Sochi 2014, se i ‘muscoli’ di Putin risvegliano i fantasmi del terrorismo (e della repressione)

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Già da adesso è l’olimpiade nettamente più costosa della storia. A quanto pare sono circa 40 i miliardi di euro sborsati per i giochi di Sochi, località russa sul Mar Nero dove nel 2014 si terrà la kermesse iridata invernale. Persino Pechino 2008, con tutti i lavori eseguiti nella capitale cinese, non era giunta a costare tanto. Ci si fermò a trenta miliardi.

C’è una precisa ragione a monte delle ingenti spese. Il fatto è che Sochi, nel momento in cui il comitato olimpico l’ha scelta come sede dei giochi, nel 2007, non aveva né infrastrutture adeguate, né arene sportive. Tutto è stato costruito da zero, o quasi. E allora perché mai – domanda logica – il presidente russo Vladimir Putin ha voluto scommetterci, se l’organizzazione dei giochi presentava tutto questo impegno economico e tutti questi cantieri? C’è senz’altro la volontà di dimostrare al mondo, portando in Russia l’evento olimpico e rivoltando Sochi come un calzino, che il paese, se messo alla prova, sa realizzare cose importanti e tenere testa alle grandi sfide. C’è anche una questione personale. Putin a Sochi ha la sua dacia, e al posto è assai affezionato. Tutto, quindi, dovrà filare alla perfezione.

Ma Dokka Umarov, leader del separatismo islamico nel Caucaso settentrionale, la regione più instabile della Federazione russa, minaccia il peggio: gli attentati terroristici. In un messaggio video diffuso a inizio luglio, ha chiamato i suoi miliziani a colpire «con la massima forza». «Le olimpiadi si terranno sopra i resti dei nostri antenati e dei tanti musulmani sepolti nella nostra terra, in riva al Mar Nero. Noi, come mujahideen, non possiamo permetterlo e useremo tutti i metodi che Allah ci concede», ha gridato.

La faida islamista

È bene aprire una parentesi, precisando chi è e cosa vuole Dokka Umarov. L’uomo è l’autoproclamato capo dell’Emirato del Caucaso, una terra virtuale che comprende le repubbliche caucasiche della Russia (Cecenia, Inguscezia, Dagestan, Ossezia del nord, Kabardino-Balkaria, Karachay-Cherkessia), oltre ai soggetti federali limitrofi del Krasnodar – dove sorge Sochi – e di Stavropol. L’obiettivo, in nome della sharia e della lotta armata, è allargare il campo di battaglia al di là dei tradizionali confini della Cecenia, fino a giungere all’indipendenza.

La tattica di Umarov si fonda su due pilastri. Da una parte c’è l’azione di guerra nel perimetro caucasico, contro le forze di sicurezza russe e i politici legati al Cremlino. Dall’altra, gli attacchi terroristici al cuore della Russia. Sia gli attentati suicidi nella metro di Mosca nel 2010, sia quello all’aeroporto di Domodedovo, sempre a Mosca, registrato l’anno successivo, sono stati rivendicati dall’Emirato del Caucaso.

Qualcuno sostiene che l’annuncio di Umarov riapre di fatto l’attività del terrorismo separatista di matrice islamica, dopo la temporanea “moratoria” sugli attacchi ai civili lanciata nel dicembre del 2012, quando a Mosca iniziarono a tenersi le grandi manifestazioni di piazza contro il sistema Putin, andate avanti fino al maggio del 2013. Insomma, la minaccia andrebbe presa seriamente.

In ogni caso, la moratoria non ha affatto fermato l’offensiva dei miliziani nel perimetro del Caucaso. Come riporta il mensile americano The Atlantic, nel distretto federale del Caucaso del nord, soggetto creato da Mosca nel 2010 per gestire meglio le risorse e contrastare in modo più efficace gli insorti, ci sono stati nel 2012 ben 96 attentati. Mentre nel primo trimestre le vittime sono già 124. Le terre più martoriate sono l’Inguscezia e il Dagestan (Reset ne aveva già parlato qui). Insomma, la forza d’urto degli islamisti non è calata e secondo qualche analista potrebbe “sconfinare” fino a Sochi e la regione del Krasnodar, che pur non essendo mai state colpite così duramente dal terrorismo, sono pur sempre segmenti dell’Emirato del Caucaso. Zone potenzialmente sensibili.

Sochi 2014, in teoria, serve a scansare la minaccia islamista. Spendere, creare opportunità per investire e porre nuove condizioni di sviluppo e di lavoro, tutte cose che un’olimpiade sottende, può servire a detta di Mosca a normalizzare la regione. La strategia, che ha un occhio di riguardo per i tanti giovani senza prospettive e per questo sensibili alla propaganda del radicalismo, non è nuova. A Grozny, dopo la fine della seconda guerra cecena, Mosca ha fatto piovere miliardi e miliardi di rubli, ricostruito l’intera città, portato nuove infrastrutture, edificato palazzi all’ultimo grido, aperto decine di cantieri. Inoltre, in campo c’è un altro grande progetto, collegato parzialmente proprio a Sochi 2014: fare del Caucaso un grande distretto turistico, capace di accogliere dieci milioni di visitatori a stagione. Il piano viene portato avanti da Northern Caucasus Resorts, compagnia pubblica impegnata nella costruzione, nella regione, di alberghi e strutture di accoglienza. Non sarà facile, ad ogni modo.

La questione circassa

Ma torniamo a Dokka Umarov. A quella sua frase in cui evoca la “profanazione” olimpica, il fatto che a Sochi si faccia colare cemento sulla terra dove sono sepolti così tanti musulmani. È da questa stessa considerazione che i circassi, popolazione autoctona di fede musulmana sfrattata al tempo della conquista russa del Caucaso, nell’800, hanno intrapreso una campagna volta a contestare l’organizzazione dei giochi olimpici. Una campagna stampa e di sensibilizzazione, che nulla ha a che vedere con i mezzi e i fini propugnati dall’islamismo caucasico militante.

Finora della questione circassa non si è parlato troppo, quanto meno sui media italiani. Ma c’è da credere che presto, con l’avvicinarsi della data olimpica, il 7 febbraio prossimo, potrebbe rimbalzare sulle cronache, con tutto il corredo di iniziative messe in campo. C’è la richiesta di riconoscimento del genocidio circasso (si calcola che 1,5 milioni di persone siano state coattamente deportate), ci sono le cifre (il 90 percento dei circassi vive all’estero), le petizioni online e persino un concorso con cui lanciare una contro-mascotte da opporre, nei giorni dei giochi, a quella ufficiale. E poi, neanche a dirlo, ci sono le immancabili richieste di boicottaggio. Alcune testate che hanno fatto propria la causa circassa, tra queste alcuni giornali turchi, hanno denunciato che Mosca ignora volutamente il fatto che, intorno a Sochi, c’è una gigantesca fossa comune, con i resti delle migliaia di vittime (300mila secondo fonti locali). Ma, si sa, la chiamata al boicottaggio olimpico non ha mai raccolto troppo seguito.

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