L’ira palestinese su Bahrein e Emirati:
“Oggi muore il consenso arabo”

Parla a Reset il premier Mohammed Shtayyeh nel giorno dell'accordo con Israele

Non usa mai la parola “tradimento”. Non è nel suo stile, nel suo modo di fare. Ma quello che il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh annuncia in questa intervista concessa a Reset, grazie alla preziosa collaborazione di Osama Hamdan, è qualcosa di ben più significativo sul piano delle relazioni tra la leadership palestinese e i Paesi arabi rappresentati nella Lega Araba. “Prendiamo atto – afferma Shtayyeh – che la decisione assunta dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein di sottoscrivere accordi di pace con Israele segna la fine dell’Iniziativa di pace araba e di fatto condanna la Lega araba ad un ruolo di assoluta marginalità”.

Signor primo ministro, oggi a Washington ci sarà la cerimonia ufficiale per la firma degli accordi di pace tra Israele e Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Come si apprestano a vivere i palestinesi quella che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu, hanno definito una “giornata storica”?

Una giornata storica? Lo sarà forse per il signor Trump e il signor Netanyahu, non certo per i palestinesi e per i popoli arabi che hanno sempre sostenuto la nostra causa contro l’occupante israeliano. Il 15 settembre sarà ricordato come un giorno buio nella storia della nazione araba e della Lega Araba.

Lei ha invitato i Paesi arabi a non inviare delegazioni alla cerimonia di oggi.

È il minimo che si possa chiedere. Un gesto chiaro, solenne, di dissociazione da una scelta, quella compiuta dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein, che giova solo a Israele e, per ragioni di politica interna, al presidente degli Stati Uniti. Ciò che reputiamo non solo inaccettabile ma offensivo è che le autorità dei due Paesi che hanno deciso di sottoscrivere questi accordi con Israele abbiano avuto la spudoratezza di tirare in ballo i palestinesi. Nessuno ha dato loro una delega per rappresentarci. Quanto poi all’affermazione secondo cui sono stati quegli accordi a bloccare il piano israeliano di annessione di parti della Cisgiordania occupata, beh, questo è un insulto all’intelligenza di chiunque abbia ancora un briciolo di onestà intellettuale e di senso della realtà.

Qual è allora la sua lettura degli eventi? È innegabile che quel piano, che sarebbe dovuto essere operativo dall’1 luglio, oggi è di nuovo in un cassetto.

Lo è per una ragione fondamentale: il coronavirus. Di fronte alla pandemia che ha colpito tutto il mondo, e che il primo ministro israeliano ha dimostrato di non saper affrontare, e a dirlo sono gli israeliani stessi, attuare il piano di annessione sarebbe stata una follia anche per i suoi più accaniti sostenitori. Quegli accordi non c’entrano nulla con lo stop al piano di annessione. Ma la gravità dell’atto compiuto dai due Paesi del Golfo non sta solo nell’aver usato strumentalmente la questione palestinese per giustificare l’ingiustificabile. La cosa ancora più grave è che in quegli accordi non si fa alcun riferimento al regime di apartheid che Israele ha instaurato in Cisgiordania e all’embargo che da oltre 12 anni sta rendendo impossibile la vita di due milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza. Una parola, un accenno, niente di niente. Così come non c’è alcun accenno ad una questione che non riguarda solo i palestinesi e neanche solo i popoli arabi ma oltre un miliardo di musulmani…

A cosa si riferisce?

Allo status di Gerusalemme. Una ferita per tutto il mondo musulmano e, mi lasci aggiungere, anche per quello cristiano. Certo, né gli Emirati Arabi né il Bahrein arriveranno fino al punto di insediare ad al-Quds (Gerusalemme, ndr) le loro ambasciate, una volta che le apriranno. Ma questo non attenua minimamente la responsabilità che si sono assunti: i dirigenti di questi due Paesi stringeranno la mano di un presidente americano che ha trasferito l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, cosa che nessuno dei suoi predecessori, Democratici o Repubblicani, aveva mai fatto. E stringeranno la mano di un primo ministro israeliano che ha esaltato questa scelta, perché ufficializza la “ebraizzazione” di al-Quds! Stringeranno la mano ad un primo ministro per il quale i palestinesi non esistono come popolo e non hanno alcun diritto sulla loro terra, e che portando avanti la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati ha cancellato ogni possibilità di giungere ad una pace fondata sulla soluzione a due Stati. Questa soluzione, che pure rispecchia le risoluzioni Onu nonché la Road Map del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Europa, Russia e Onu, ndr), non regge più perché Israele ha deciso, con il sostegno della Casa Bianca, di renderla impossibile. Questi sono fatti, non propaganda. Nessun dirigente palestinese, neanche il più disponibile al compromesso, potrà mai avallare o sottoscrivere una pace che tagli fuori Gerusalemme! Ciò che chiediamo è che anche in Palestina sia rispettata quella legalità internazionale che Israele ha calpestato più volte. Rispettare le risoluzioni Onu che indicano Gerusalemme Est come parte dei Territori palestinesi occupati da Israele dopo la Guerra dei Sei giorni. Rispettare il principio della “pace in cambi dei territori” che è sancito da quelle risoluzioni. Non sono i palestinesi ad aver sfidato la legalità internazionale, noi siamo vittime di un regime di apartheid che fa impallidire quello sudafricano.

Il presidente Mahmud Abbas aveva chiesto alla Lega Araba di prendere una posizione netta di contrarietà a questi accordi e al “Piano del secolo” di Trump. Richieste inevase. E allora?

Allora non resta che prenderne atto e agire di conseguenza. Il governo che io ho l’onore di guidare ha chiesto al presidente Abbas di rivalutare le relazioni dell’Autorità Palestinese con la Lega Araba. La Lega è diventata un fattore di divisione piuttosto che un soggetto unificante.

Alla luce di ciò che accadrà oggi, cosa resta dell’Iniziativa di pace araba?

Oggi l’Iniziativa di pace araba muore, così come il consenso arabo, ed è nostro dovere come palestinesi uscire da questa crisi uniti.

Signor primo ministro, sono in tanti, e tra questi anche molti che si battono per una pace giusta e duratura tra le parti, a criticare la dirigenza palestinese perché sembra saper dire solo dei “No”, autocondannandosi così alla marginalità.

È un’accusa ingiusta, una narrazione di parte che non tiene in alcun conto gli avvenimenti che hanno segnato gli ultimi trent’anni. La linea del dialogo è propria della leadership palestinese da quando il presidente Arafat sottoscrisse gli Accordi di Oslo-Washington con l’allora primo ministro d’Israele, Yitzhak Rabin. Era il 13 settembre 1993. E quella sì che fu una giornata storica. Se quegli accordi non sono stati rispettati, la responsabilità non è certo nostra. Non intendo dire che siamo stati immuni da errori, che ci sono stati, ma in questi 27 anni la colonizzazione israeliana è andata avanti senza soluzione di continuità, così come la pulizia etnica della popolazione palestinese a Gerusalemme Est. Firmando quegli accordi noi abbiamo detto tanti e impegnativi “Sì”. Sì a uno Stato palestinese su un territorio ridotto, Sì alla condivisione di Gerusalemme come capitale di due Stati. Sì a un compromesso che reclamava sacrifici per ambedue i contraenti. A stringere la mano di Yasser Arafat è stato un uomo che aveva combattuto per una vita i palestinesi, ma che aveva compreso che una pace nella sicurezza, Israele non poteva raggiungerla con la forza delle armi. Per aver stretto la mano ad Arafat e firmato quegli accordi, Rabin è stato assassinato, non da un estremista palestinese ma da un giovane ebreo. Certo, abbiamo ripetuto in ogni sede che pace e colonizzazione sono inconciliabili. Ma non siamo i soli ad affermarlo.

E ora, dunque, che farete?

Ora la nostra battaglia di libertà continuerà. In ogni sede. All’Europa chiediamo di non recedere dalla linea dei “due Stati” e di comportarsi di conseguenza. Il popolo palestinese è un popolo fiero, orgoglioso della propria storia e identità, che ha pagato un altissimo tributo di sangue per vedere realizzato il proprio diritto all’autodeterminazione nazionale. Questa lotta non si fermerà. Chiunque creda che la stabilizzazione del Medio Oriente possa fare a meno della creazione di uno Stato palestinese, coltiva una illusione, una tragica illusione. E chi oggi firma quegli accordi non aiuta la causa palestinese, al contrario prova a indebolirla. E, soprattutto, non contribuisce alla pacificazione del Medio Oriente. Perché non c’è pace senza giustizia. E questa pace non vive oggi nella cerimonia alla Casa Bianca.

 

Foto: Nasser Nasser / AFP

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