Dal ramino ai gruppi rock, così il nome Machiavelli è diventato un brand

Se “leonardesco” indica un intelletto multiforme, se “michelangiolesco” allude a una plastica possanza, se “austeniano” indica un eloquio, o un modo di ragionare, equilibrato e delicatamente sarcastico, “machiavellico” per il dizionario Sabatini Coletti sta per “spregiudicato e subdolo”. Ora, essere titolari di un aggettivo è già un primo passo verso l’occasione che la società post-industriale concede ad alcune glorie culturali del passato: vivere una nuova vita grazie all’essere trasformati in marchi di successo, in “brand”.  Machiavelli è un brand?

Prima di rispondere, vediamo anzitutto in cosa consista questo procedimento e dove esso conduca.  Leonardo ha preso il volo grazie a Dan Brown: se prima “Da Vinci”  evocava avventure dell’ingegno, dopo il Codice   è diventato un nome che spalanca le porte su scenari esoterici e complottisti. Provate a digitarlo su Internet Bookshop nello spazio “titolo” della ricerca avanzata, e vedrete il bouquet di romanzi che affiorano, con titoli dove “Da Vinci” si sposa con “indagine”, con “sangue”, con “segreto” e così via.

Caravaggio, grazie alla sua biografia piuttosto che alla potenza della sua arte, è diventato il protagonista di altrettanti romanzi in costume e/o di cappa e spada.

Jane Austen – che già aveva a Bath un suo piccolo tempio dove renderle omaggio – ha decollato grazie a patinati film ivoriani (siano di James Ivory o di altri) e grazie a un romanzetto diventato di culto, Jane Austen Book Club di Karen Fowler. Poi, è lo sfracello: non si contano i remake dei suoi libri, né le serie che hanno per protagonisti uno o l’altro dei suoi personaggi, dai gialli di Stephanie Barron alle versioni zombie, fino al sequel di Orgoglio e pregiudizio firmato da un’altra regina british della penna, P.D. James.  In realtà è Austen l’autrice cui è riuscito di quadrare il cerchio: trasformarsi cioè in un “brand” a ogni effetto, con cui è possibile vendere di tutto,  tazze da tè e ventagli, ombrelli e braccialetti, oltre ai più scontati quadernetti, segnalibro ecc… (da www.janeaustengiftshop.co.uk in tutto il mondo).

C’è un luogo poi dove tutto si mescola. E’ in casa Newton Compton, l’editrice romana che, nell’ultimo paio d’anni, è riuscita a guadagnare “grazie” alla crisi. Come? Vendendo a prezzi stracciati – tra i 4,90 e i 9,90 euro – libri in hard cover. Ora, con i tascabili a 0,99%, che, fatto mai avvenuto prima, hanno fatto conquistare a quest’unico marchio tutti i primi sette posti delle classifiche. Newton Compton persegue la fortunata strategia  di fare ricorso non a uno solo, ma a tutti i topoi appetibili per lettrici in cerca di evasione: romanzi, insomma, scritti da penne con nom de plume rigorosamente inglesi, con titoli che fanno ricorso ad elementi della commedia sofisticata come Tiffany (l’originale di Truman Capote/Blake Edwards qui si declina in “Un regalo da Tiffany”, “Un diamante da Tiffany” e così via, con silhouette alla Audrey Hepburn che si stagliano in copertina), oppure della narrativa femminile come appunto il Darcy di Jane Austen, ma anche a odori, profumi, sapori, cannella e cupcake, zucchero e cioccolato. Mescolando si può arrivare a dei veri cortocircuiti, quali “Colazione da Darcy” o direttamente “Come Jane Austen mi ha rubato il fidanzato”…

E allora, appunto: ser Niccolò può già dirsi “brandizzato”? Oppure sta per esserlo in questo cinquecentenario?

C’è, per cominciare,  un uso meno pop e più vecchio stile del suo “marchio”, quello cioè che rimanda all’idea che il creatore del Principe sia in grado di suggerirci strategie per vari campi della vita.  Qui andiamo dai manuali “Machiavelli per i manager” ai “Machiavelli al tavolo da poker”.  C’è un test della personalità che si chiama “Machiavelli” e che valuta se sei un tipo spietato o un cuore di burro. “Machiavelli” è poi una variante del ramino, che si gioca dal secondo dopoguerra. Ma, andando sul pop, esistono almeno tre gruppi musicali rock che evocano nel nome il segretario fiorentino: l’italiano Machiavelli e, tra Australia e Uk, The Machiavelli e Machiavelli’s.  E ci sono wargames che gli si riferiscono.

Poi, naturale, ci sono i romanzi che usano nel titolo la potenza evocatrice della sua firma:  La congiura Machiavelli di Michael Ennis (per l’edizione italiana siamo di nuovo in casa Newton Compton), dove ser Niccolò in persona è chiamato a indagare, insieme con Leonardo da Vinci, sulla misteriosa morte di un figlio di papa Alessandro VI, e  La regola Machiavelli di Allan Folsom, dove esiste una segreta appendice del Principe appetita – al giorno oggi – come un’arma strategica esiziale dai Grandi della Terra. Folsom, bostoniano, è uno degli anglosassoni che hanno capito un bel pezzo prima di noi italiani quanto potesse rendere, in termini di copie e di quattrini, il forziere di intrighi custodito dalla nostra Storia.

E dunque, sì: Machiavelli è un brand.  Ma, come insegna il marchio Jane Austen, si potrebbe sfruttarlo infinitamente di più. Chissà che in questo cinquecentenario del Principe  qualcuno si metta all’opera. E se per una volta il ben di dio di congiure, complotti, affascinanti nefandezze e carismatici personaggi che il nostro passato custodisce lo sfruttassimo in proprio? Se Machiavelli diventasse un fortunato brand made in Italy?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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