“Palestina per principianti”, da Bologna a Doha con la Cisgiordania nel cuore

Da Reset-Dialogues on Civilizations

La nona edizione dell’Aljazeera International Documentary Film Festival parla italiano – bolognese, per la precisione – ospitando quest’anno la pellicola del regista Francesco Merini, “Palestina per principianti – Educazione sentimentale di un bassista rockabilly”. Per Doha, Francesco è partito con un bagaglio pieno di curiosità: “Sono contento di partecipare a questo Festival che negli ultimi anni è cresciuto parecchio, diventando anche abbastanza importante. Ho visto che ci sono tantissimi film in concorso e spero di riuscire a vederli e magari trovare il tempo anche di farmi un giro a Doha”.

Al Festival, dove i film sono divisi per categorie, in base alla loro durata, “Palestina per principianti” concorre tra i film medi. I premi, in denaro, non saranno cifre da far girare la testa (il premio principale, Aljazeera Golden Award per i film della categoria Medium, si aggira sugli 8300 euro), ma sarebbero senza dubbio utili a chi ha prodotto un film a suon di concerti: Francesco, infatti, alterna la cinepresa alle bacchette della batteria. Suona da anni con i Lou del Bello’s, band ska bolognese, con la quale, nell’estate del 2009, ha deciso di andare a insegnare musica ai bambini palestinesi.

“Palestina per principianti ” nasce proprio così, come progetto musicale prima che cinematografico – e “sociale”, specifica Merini, prima ancora che musicale. Il regista definisce il suo film come “un romanzo di formazione”. E in effetti la figura di Zimmy, bassista del gruppo e protagonista del documentario, sembra prendere una maggiore coscienza di sé attraverso la progressiva conoscenza della realtà palestinese. Sarà anche perché è enorme il salto, dalla solarità di Bologna al grigiore di uno dei campi profughi più piccoli della Cisgiordania.

Al refugee camp di Al’Aza di spazi verdi non ce ne sono, solo il grigio dell’asfalto, quello dei muri di case tutte uguali e l’azzurro, lontanissimo, oltre il muro di otto metri che circonda Betlemme. Un grigio reso ancora più cupo dal tormento del ritorno. Qui tutti i 1500 rifugiati sognano Beit Jibrin, il paese delle loro origini, anche se la maggior parte di chi vi è nato è ormai morta. Dai tempi della nakba, la “catatrofe” del 1948, Beit Jibrin è nella bocca e nelle preghiere di tutti. Da ormai quattro generazioni il pensiero della terra dei padri dei propri padri è diventato un chiodo fisso, un assillo, un sogno da seguire con determinazione. “In tutta la mia vita non ho mai visto il mio villaggio, ma so che questa non è casa mia”, dice Mohanned Al Azzah parlando del campo profughi. Per far divertire i bambini di Al’Aza in mezzo alla natura, lui – fondatore del centro culturale Handala – organizza ogni estate campi estivi dove i bambini dimenticano per qualche settimana la realtà tetra del campo profughi, alternando i giochi, alle recite e alle lezioni di musica.

L’idea di “Palestina per principianti” nasce quando i Lou del Bello’s entrano in contatto con la possibilità di volare fino in Palestina per animare questo campo estivo. “Il progetto inizialmente era quello di andare al campo profughi di Al’Aza a insegnare musica ai bambini. Un progetto sociale prima che musicale. E visto che io di lavoro faccio il film maker, abbiamo subito pensato di provare a raccontare il nostro viaggio con un documentario”.

Così racconta Francesco Merini – autore, oltre che regista del film, insieme a Jacopo Bonvicini e Emilio Distretti, anche loro membri della band. “Avevamo le idee chiare sin dall’inizio. Abbiamo pensato alla complessità del tema, difficile da conoscere, anche perché la maggior parte dei documentari che avevamo visto ci erano sembrati troppo militanti, troppo già dentro la questione. Per questo abbiamo pensato di partire da uno sguardo semplice, da principianti, appunto, e raccontare la storia dal nostro punto di vista. L’abbiamo impostata provando ad usare molta leggerezza, un po’ come fosse una commedia – consapevoli che sarebbe stata una commedia amara, vista la drammaticità del tema – e concentrandoci maggiormente sugli aspetti umani, anche perché solitamente, quando si parla di Palestina, si finisce per parlare di violenza”.

E l’umanità, nonostante tutto, trasuda da ogni frammento di questo documentario, in cui le voci si moltiplicano grazie agli incontri con la giovane Mirna e i racconti di sua nonna Um Yunis, Naji “il Baffo” e il suo orgoglio palestinese, Maher che non sa come nascondere ai figli la sua paura di finire come la signora Um Kamel che, da quando è stata costretta a lasciare la sua casa, vive in una tenda continuamente sotto attacco.

“Quando siamo arrivati, siamo stati accolti molto calorosamente”, spiega Merini. “I palestinesi sanno che la prospettiva israeliana è molto più forte, almeno da un punto di vista mediatico e quindi hanno voglia di far conoscere le loro storie e il loro punto di vista. Ovunque si va si trova una grande apertura e voglia di raccontarsi: un’esuberanza vera e travolgente”.

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