Dall’omofobia ai lager,
in Russia l’omosessualità va curata

Da Reset Dialogues on Civilizations

“Delitti d’onore”, ubijstva chesti, così si chiamano in Cecenia le eliminazioni dei presunti omosessuali ad opera delle stesse famiglie di appartenenza, interessate, per l’appunto, a preservare il proprio “onore” e allontanare la vergogna.

Di recente hanno fatto scalpore le notizie di un campo di concentramento in Cecenia, dove – come documenta la Novaya Gazeta – circa 100 persone sono state rinchiuse a causa, apparentemente, del loro orientamento sessuale.

Le organizzazioni umanitarie, prima fra tutte la LGBT Network di Olga Borovna, che si è occupata di offrire riparo e mediare per la scarcerazione di questi sfortunati detenuti, ha riportato le violenze da essi subite, che spaziano da percosse con tubi di gomma a scosse elettriche.

Sullo sfondo di quanto accaduto, un assordante silenzio. Il silenzio di una società, quella russa, che stando ai sondaggi considera “ancora” l’omosessualità come una malattia. Il silenzio delle autorità, per le quali il ritorno ai valori della tradizione ortodossa si configura come strumento politico, funzionale al perseguimento di determinati obiettivi sul piano interno e sul piano internazionale.

Il quadro legale

La legge federale russa “Volta a proteggere i bambini dalle informazioni che invocano il diniego dei valori familiari tradizionali”, detta anche “legge contro la propaganda omosessuale” è stata approvata dalla Duma di Stato l’11 giugno 2013.

Con una formulazione piuttosto vaga che lascia adito a molteplici interpretazioni e dunque applicazioni, la legge punisce con multe salate o con l’espulsione dal paese – nel caso in cui il reato sia stato commesso da cittadini stranieri – coloro che in propagandino “rapporti sessuali non tradizionali”. Il testo, condannato dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa e da molte ONG come Amnesty International e Human Rights Watch, è stato giudicato come fortemente discriminatorio e nonché come possibile base giustificativa di atti di violenza omofoba.

Il quadro sociale

Già dal 2006, le manifestazioni dei gay pride non sono più autorizzate in Russia. Gli episodi di violenza in Cecenia non hanno avuto quasi nessuna eco a Mosca, dove l’unico giornale che ne ha parlato brevemente è stato la Novaya Gazeta, peraltro denunciata dalle autorità cecene per diffamazione.

L’opinione pubblica russa non ha mostrato negli anni una particolare affezione per questa causa. Tutt’altro. I sondaggi del Levada Center propongono un interessante confronto su questo tema negli anni 2013 e 2015, cioè prima e dopo le fasi cruciali della crisi ucraina. I dati che saltano all’occhio sono quelli che riguardano una crescente attitudine negativa nei confronti degli omosessuali: diminuisce il numero di coloro che pensano che debbano essere lasciati in pace, mentre aumenta quello di coloro che si sentono a disagio quando interagiscono con persone omosessuali.

Il sondaggio fornisce altri dettagli come quello del 37% degli intervistati che sostiene che l’omosessualità sia una malattia da curare con i mezzi della medicina.

Sebbene tristi da riferire, probabilmente questi dati non sarebbero dissimili da quelli di alcuni paesi “avanzati” dove queste opinioni non sono socialmente ammissibili; paesi dove tuttavia, a discapito di ciò, non ci sono restrizioni simili a quelle russe.

La questione morale come strumento politico

In una società così fortemente tradizionale come quella cecena, essere omosessuali è semplicemente inaccettabile. Esistono tuttavia elementi che fanno pensare che non si tratti “soltanto” di una persecuzione di carattere “morale”. La Novaya Gazeta riporta che tra gli arrestati ci sono persone vicine al capo per gli affari religiosi in Cecenia e anche due famosi conduttori televisivi; questo fa pensare che, nel regime di Ramzan Kadyrov, anche questo sia un modo – piuttosto efficace – di eliminare gli oppositori.

È però opportuno riflettere su un altro punto, che trascende la particolarità dell’episodio ceceno.

In misura minore prima, ma soprattutto dopo la crisi in Ucraina, il Cremlino ha iniziato a insistere in maniera decisa sull’eccezionalismo culturale e la missione civilizzatrice della Russia, per il tramite di alcune personalità con tendenze fortemente nazionaliste che si sono via via affermati come opinion leader.

In quest’ottica, i valori russi misti tra tradizione slava e ortodossa figurano “incompatibili con il percorso liberale occidentale così come da quello comunista” come ha dichiarato il Ministro russo per la cultura nel 2014. Alla luce di ciò si comprende anche la convergenza con i partiti euroscettici che sposano valori conservatori, si oppongono ai diritti degli omosessuali e all’accoglienza degli immigrati.

L’obiettivo politico sotteso a questo rinvigorirsi dei valori tradizionali è dunque quello di rafforzare un sentimento identitario russo e consolidare il consenso per il regime e le sue scelte politiche, spesso dispendiose in termini non solo economici ma anche di vite umane. Parallelamente, queste convinzioni esprimono ancora una volta la frustrazione della Russia che non si vede ancora riconosciuto il ruolo leader sul piano internazionale che sfocia in una decisa opposizione all’occidente e ai suoi valori, di cui l’accettazione di tipi diversi di sessualità è forse uno degli esempi più lampanti.

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