Midterm Usa, le quattro ragioni della disfatta dei dem

La Repubblica americana non è finita la scorsa settimana perché i conservatori Repubblicani hanno conquistato il Senato. I conservatori Repubblicani hanno conquistato il Senato perché la Repubblica è ormai al tramonto, nella misura in cui Democratici liberali e libertari Repubblicani hanno cavalcato quattro nuove devastanti asimmetrie della vita nazionale americana: quelle nei settori della sicurezza, della libera espressione, degli investimenti e del marketing dei consumatori. Tali abissali squilibri di potere hanno travolto i meccanismi elettorali, delegittimando la Repubblica capitalista liberale che aveva promesso di dare alla sicurezza, alla libertà di parola, agli investimenti e al marketing significati ed esiti nettamente diversi rispetto a quelli raggiunti.

Solo una rivoluzione della cittadinanza americana degna di Nathan Hale, Mahatma Gandhi, Martin Luther King Jr. (che da Gandhi aveva imparato moltissimo), Vaclav Havel e – ebbene sì – Edward Snowden può salvarci dall’ennesimo spettacolo di politici imbecilli che perdono tempo a discutere del sesso degli angeli.

Sicurezza: quando nel 2001 dei voli di linea americani hanno messo in ginocchio la superpotenza statunitense, l’evento ha scosso dalle fondamenta la premessa trainata dal dollaro che un establishment massiccio e militarizzato fosse in grado di proteggere una società aperta. Ma invece di riconsiderare i presupposti e le politiche su cui si basava, il “complesso militare-industriale” da cui Dwight Eisenhower ci aveva già a suo tempo messo in guardia ha preferito riprendersi dal trauma dell’11 settembre trasformandosi in un direttorato globale all’insegna del “trova-e-distruggi”, pressoché indipendente dalla governance democratica, che rende l’America sempre meno disponibile a quella disciplina di volontariato civico, trasparenza e fiducia che da sola è capace di reggere una repubblica.

Di certo, l’innovazione tecnologica sta innescando una trasformazione orwelliana della sicurezza “in patria” attraverso le tecniche di vigilanza. Henry Kissinger avverte come “il Comandante del Cyber Command statunitense abbia predetto che la prossima guerra scoppierà nel cyberspazio” e che si tratterà di un conflitto asimmetrico. Ma la prospettiva che il nostro vasto comparto militare possa rischiare di venire paralizzato dagli hacker rende la “cura” prescritta al sistema di sicurezza nazionale altrettanto pericolosa del morbo del terrorismo in sé. Non solo i liberali, ma anche e soprattutto i libertari conservatori, che a lungo hanno ironizzato sulla linea del “Sono del governo e sono qui per aiutarla”, colgono bene la portata di questa minaccia in materia di “sicurezza”.

Non c’è da stupirsi che Edward Snowden, un libertario conservatore di 29 anni, abbia compiuto un così grande sacrificio per metterci in guardia sul fatto che con un solo “click della politica” qualunque amministrazione era in grado di usare l’ingente database della National Security Agency per congelare la facoltà dei singoli americani di esercitare le più basilari libertà in tema di espressione e azione politica. Secondo Snowden, la paura di tale abuso sta tuttora spingendo a un’autocensura degli utenti online e bloccando il dibattito pubblico.

Snowden colpisce oggi gli spettatori del documentario di Laura Poitras a lui dedicato, “CitizenFour”, in cui appare come un cittadino coraggioso e con la testa sulle spalle che ci ricorda Nathan Hale, altrettanto giovane all’epoca in cui è stato impiccato, nel 1776, per aver sfidato l’unico governo “legittimo” ai suoi tempi – un regime monarchico, mercantile, multinazionale – in difesa della nascente repubblica. Oggi, Snowden sta sfidando ciò che quella repubblica è diventata.

Com’era prevedibile, alcuni considerano Snowden un traditore, esattamente come alcuni suoi contemporanei consideravano Hale. Ma proprio come si dice che Hale avesse affermato, con straordinaria compostezza e coraggio, appena prima di essere impiccato, “Il mio unico rimpianto è quello di avere una vita sola da donare al mio Paese”, così Snowden ha scritto: “l’amministrazione Obama non ha paura degli informatori come… me. Siamo apolidi, imprigionati o impotenti. No, l’amministrazione Obama ha paura… di un pubblico consapevole e arrabbiato che chiede il governo costituzionale che gli è stato promesso – e che dovrebbe essere”. Che l’analogia con Hale non sia una forzatura non è un dato che dovrebbe preoccupare in sé; più preoccupante è la crescente asimmetria tra ciò che l’Inghilterra del Diciottesimo secolo ha imposto allo spirito repubblicano di Hale e ciò che ha gli strumenti per imporre a chiunque grazie alla stretta collaborazione con la nostra NSA, stando a quanto raccontato dal documentario della Poitras e dal The Guardian.

Espressione: Un’asimmetria altrettanto agghiacciante tra cittadini che manifestano le proprie espressioni ed entità incorporee si è sviluppata non solo nell’ambito della sorveglianza ma anche nella giurisprudenza recente, che ha contribuito a peggiorare l’annosa tendenza a mettere sullo stesso piano aziende e persone fisiche. Sentenze come quella relativa a Citizens United riducono la sovranità dei cittadini rispetto al mercato, di cui entrambi i Roosevelt si erano fatti paladini, a una futile “sovranità dei consumatori” in ambito commerciale. I mercati non possono configurarsi come liberi e aperti, né i loro attori possono nutrire effettive speranze di benessere, in mancanza di una regolamentazione idonea e a tratti aggressiva. I direttori commerciali di oggi, tesi a massimizzare a qualunque costo il valore azionario, incapaci di una pianificazione a lungo termine che rischi di compromettere i loro guadagni a breve scadenza, annullano i peculiari contributi che il mercato potrebbe dare alla società corrompendo i politici che nelle intenzioni dei cittadini che li hanno eletti avrebbero il compito di controllare quello stesso mercato.

Ciò avviene attraverso il finanziamento o comunque la complicità in campagne elettorali dai costi proibitivi perché sovradeterminate dalla pubblicità che viene fatta sui media unicamente orientati al profitto. La Corte Suprema ha esacerbato tale asimmetria. Non esiste libertà di espressione in una qualsiasi accezione repubblicana se un ristretto manipolo di investitori e manager d’azienda ha in mano un megafono mentre gli altri hanno la laringite a forza di sbattersi per essere ascoltati: come se non bastasse, nel 2012 per aggiungere il danno alla beffa, ai manifestanti di Occupy sono stati appunto negati i megafoni nella protesta contro la catastrofe economica e sociale prodotta dalla deregolamentazione dei mercati.

Investimenti: Un altro insulto all’intelligenza è stata la pretesa che la Repubblica fosse in crisi perché zia Millie voleva la previdenza sociale e i vigili del fuoco la pensione. È un desiderio tanto più forte oggi che un sistema di finanziamenti rapace e simil-casinò ha privato milioni di americani di un lavoro e di una casa o ne ha degradato gli stipendi e le condizioni lavorative, perlopiù in virtù di asimmetrie che sono connaturate al capitalismo stesso.

Un autore inglese dell’inizio del Ventesimo secolo, R. H. Tawney, ha posto l’accento sulla “psicologia ingenua dell’uomo d’affari, che attribuisce i propri successi alle sue sole forze, nell’ironica inconsapevolezza di un ordine sociale senza il cui appoggio costante e senza la cui vigile protezione sarebbe solo un agnello che bela nel deserto”. Con queste sue parole, scritte nel 1926, Tawney ha curiosamente anticipato sia le reazioni degli investitori al disastro che si sarebbe verificato tre anni più tardi che gli avvertimenti di oggi della senatrice Elizabeth Warren.

Il crollo del Sogno Americano è anche in parte una conseguenza dell’intensificarsi a livello globale delle asimmetrie del capitalismo: le iniziative imprenditoriali transnazionali che sfuggono alla regolamentazione e alla pressione fiscale costringono i governi a competere tra loro per conquistarle tralasciando i bisogni pubblici fondamentali ancor più di quanto non abbiano già fatto lasciandosi corrompere a casa propria. L’intuizione di mercato rappresentata dal focalizzarsi su investitori, lavoratori e consumatori considerandoli individui fondamentalmente egoisti e dediti ai propri interessi si è ben presto trasformata in stupidità, nella misura in cui i mercati dimenticano le conseguenze sociali delle spirali che innescano. Ecco perché abbiamo bisogno di una democrazia che tenga il passo con la plutocrazia per mezzo di una forte regolamentazione transnazionale. Già all’epoca di Nathan Hale, i partecipanti al Boston Tea Party hanno sfidato la Compagnia delle Indie Orientali, una delle prime multinazionali al mondo. Gli apostoli del benessere globale come Fareed Zakaria – e forse anche i libertari come Edward Snowden – dovrebbero rivisitare quella pagina della storia sia americana che globale.

Lo stesso dovrebbero fare gli apostoli del mercato in aree del mondo che non hanno mai avuto figure del genere, e che oggi promettono di emancipare società tribali e popolazioni di agricoltori mercificando case e aziende agricole che non hanno mai presentato elementi atti a configurarle come un capitale. Come avverte il politologo Benjamin Barber nel suo libro “Consumati”, a meno di una forte regolamentazione politica che “metta le nuove forme di capitale recentemente emerse al riparo da sfruttamenti e abusi”, un’economia che “svela, legittima e di conseguenza cattura” beni in passato privi di uno status giuridico spiana la strada a rapaci e usurpatorie violazioni di quei beni stessi.

Marketing dei consumatori: Queste nuove scoraggianti asimmetrie in materia di sicurezza, espressione e investimenti possono essere attenuate solo grazie all’opera di milioni di cittadini vigili e impegnati come Snowden ed Elizabeth Warren. Invece il nostro corpo politico è ormai talmente prosciugato della trasparenza e della fiducia che ci vorrebbero che abbiamo lasciato che un tribunale confondesse la libertà di espressione di cittadini in carne e ossa con l’incorporea ricchezza di anonimi azionisti e abbiamo consentito che i legislatori – vuoi perché corrotti, vuoi perché intimiditi – ci rendessero inermi rispetto agli assalti delle paure e delle lusinghe di mercato che stanno dissolvendo quell’ethos democratico specificatamente americano definito dallo storico della letteratura Daniel Aaron “etico e pragmatico, disciplinato e libero”.

Cosa ci vorrebbe per risvegliare ed emancipare i cittadini, strappandoli all’isolamento, all’inebetimento e allo sconforto? La possibile risposta implica rompere il circolo vizioso che un mercato sregolato ha imposto non solo creando svantaggi e divisioni tra i consumatori che si presumeva dovessero essere sovrani, ma anche precipitandoli attivamente nell’esitazione e nel degrado.

Il morbo che oggi investitori e manager incarnano e con cui stanno contagiando tutti gli altri consiste nella loro specifica incapacità di sopportare difficoltà nell’immediato pur di ottenere vantaggi a lunga scadenza: non riescono a tollerare una pianificazione a lungo termine, né a differire le ricompense derivanti da una gratificazione a breve scadenza. Quel che il capitalismo sta oggi diventando non lo consente più, il caos seminato rende il processo deliberativo democratico impossibile e carica di fascino le non-soluzioni autoritarie.

Molti americani, iperstressati e sovraeccitati, si sono adattati a vivere all’insegna di varianti della logica della forza e dell’inganno che sfociano in episodi di furia da strada: il fuggi-fuggi mortale dei fanatici dello shopping nei giorni di saldi; le sofisticate (e ampiamente commercializzate) precauzioni in materia di sicurezza contro le effrazioni a mano armata nelle abitazioni private; la gladiatorizzazione delle discipline sportive; il nichilismo dell’intrattenimento che feticizza la violenza decontestualizzata e il sesso privo di qualsiasi coinvolgimento emotivo; le micro-aggressioni nei rapporti quotidiani; lo stuzzicare e provocare sul piano commerciale vita privata e spazi pubblici per il marketing dei beni di consumo corrente; e una vera e propria “industria” carceraria tesa a scoraggiare o punire individui violenti, dall’esistenza degradata, perlopiù non bianchi, al punto da trovare scuole – anche nei quartieri più bianchi e “sicuri” – paralizzate dal terrore dei giustizieri bianchi che spesso sono loro stessi degli studenti.

Stressati da questa situazione di squilibrio del contesto repubblicano, milioni di cittadini stanno spendendo miliardi in palliativi, rimedi, sostanze che danno dipendenza e addirittura misure di sorveglianza che hanno il solo scopo di proteggerli da se stessi.

Tutte queste fiale, siringhe, sistemi di sicurezza e ricorso alle armi riflettono l’instillarsi di quello che Edward Gibbon ha definito “un lento e subdolo veleno nelle parti vitali dell’impero…”, penetrato fino al punto che il popolo Romano, dopo aver ceduto in cerca di una sicurezza la propria repubblica nelle mani di individui autoritari, “non possedeva più quel coraggio pubblico che si nutre di amore per l’indipendenza, senso dell’onore nazionale, presenza del pericolo, attitudine al comando. Riceveva leggi e governanti dal libero arbitrio del proprio sovrano, e affidava la propria difesa a un esercito di mercenari”.

Se la situazione appare in qualche misura ancora più grave di quanto in realtà non sia, ciò dipende in parte da media maniaci del profitto che sensazionalizzano gli aspetti peggiori e ignorano ciò che così male non va. Alcuni di noi si sentono oggi come gli antichi cittadini della Roma repubblicana che, ricordando la propria passata libertà, pensavano – per citare Tito Livio – di essere ormai “troppo malati per sostenere sia il peso del proprio male che quello della sua cura”. A Davos, alcuni leader dell’élite economica e strategica hanno analizzato il relitto della sfera pubblica di cui essi stessi sono stati artefici e sono arrivati alla conclusione che, dopotutto, la gente vada governata. Peccato che questi aspiranti leader siano a malapena in grado di governare se stessi.

Se c’è un lato positivo nel fatto che Snowden abbia dovuto sacrificare tutte le proprie energie nella lotta allo Stato, è che la sua battaglia gli ha risparmiato i perversi compromessi fatti dai conservatori libertari e dediti al libero mercato che non riescono a conciliare il proprio sincero impegno nei confronti della libertà connaturata all’ordine repubblicano con la stupida e supina obbedienza alle rapide di un mercato sregolato che sta polverizzando la virtù e la sovranità repubblicana sotto i loro stessi occhi.

Il capitalismo globale ha liberato il genio del potere dalle lampade del nazionalismo in cui i governi democratici detengono ancora una certa forza e, con essa, una qualche legittimità. La diplomazia internazionale, in passato guanto di velluto sul pugno di ferro del potere statale, si trova spesso oggi unicamente a coprire la vacuità di un “valore azionario” perennemente incostante guidato dagli algoritmi. L’Africom americano potrebbe presto trasformarsi in un servizio di sicurezza a noleggio per i nuovi investitori/proprietari cinesi di quel continente.

Nel frattempo, in Cina, in Africa e negli stessi Stati Uniti, i veri cittadini sono rimasti da soli. Ma lo stesso era accaduto quando Natan Hale aveva sfidato un impero britannico all’apparenza inespugnabile (così come aveva fatto Gandhi, liquidato da Winston Churchill come il “fachiro nudo”). E lo stesso è successo quando Martin Luther King Jr., insieme ai poveri fedeli neri, disarmati e tremanti, ha fatto il suo ingresso nelle piazze del Sud fronteggiando gli uomini armati e i cani protagonisti di quello che una volta anche il giudice Clarence Thomas ha definito un sistema “totalitaristico” di segregazione. O quando uno sventurato drammaturgo di nome Vaclav Havel ha sfidato insieme ad altri attivisti sovietici dell’Europa dell’Est un massiccio Stato di sicurezza che pochi in Occidente credevano avrebbe potuto cedere il passo. Lo stesso sta accadendo oggi, nel momento in cui Snowden sfida ciò che la Repubblica americana è ormai diventata. Il controllo del Senato conterà quanto dovrebbe solo quando riuscirà a rispecchiare una convergenza tra l’ostinata determinazione di libertari come Snowden e liberali controrepubblicani come la Warren a sovvertire la democrazia e l’altrettanto ostinata opera di sminuimento che i democratici ne stanno facendo.

Articolo pubblicato il 5 novembre 2014 sul sito Salon.

Traduzione di Chiara Rizzo

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