Taksim vs Erdogan, cronaca di una primavera che durerà

Da Reset-Dialogues on Civilizations

ISTANBUL – Piazza Taksim è stata abbandonata dalla polizia sabato pomeriggio ed è stata pacificamente occupata da un popolo in festa che si riunisce e festeggia all’ombra dei seicento sicomori per difendere i quali tutto era iniziato. Tutto questo mentre gli scontri diventavano sempre più aspri in altre parti della città e del paese.

Erano in sessanta gli ecologisti che hanno iniziato il presidio di Gezi Park la scorsa settimana, schierati contro la costruzione del centro commerciale numero 34 nella città. Il loro presidio, pacifico e festoso, si è arricchito dapprima della partecipazione di attivisti, parlamentari dell’opposizione, del partito curdo della democrazia e della pace, sindacati confederati, lavoratori in sciopero della Turkish Airlines, associazioni contro la speculazione edilizia e per la difesa dei beni comuni, attirando una partecipazione crescente da parte della società civile. Tutti uniti contro la decisione di demolire un parco che la gente sente proprio, l’ennesima decisione autoritaria di un governo che nel prendere le sue decisioni non sembra affatto interessato all’opinione della società civile. Il maggio orribile dell’Akp era iniziato con l’ennesima festa dei lavoratori segnata dalla violenza, era proseguito con la decisione di vietare qualsiasi reportage da Reyhanli dopo le bombe che hanno fatto 52 morti,in seguito i limiti alla vendita di alcool e la relativa condanna morale emessa da Erdoğan contro “gli alcolizzati” seguiti dal divieto di baciarsi nella metro di Ankara, hanno acuito rabbia e malcontento.

Così, quando la polizia venerdì, eseguendo degli ordini diretti del governo, ha caricato violentemente i manifestanti con gas al peperoncino, lacrimogeni e idranti sparati ad altezza d’uomo per circa dieci ore di seguito la misura si è colmata, i social network hanno iniziato a martellare ed il numero di gente che è accorso verso Taksim è cresciuto sempre di più. Dal venerdì fino alla mattina del sabato il centro della città aveva un aspetto spettrale. Nuvole di gas sull’intero quartiere rendevano l’aria irrespirabile,vetrine e bancomat distrutti, aiuole divelte, piani di palazzi su Istiklal usati come postazioni per sparare proiettili di gomma e lacrimogeni, elicotteri illuminavano le vie laterali chiuse da barricate, razzi rossi galleggiavano in cielo.

Nonostante in tutto il paese un solo canale stesse trasmettendo la diretta di cosa stava accadendo, ed internet funzionava a intermittenza, facebook e twitter riuscivano comunque a ricoprire il ruolo che a partire dalla Rivoluzione verde in Iran si sono ritagliati nell’espressione del dissenso in tutto il mondo.

Il comportamento dei media turchi, con il canale più importante che trasmetteva Miss Turchia mentre a Taksim si respirava la guerra, rende bene la “certa idea di democrazia” del Premier turco nonché dei motivi che hanno spinto tanta gente a scendere in piazza a manifestare una rabbia repressa, esplosa nella difesa di Gezi Park ma dalle radici più profonde.

Grazie ai social network la protesta in due giorni si è diffusa in quattro, sette, undici, quarantotto diverse città della Turchia e in vari presidi di solidarietà in tutto il mondo. Così quando domenica Erdoğan ha detto che “Twitter è un pericolo per la democrazia” non si è stupito nessuno e la rabbia non ha fatto che aumentare. Sabato pomeriggio la polizia ha abbandonato Piazza Taksim che in brevissimo tempo si è gremita all’inverosimile e dove è potuta poi iniziare la festa dei manifestanti. Canti, balli, tanto cibo, e poca birra. Allo stesso modo vi erano donne e ragazze velate, rappresentanze di partiti islamici e dei musulmani contro il capitalismo. Tutti uniti per una protesta che non è né lo scontro tra islamici e laici, ma neanche la protesta della birra (come ha scritto qualcuno), perché fino a notte fonda gruppi di ragazzi giravano tra i manifestanti chiedendo di bere poco, perché bisognava essere lucidi nel caso la polizia fosse tornata.

Ma la polizia a Taksim non tornerà. Con questa scelta si è voluta liberare il luogo simbolo della protesta, nel timore che Taksim diventasse la piazza Tahrir di Erdoğan, ristabilire la “normalità” nel luogo più mediatico per alzare il livello dello scontro in altri luoghi. Il quartiere di Besiktas ad Istanbul, dove gli scontri sono andati avanti per dodici ore, Izmir, Ankara e non solo.

Nella capitale dai proiettili di gomma e gas si è passati alle armi vere ed un ragazzo è stato colpito alla testa ed è morto questa mattina. La conseguenza di una tensione portata all’eccesso e della perdita di lucidità da parte di qualche poliziotto che da tre giorni si ritrova ad eseguire ordini privi di qualsiasi logica.

Una primavera turca

Il primo pensiero è stato alla “primavera” che ha coinvolto i paesi del mondo arabo. Ma la Turchia ha una storia diversa e di conseguenza gli avvenimenti degli ultimi giorni presentano peculiarità proprie. Qui non c’è un dittatore al potere, ma un premier che con la demagogia e il populismo si riprende ciò che l’autoritarismo delle proprie scelte gli toglie. In Turchia non c’è uno stato dai connotati antidemocratici,una struttura istituzionale su misura del dittatore di turno per il cui cambiamento si scende in piazza, piuttosto si protesta contro una politica in cui la gente non si riconosce, un modo di agire bigotto e conservatore con un’idea di progresso incurante delle tradizioni del paese perché ancorata ad un liberalismo economico sfrenato che ha i suoi pilastri nel consumismo e nel cemento.

I parallelismi con i movimenti di protesta che hanno infiammato i paesi del mondo arabo si limitano al ruolo dei social network, ormai fondamentale, e alla grandissima varietà umana che ha deciso di scendere in piazza. Un ventaglio umano di ampiezza non semplificabile che rappresenta un dissenso radicato in tutta la società turca. Si è parlato di kemalisti contro islamici, ma in Turchia Ataturk è una figura che unisce tutti e alla stessa maniera i religiosi scesi in piazza erano tanti. Quello che è lo storico conflitto che divide il paese stavolta si perde dentro uno scontro ben più ampio, un’opposizione a un governo che ha messo da parte la cosa pubblica per privilegiare i propri interessi, un governo portatore di un’idea di Turchia che larghissima parte del paese non accetta.

In tutte le rivoluzioni della Primavera araba un ruolo fondamentale è stato quello rivestito dall’esercito. In questi giorni si è visto il risultato del referendum costituzionale del 2010 con il quale in Turchia è stato invece indebolito e messo ai margini. L’esercito è stato il grande assente in questi giorni. La gente lo invocava in difesa dagli interventi della polizia, ma in piazza non è sceso, mentre sui social network circolavano notizie e foto di militari che aprivano le caserme ai manifestanti, mettevano a disposizione cure mediche e distribuivano maschere antigas ai manifestanti.

Intanto Erdoğan ha confermato che si trattava di teppisti alcolizzati la cui protesta è stata organizzata dal Chp (principale partito all’opposizione),ha mostrato la foto di un pullman distrutto chiedendo ironicamente se questa fosse stata opera di pacifisti e, come se nulla fosse successo, è tornato a parlare del progetto di costruire una imponente moschea vicino Taksim confermando che il centro commerciale si farà. Per molti turchi è l’ennesima prova di un autoritarismo ottuso, di una distanza siderale dalla gente, benzina sul fuoco che inaugura una settimana in cui è ad ora impossibile prevedere cosa succederà.

Vai a www.resetdoc.org

  1. Potrei solo dire COMPLIMENTI. Ottimo riassunto, ottimo modo di descrivere ciò che sta accadendo in Turchia in questi giorni. La gente ha tanta rabbia, e più continuano queste aggressioni da parte della polizia, più questa rabbia tenderà ad aumentare. Erdogan: “quando sarò ritornato in Turchia sarà tutto finito”, ecco, non credo proprio che accadrà. La gente è tanta, tantissima. Erdogan farebbe bene a non sottovalutare il suo popolo, che ormai, stanco e stremato dalla politica portata avanti dal premier in carica è disposto a non mollare, I turchi non molleranno e non devono mollare. Tutti uniti per riavere la DEMOCRAZIA che pian piano gli hanno tolto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *