattolicesimo avrà grossi punti di forza come il Brasile, l’Africa e addirittura la Cina. Queste sono le questioni che dovrebbe affrontare Ratzinger, non i vescovi lefebvriani.

«Reset»: Allora, si tratta di un colossale errore ottico? Ma se è così come si spiega?

Alberto Melloni: Per me è stato paradossale, molto rivelatore, l’ultimo di questi incidenti, quello che ha riguardato quella battuta del papa sui «preservativi» fatta sull’aereo che lo portava in Africa. Mi ha molto colpito perché non ha detto niente di suo, ha ripetuto una tesi che la Chiesa cattolica ripete da anni e che anche in materia di Aids aveva già detto Giovanni Paolo II e che, onestamente, Benedetto XVI poteva legittimamente ritenere che nessuno gli avrebbe imputato trattandosi di materia in cui lui non metteva certo del suo. Invece, tempesta diplomatica: ma l’idea che il parlamento di un paese europeo si permetta di sindacare su quello che il papa dice in un aereo parlando con dei giornalisti (cioè, a un livello zero di magistero) su materia tanto risaputa, facendolo diventare un caso, non vuol solo dire che c’era una specie di revenge anticlericale che non aspettava altro che l’occasione per attaccare il papa: vuol dire che ormai l’autorevolezza romana è oggi così bassa che i governi possono fare cose folli, insensate, senza né capo né coda, come delle mozioni contro il capo di una Chiesa, che non è cittadino di quello Stato. Questo episodio, a mio avviso, rivela una vulnerabilità. E, oltre alla vulnerabilità, dimostra anche, sempre per rimanere su un piano politico, un certo nervosismo davanti alla realtà. Mi ha colpito molto ad esempio l’atteggiamento di inusitata cortesia che il papa ebbe col presidente Bush. Il presidente Bush era uno che aveva insolentito Giovanni Paolo II, che aveva umiliato il cardinale Laghi, che in udienza s’era rivolto al papa iniziando con un My Government, Sir, senza rivolgersi a lui col titolo appropriato, e aveva osato fare un accenno allo scandalo del clero pedofilo statunitense (che fino a prova contraria è composto da cittadini statunitensi) come vendetta per il magistero sulla pace del 2003: l’aveva insolentito in un modo talmente brutale che si diceva che dopo l’udienza Wojtyla, a quell’epoca già piuttosto malato, si rimproverava con uno dei collaboratori di non avere chiesto quanti erano i repubblicani fra i pedofili. Ebbene Benedetto XVI ha deciso di usare a quel presidente una serie di cortesie mai viste: nessun papa ha mai accettato la festa di compleanno a casa di un capo di Stato straniero, nessun papa ha mai avuto quel grado di familiarità che tutti hanno visto nella visita di Bush in Vaticano. Oggi, invece, col presidente Obama si va alla ricerca dello scontro su una questione come quella del discorso che il presidente farà all’università cattolica di Notre Dame: è ovvio che si può dissentire dal presidente Obama su quello che lui fa sulle cellule staminali, ma non si può far finta che accanto a questa scelta di politica della ricerca non ce ne siano altre e non ci si potrà meravigliare se questo avrà gravi conseguenze – perché gli Stati Uniti avranno non solo interesse, ma anche buone ragioni, per tener fuori la Santa Sede dai grandi tavoli internazionali ai quali, da quasi mezzo secolo, aveva potuto sedere con tutto il suo prestigio.

«Reset»: E questo come incide nella vita vissuta del cattolicesimo, in Italia e nel mondo? Si sente rappresentato dal governo di Benedetto XVI?

Alberto Melloni: Il problema del cattolicesimo non è quello di essere rappresentato in senso democratico, ma di essere rappresentato in un senso infinitamente più profondo, che è quello sacramentale. E su questo è difficile dire se si ha una percezione realistica di quello che oggi succede. Faccio un esempio: domenica prossima, quante eucarestie saranno celebrate nelle comunità cattoliche su questo pianeta? Sono un certo numero. Oggi di quelle eucarestie ce n’è una minoranza importante che viene rappresentata da figure che non sono ministri ordinati. Vengono celebrate in un modo diverso, sono liturgie senza presbitero, per cui ufficialmente vengono tutte celebrate solo con ostie consacrate da un prete legittimamente ordinato: ma tutti sappiamo che la cosa che conta non è quel che si dice al vescovo o al nunzio, ma ciò che è. E quel che è, è che la conservazione della forma eucaristica della Chiesa nel cattolicesimo è un problema aperto. Un problema che riguarda anche casa nostra: per me uno dei provvedimenti più nefasti che è stato preso negli ultimi anni è stata questa decisione di limitare a nove anni la durata del parrocato, facendo del liturgo che rappresenta il liturgo vescovo un impiegato a tempo determinato. Queste dimensioni squisitamente ecclesiologiche discendono e incrementano l’abitudine di tutti ad avere rapporti sporadici con la realtà e a fidarsi del valore del sentiment: ciò è valso nella politica della presidenza Ruini alla Cei, nella quale si riteneva che l’autorità della chiesa fosse misurata dalla paura che i partiti avevano di lui; e vale nella vita vissuta dove, dato che la mancanza di una cura pastorale non produce opinione, si fa finta che non ci siano temi su cui riflettere.

Francesco Margiotta Broglio: Vi posso dare un dato che credo sia inedito? Voi sapete che in Italia, oltre al sistema dell’8 per mille, c’è il sistema delle offerte deducibili. Bene, i circa 42 milioni di italiani che si dichiarano cattolici danno alla Chiesa, tutti insieme, 16 milioni di euro all’anno (dato 2007). Gli avventisti, che sono 15mila danno alla loro Chiesa quasi 7 milioni di euro. Non solo, ma va bene dire «facciamo una Chiesa di minoranza ma forte», ma per fare una Chiesa forte anche se minoritaria ci vogliono delle truppe. Ora, il clero cattolico a livello mondiale è diminuito, tra il 1978 e il 2005 di circa il 4%, in Europa dal 1978 a oggi da 251mila a 200mila; in Africa è più che raddoppiato, in Asia è passato da quasi 33mila a 48mila. Allora però una riflessione su questo si dovrebbe fare. Se si hanno le truppe che funzionano allora devi fare dei cardinali di quei paesi, perché questi poi eleggono il papa.

«Reset»: State descrivendo un pontefice arroccato su posizioni conservatrici, romanocentriche, eurocentriche, incapace di vedere le dinamiche sul piano globale dello stesso cattolicesimo. State descrivendo un pontefice schierato sul piano politico in maniera conservatrice, a proposito del suo atteggiamento verso Bush prima e Obama poi. Di fronte a tutto questo è difficile trattare come errori, come incidenti, quella lista di episodi da cui siamo partiti. Viene da pensare che ci sia del sistematico.

Francesco Margiotta Broglio: Ho l’impressione che l’attuale pontefice sia privo di collaboratori che gli diano indicazioni giuste. Certamente ci sono delle tendenze di fondo – Alberto Melloni le ha messe in evidenza – che però non rispondono agli incidenti. Se vogliamo ci potrebbe essere un collegamento tra la questione di Williamson e la questione Durban II, questo potrebbe essere. Tutto qui.

«Reset»: Ma la lista dei casi sospetti è più lunga.

Alberto Melloni: I collegamenti tra i diversi incidenti, se uno li vuol trovare, hanno un carattere trasversale. Ci sono degli errori veri e propri. Il Summorum Pontificum, per esempio, è un atto che dice qualche cosa di poco confortante sulla qualità dei canonisti che servono il papa perché se qualcuno gli ha detto che Paolo VI non ha mai abrogato il messale di San Pio V gli ha detto una cosa sbagliata che contraddice un’istruzione del 1971 e un discorso al concistoro del 1976 sulla «sostituzione». Allo stesso modo chi ha scritto l’atto di revoca della scomunica dei lefebvriani –l’ha dimostrato Peter Hünermann il teologo fondamentale di Tubinga – ha fatto un atto che sa di nullità: perché si suppone che la revoca della scomunica non sia un atto di grazia che discende dal potere di giurisdizione, mentre la comunione non è disposizione. Durban II, invece, assomiglia di più alle gentilezze verso Bush: cioè a una certa difficoltà a collocarsi nel contesto internazionale con criteri adeguati. Altra cosa ancora è la querelle con gli ebraismi: perché ci sono convinzioni che fanno parte della posizione teologica di Joseph Ratzinger (è noto che aveva usato la parola «conversione» per gli ebrei in una catechesi proprio per smarcarsi dalla linea del dialogo ebraico-cristiani degli ultimi anni di Wojtyla) e ci sono differenze fra il rabbinato americano, quello israeliano e quello italiano (l’unico che con il papa ci vive da secoli) che sono state un po’ sottovalutate.

«Reset»: L’arrocco della Chiesa di fronte alle altre fedi, l’idea della minoranza assediata ecc. non può essere una delle ragioni della crisi della capacità di rappresentare il proprio popolo?

Alberto Melloni: Il problema della rappresentanza non è tanto «elettorale». Vescovi-Collegio-papa. È la questione che pose il Vaticano II, cioè il fatto che i vescovi con il papa hanno per diritto divino un potere e una responsabilità sulla Chiesa universale. Oggi fa molta fatica anche il papa a farne a meno perché la complessità della situazione richiederebbe strumenti di «co-governo»: nel senso semplicemente politicistico decisionale del termine, che giustamente viene rifiutato, ma nemmeno in un senso banalmente consultivo, che rischia di essere anche quello un modo politico di pensare il monarcato petrino.

Francesco Margiotta Broglio: Nell’intervista che Ratzinger dette a Marco Politi poco prima di diventare papa, egli sottolineò con molta chiarezza questo punto, ossia che Roma non poteva non continuare ad approfondire il dialogo con i vescovi, che era solo nel dialogo tra vescovi e papato che si poteva trovare la chiave. E poi però non seguì questo proposito.

«Reset»: Ma allora siamo di fronte a un «papato degli errori»?

Francesco Margiotta Broglio: Delle sviste.

Alberto Melloni: Se si vuol dare un titolo potrebbe essere «Format Ratzinger». Cioè, quello che c’è è una specie di format: non è una linea di governo, un’ideologia pastorale, ma è il ripetersi di situazioni che hanno una dinamica alla quale accennavo prima, fatta di sortite e arretramenti. Dopo Regensburg la preghiera in una moschea di Istanbul. Dopo la scomunica dei lefebvriani scrive quella lettera in cui dice che i vescovi lo odiano e gli ebrei no, ma prende posizione su alcune questioni essenziali, incluso il dialogo interreligioso, di cui a Pera aveva scritto formaliter il contrario. Quasi che Ratzinger riprendesse nel governo uno stile dei suoi scritti – quello che forza fino alla caricatura la posizione che poi rifiuta.

Francesco Margiotta Broglio: Però non era tradizionale del papato, anzi, per sostenere una posizione andavano fino in fondo.

«Reset»: C’è un format che prevede, secondo questa versione, uno stop and go. Ma lo stop si vede, ma il go dove va poi?

Alberto Melloni: Ma anche lo stop dove va?

«Reset»: Lo stop è lo stop per esempio al dialogo con gli ebrei, al dialogo con i musulmani.

Francesco Margiotta Broglio: Dopo il viaggio in Israele il clima potrebbe cambiare in meglio. Tutti focalizzano sulla questione dell’antisemitismo, ma nessuno parla più del fatto che il grosso conflitto con musulmani ed ebrei riguarda lo status di Gerusalemme.

Alberto Melloni: Per tornare al giudizio sullo stop and go. Alla fine non credo all’esistenza di una strategia della restaurazione ratzingeriana, come non credo alla linea delle belle sorprese che preannunciava il cardinale Martini, e che un saggio porporato commentò dicendo «se non ci saranno cattive sorprese sarà una bella sorpresa». Oggi la situazione, oggettivamente, della possibile riconciliazione delle comunità lefebvriane con la grande Chiesa è messa peggio di com’era nel 2006 perché si sono create delle ostilità: forse gli è stata levata la scomunica ma gli è rimasta la sospensione a divinis e non si sa più che fare; l’affare Williamson ha fatto venire a galla tutta una serie di loschi figuri che bazzicano questo mondo, fascisti, razzisti, che non rappresentano la media neanche dei lefebvriani, che però ritengono la condanna del magistero antisemita d’età moderna un tradimento. Io vedo poco stop e poco go. Quello che mi aspettavo dopo il complesso periodo wojtyliano era un pontificato di decantazione, nel quale l’intelligenza di cui Ratzinger è portatore desse tempo, modo e ritmo per discutere i problemi, fare gli approfondimenti che non erano stati fatti, ascoltare tutti, far venire fuori più voci e così via. Questo non è accaduto, e non so se incomincerà a un certo momento ad accadere.

«Reset»: Quindi è una situazione che non consente una facile previsione. Non c’è una logica conseguenza in tutto questo, un logico sviluppo. C’è un grande punto di domanda.

Francesco Margiotta Broglio: C’è un grande disorientamento del papa e dei suoi collaboratori. E poi soprattutto c’è una cosa che Benedetto XVI non mi pare che abbia capito, anche nel documento anti-relativista pronunciato poco prima di diventare pontefice. Non ha capito, o forse non vuol capire, che la Chiesa cattolica ha perso il controllo delle coscienze. Avendo perso il controllo delle coscienze ha perso gli strumenti del controllo sociale, che erano quelli che consentivano alla Chiesa di fare i concordati. «Io ti assicuro il controllo sociale, tu mi dai questi vantaggi». A questo punto gli Stati non hanno nemmeno più interesse a fare degli accordi, perché questo non gli porta niente. Anche le folle diradate che acclamano il papa non hanno nessuna intenzione di rispettare la morale cattolica. Quindi, mi pare che gli aspetti di carenza siano tantissimi.

«Reset»: Voi gli consigliereste qualche nuovo consulente, qualche nuova figura presa dalla Chiesa americana, dalla Chiesa africana, dall’Oriente?

Francesco Margiotta Broglio: Dovrebbe giocare di più il rapporto con gli episcopati. Tu pensa che in un sondaggio tra i cattolici francesi il 49% voleva le dimissioni del papa.

Alberto Melloni: Non credo che il papa abbia bisogno di consigli e consiglieri. Credo che si possano sperare alcune cose per la situazione reale, sperare alcune cose minime. Secondo me, ad esempio, un obiettivo minimo riguarda l’Italia, dove la situazione non solo non è peggiorata, ma è un po’ migliorata. C’era stata una tendenza molto pericolosa, che era quella di trasformare la presenza cattolica in Italia nella portatrice di una serie di piccole pillole di carattere morale, con il risultato che prevedibilmente la destra era sempre più veloce della sinistra a mangiare le pillole morali, anche perché ne smaltisce rapidamente gli effetti. Oggi l’episcopato italiano esce da una lunghissima stagione in cui il presidente aveva acquisito un ruolo solitario, di fatto, rispetto al quale l’episcopato faceva semplicemente da sfondo: ora mi pare ci siano voci, inizi di dialogo fra vescovi che vuol dire pensare i problemi del paese non come singoli issues morali (gestiti spesso da ex-radicali sul piano politico) ma come una visione d’insieme d’una società, come dice il cardinal Bagnasco, sfrangiatissima. Questo mi colpisce positivamente.

Francesco Margiotta Broglio: Condivido l’osservazione.

Alberto Melloni: L’altro obiettivo che secondo me ci si può ragionevolmente augurare riguarda invece la gestione dell’ex Sant’Uffizio. Uno degli effetti dell’elezione di Ratzinger al papato consiste nel fatto che la congregazione per la dottrina della fede ha radicalmente ridimensionato il proprio attivismo di condanna. Ci sono state alcuni provvedimenti (uno odioso è stato la condanna di Jon Sobrino, è l’unico gesuita dell’Università di San Salvador che non fu martirizzato perché non si trovava a casa con i suoi fratelli e che, scampato al martirio, viene condannato con un atto talmente tardo da far dubitare delle intenzioni di chi l’ha preteso). Però, al di là di questo, da parte del Santo Uffizio c’è un ridimensionamento molto forte della propria attività. Anche questa in prospettiva è una questione importante perché o i teologi cattolici ricominciano a riflettere sulle questioni difficili, oppure, se pensano di passare la vita a lucidare il diritto naturale (cosa che si fa senza effetti da quasi trecento anni), i guai potrebbero essere molto gravi e molto forti. Adesso come adesso non si vedono né i segnali, né le energie intellettuali per fare questo, però mi sembra che questa sia un’altra cosa plausibile nel medio periodo.

Francesco Margiotta Broglio: Mi pare anche che si sia molto rallentata l’attività censoria.

Alberto Melloni: Sì, tranne che sulla mediazione politica. L’unica censura che è rimasta è la censura dell’atto di mediazione politica, come se non si capisse che la politica o è mediazione o non è. Però la censura, questa sì, è diventata più giornalistica, viene fatta in maniera…

Francesco Margiotta Broglio: Sì, in maniera meno istituzionale.

«Reset»: Forse sarebbe utile capire, sia per la parte cattolica che per la parte laica, che la politica è mediazione.

Alberto Melloni: Allora secondo me si potrebbero fare dei corsi bipartisan.

 

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