Tunisia, insidie e promesse della nuova costituzione. Parla Selma Baccar

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Alla vigilia del completamento della nuova Costituzione tunisina, Selma Baccar, regista, produttrice, militante, esponente del partito di centrosinistra El Massar e membro dell’Assemblea Costituente, è preoccupata. “Nonostante le importanti battaglie vinte su molti articoli, ho la sensazione che la nuova Costituzione sia un ‘patchwork’ pieno di trappole linguistiche (e la ricchezza della lingua araba è un terreno molto fertile), che possono dar luogo a interpretazioni legislative ispirate da concetti conformisti e reazionari”. In queste ore la sua attenzione è concentrata sulla revisione di alcuni articoli tra cui c’è l’art. 38, che già da giorni scatena controversie, “che è stato già votato con un emendamento molto pericoloso per il sistema educativo, che prevede la tutela ‘delle radici dei valori arabo-musulmani’ senza alcuna apertura allo studio delle lingue, della civiltà e della scienza internazionale” e che per lei rappresenterebbe “una catastrofe” per la formazione delle future generazioni.

Selma Baccar, dopo l’approvazione dell’art. 20 e poi dell’art. 45 molti hanno esultato, ma tanti altri hanno sottolineato i rischi per le donne per l’assenza di riferimenti al codice dello statuto personale. Pensa che i rischi siano reali? Le donne rischiano di perdere i diritti acquisiti finora?

L’art. 20 precisa l’uguaglianza tra i cittadini, senza alcuna discriminazione e imposta il tono per questa nuova Costituzione che risponde a una delle rivendicazioni più importanti sottolineate da milioni di tunisini durante la rivoluzione del 14 gennaio 2011: l’uguaglianza. L’art. 45, invece, è stata una lunga battaglia terminata a lieto fine. Non dobbiamo dimenticare che più di un anno fa, il partito di maggioranza Ennahdha ha provato a imporci con l’art. 27 (nella prima bozza, nda), con un voto di maggioranza della Commissione dei diritti e delle libertà, il concetto di “complementarità” tra uomo e donna. Questo famoso articolo ha scatenato polemiche enormi in Tunisia e altrove tanto che Ennahdha si è visto costretto al ritiro. Dopo di che abbiamo cercato di rapportarci con le donne dello stesso partito per proporre un articolo comune a tutta l’Assemblea Costituente (ANC). Sono state considerate diverse formulazioni senza raggiungere nessun accordo perché la nozione che noi democratici volevamo registrare con riguardo all’uguaglianza ha scatenato una paura ancestrale negli altri: la paura di toccare l’uguaglianza nell’eredità (fortemente condannata dall’Islam). C’è stata una seconda resistenza da parte degli uomini sulla “parità” in materia elettorale che ha rivelato il talento politico delle donne.

Il riferimento al Codice di Statuto Personale è stato un’altra battaglia anche più rischiosa perché la proposta dei nostri colleghi parlava di acquisizione in assoluto (insinuanti conquiste concesse alle donne dai testi coranici, ad esempio la relazione del profeta con le sue mogli) invece noi abbiamo rivendicato che si acquisissero testi di leggi (CSP e altre leggi promulgate dopo l’Indipendenza). Per noi l’art. 45, quindi, è una vera vittoria che continua a essere denunciato da certe figure: “E’ un complotto contro i principi d’identità araba-musulmana”.

Può spiegarci da quali riflessioni nascono le modifiche dell’art. 6? Che idea di Islam c’è dietro?

La condanna di takfir (accusare qualcuno d’ateismo) nell’art. 6 è un’accusa molto grave sul piano morale e religioso e può essere interpretata da alcuni fanatici come una chiamata a morte. È a causa di questo tipo di accusa che i partiti di sinistra, modernisti, progressisti e laici hanno perso le ultime elezioni, ma cosa più grave è che a causa di questo tipo di accuse che il militante Chokri Belaid è stato assassinato e un gran numero di esponenti della sinistra hanno ricevuto minacce di morte e vanno in giro con le guardie del corpo (e io sono una di questi).

Abbiamo potuto aggiungere questo divieto nell’art. 6, quando il più radicale dei leader di Ennahdha, Habib Ellouz ha accusato il nostro collega Moungi Rahoui del Wattad – partito democratico patriottico unito – (lo stesso di Chokri Belaid) di essere keffer (miscredente) e poche ore dopo Moungi ha ricevuto decine di minacce di morte, tanto che il Ministero dell’Interno gli ha predisposto agenti di sicurezza e un’auto blindata. L’opposizione ha richiesto il congedo di Habib Ellouz ed Ennahdha, sotto forma di scuse, ha proposto d’inserire il takfir nell’art.6. Ora, i presunti “indipendenti” da Ennahdha chiedendo di aggiungere nello stesso articolo anche la condanna di sacrilegio sull’immagine di Dio, di Mohammed e del Corano. Vedremo quando finirà questa lunga storia!

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Cosa pensa del mantenimento della pena di morte?

Abbiamo discusso di pena di morte per un anno nell’ANC e al di fuori e credo sinceramente che questo sia un problema della società molto più che una questione ideologica. Si tratta di un lungo dibattito sociale, culturale e religioso che abbiamo avuto il privilegio di iniziare e che necessita di essere proseguito negli anni per cambiare le mentalità. Con la formulazione dell’articolo riguardante il diritto alla vita, lasciamo la porta aperta al cambiamento e preserviamo il diritto all’aborto: un gran risultato per le donne tunisine, la libertà di disporre del proprio corpo ottenuta qualche anno prima di molti paesi europei. Naturalmente sono per l’abolizione della pena di morte.

È soddisfatta dell’introduzione della libertà di edizione nell’articolo 30?

Ho fatto di questo articolo il mio cavallo di battaglia nella Commissione dei diritti e le libertà di cui sono stata vice presidente, mantenendo il dibattito per 5 giorni mentre ad altri articoli abbiamo dedicato solo un paio d’ore. Sono molto contenta e orgogliosa.

Com’è la vita di una donna nell’assemblea costituente?

La vita delle donne nell’ANC è frenetica, le tendenze politiche sono confuse. Sono le donne che spesso conducono la danza, anche se alcune sono discrete (residuo di un’educazione tradizionalista obbligata).

Le dimissioni del premier e del governo sono una speranza per uscire dalla crisi politica ed economica? Perché sono arrivate così tardi ?

Le dimissioni del governo sono state innanzitutto una vittoria per aver fatto ammettere a coloro che volevano esercitare il potere a tutti i costi di aver fatto una grave confusione tra “ordine” e “buona governanza”. L’obiettivo non era cambiare, ma dare speranza e segni d’equilibrio perché la situazione economica e sociale è troppo catastrofica. La più grande aspettativa è lottare seriamente contro la violenza e il terrorismo. Inoltre, la migliore garanzia in attesa del nuovo governo è assicurarsi che le prossime elezioni siano ben organizzate, oneste e senza pregiudizi per le parti. E che ci sia della vera transizione democratica.

Durante il percorso della militante Salma Baccar, qual è stata la fase più faticosa, il cinema o la politica?

Il cinema e la politica sono due professioni a rischio. Quello che ho imparato con il cinema in quarant’anni di carriera, l’ho imparato con la politica in soli tre anni, in conoscenze e non in competenze. Perché se io agisco molto attraverso il mio partito, soprattutto come opposizione, tengo sempre un punto di vista esterno, che mi permette di avere un modo diverso di fare. E anche il film è un lavoro di creazione solitaria (nonostante la troupe e le collaborazioni). In politica invece è impossibile lavorare senza un gruppo fortemente attaccato agli stessi valori. La politica rimane per me un mondo più difficile di quello del cinema e chiede più concessioni, non nei confronti degli avversari, ma, ahimè, dei partner. Così il concetto di “piacere” che accompagna l’atto della creazione e quasi nullo in politica, tranne nelle occasioni d’incontro con la società civile che esprime la sua solidarietà.

Se dovesse girare un film sull’assemblea costituente, che genere sceglierebbe?

Il film che mi piacerebbe girare sui tre anni nell’ANC è una commedia musicale per poter parodiare su “il ridicolo e la malafede che non uccide”.

A tre anni dalla cacciata di Ben Alì, cosa è cambiato realmente nel paese?

Cose in meglio e cose in peggio. La parte migliore è la società civile tunisina, democratica, forte, mobilitata, ferocemente determinata a salvaguardare le sue acquisizioni. Il peggio è che il panorama sociale sta andando verso un eccessivo puritanesimo nel “look” vestiario e relazionale e verso l’aumento della violenza giunto fino all’assassinio politico e al terrorismo sul Monte Chaambi (centro-ovest regione Gasserine, nda) e altrove.

Non è cambiato nulla, invece, in risposta alle affermazioni di coloro che hanno fatto la rivoluzione, tranne la libertà di espressione, a volte abusata, mentre la vita è più costosa e la disoccupazione è aumentata vertiginosamente tra i più poveri.

Che futuro immagina per la Tunisia? E per i suoi artisti, registi, attori, scrittori?

Il futuro degli artisti, come delle donne e di tutte le fasce più fragili del paese, è direttamente correlato allo sviluppo di tutta la società. O cambieremo insieme o affonderemo insieme. Sono ottimista perché le conquiste culturali radicate nella società tunisina non daranno spazio all’oscurantismo e, anche se rischiamo di attraversare momenti difficili, le censure avranno un ruolo predominante. Gli artisti, per evitare la censura, dimostreranno più creatività per restare fedeli ai loro principi.

Con il voto dell’art. 103 si può dire che la Tunisia avrà una costituzione democratica o c’è ancora molto lavoro da fare?

L’art.103 è importante per l’applicazione della giustizia attraverso la creazione del “L’Alta Istanza Indipendente della Giustizia”. Abbiamo combattuto fianco a fianco con i membri del sindacato dei giudici che si sono fatti insultare e quasi picchiare da alcuni estremisti del partito Nahdhaoui. Il vice presidente dell’ANC Meherzia Laabidi (Ennahdha, nda) che ce l’aveva con il presidente del sindacato ha cercato di confondere volutamente questi attivisti giudici che erano contro la dittatura di Ben Ali con i suoi alleati. Quest’articolo è anche una vittoria per i democratici, tranne per la concessione su un dettaglio: la nomina dei membri è proposta dai magistrati al Presidente della Repubblica che firma i decreti e le leggi in “consultazione” con il Presidente del governo, perché Ennahdha cerca di dare la massima funzione al capo di governo come se fosse sicuro di rappresentare la maggioranza nel prossimo parlamento, mentre tutti sono d’accordo su un tipo di sistema misto (presidenziale/parlamentare). Non so se ridere o temere tali rassicurazioni di Ennahdha. Che Dio ci risparmi un “remake” dello stesso scenario con una nuova Troika: Ennahdha e nuove coalizioni.
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Nella foto di copertina: Selma Baccar il 14 gennaio 2014
Nella prima foto all’interno dell’articolo: Selma Baccar durante “Occupy Bardo”, con la spilla che ritrae Chokri Belaid, ucciso il 6 febbraio 2013

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