Egitto: il ruggito di Mahalla al-Kubra,
polo industriale del Delta del Nilo

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Domenica 3 aprile la produzione a Mahalla al-Kubra, uno dei più importanti poli industriali del comparto tessile egiziano, si è nuovamente interrotta.

Questa volta però, non è stato il gigantesco complesso tessile della Misr Spinning and Weaving Company (MSWC) ad andare in sciopero, ma la più modesta – almeno per numero di lavoratori impiegati – Nile Cotton Ginning Company (NCGC). Le proteste sono scoppiate come risposta alla decisione unilaterale presa dal Direttore del consiglio d’amministrazione della fabbrica, Abdel Moneim El Sarfi, di cancellare i bonus che mensilmente vengono pagati ai lavoratori. Così, questi si sono trovati a dover fare affidamento solamente sul loro salario di base: 400 pound in valuta egiziana. Ovvero, circa 50 euro. Come dichiarato animosamente da uno dei lavoratori in sciopero a Masr al-Arabiya, questo non è in alcun modo sufficiente per provvedere al mantenimento di una famiglia. Le richieste degli scioperanti, comunque, non si sono concentrate solamente sull’immediata reintroduzione dei bonus cancellati, ma hanno anche riguardato il pagamento di tre mensilità arretrate, la ri-statalizzazione dell’azienda che è stata privatizzata nel 1997, e l’adeguamento al salario minimo di 1200 pound introdotto dallo stesso Generale al-Sisi nel gennaio 2014, provvedimento rimasto largamente evaso.

Nella preparazione delle proteste, che al momento della stesura di questo articolo rimangono in corso, i lavoratori hanno potuto fare affidamento sulla lunga e militante storia di scioperi che ha caratterizzato la NCGC. In particolare, dopo che nel 2013 la Corte Suprema Amministrativa, confermando una sentenza del dicembre 2011, ha dichiarato illegale la privatizzazione del 1997, l’applicazione di questa disposizione è divenuta una dei principali motivi di sit-in e proteste dei lavoratori, che hanno così acquisito una certa familiarità con azioni eclatanti di contestazione.

Anche se le proteste non hanno riguardato – almeno per il momento – la MSWC, la notizia di un nuovo sciopero a Mahalla al-Kubra ha trovato ampia diffusione su quei canali mediatici scarsamente controllati dal regime. Difficile meravigliarsi di ciò. Dopotutto, quasi ogni momento catartico della storia contemporanea egiziana ha visto Mahalla, ed in particolare la MSWC, indiscussa protagonista.

La MSWC è stata fondata nel lontano 1927, e la decisione di impiantarla a Mahalla al-Kubra non fu certamente casuale. Da un lato, infatti, vi era la volontà di una parte dell’establishment egiziano di portare avanti un processo di industrializzazione che potesse liberare economicamente il paese dal dominio coloniale britannico. Dall’altro, però, prendendo atto dell’esistenza di un cosciente e militante movimento di lavoratori nei sobborghi cairoti, si preferì posizionare il nuovo gigante industriale in un distretto completamente agricolo, dove non esisteva nessuna forma e tradizione di resistenza operaia. Lo scopo era chiaro: avere una docile e mansueta manodopera. Nonostante questi accurati calcoli, la realtà giocherà un colpo gobbo ai freddi calcolatori governativi, ed i lavoratori della MSWC presto emersero come una delle punte più avanzate dell’opposizione al potere costituito. In particolare, lo straordinario sciopero che coinvolse i 26.000 lavoratori della fabbrica nel settembre-ottobre del 1947 e che si riverberò negli altri centri produttivi del paese determinò l’ulteriore destabilizzazione della debole monarchia di Re Faruk, aprendo così le porte al colpo di stato di Gamal Nasser nel 1952. Non casualmente, quando questi dopo la crisi del canale di Suez nel 1956 abbracciò con forza un capitalismo di Stato fatto di forte interventismo del governo in economia ed espropriazioni ai danni delle multinazionali straniere, proprio la MSWC fu la prima fabbrica ad essere nazionalizzata.

Non solo passato però, perché Mahalla al-Kubra ha anche giocato un ruolo decisivo nello sviluppo di quel movimento che è poi sfociato nei famosi diciotto giorni di piazza Tahrir e nella conseguente caduta di Hosni Mubarak nel febbraio del 2011. Tutto prende avvio nel marzo del 2006 quando il Primo Ministro Ahmed Nazif promise un aumento del bonus annuale pagato a tutti i dipendenti pubblici da 100 pound egiziani all’equivalente di due mensilità. Con l’avvicinarsi di dicembre – la data consueta del pagamento del bonus – i lavoratori cominciarono ad essere ansiosi. Purtroppo però, come ricordato da un caposquadra nella fabbrica di Mahalla, Muhammad al-Attar, nelle loro buste paghe i lavoratori trovarono “i soliti vecchi 100 pound. Anzi, 89 per essere precisi, dato che c’erano detrazioni per tasse e welfare sociale”. Il 7 dicembre la produzione a Mahalla cessò completamente, con i lavoratori che – galvanizzati dallo spirito combattivo della componente femminile – occuparono lo stabilimento per quattro giorni e tre notti. La trattativa con le autorità si risolse in un completo successo per i lavoratori che ottennero quarantacinque giornate lavorative di bonus, assicurazioni che la fabbrica non sarebbe stata privatizzata, e la promessa che se i profitti dell’azienda avessero superato i 60 milioni di pound il 10 percento di questi sarebbe stato ridistribuito ai lavoratori. La vittoria di Mahalla produsse un effetto valanga, con le proteste che si diffusero in tutto il settore tessile, e ben oltre questo. Il movimento operaio assunse così nuova forza, producendo la “più lunga e duratura ondata di scioperi dai lontani anni Quaranta”. Una tappa decisiva in questo lungo percorso ebbe ancora Mahalla come protagonista. Certamente lo sciopero generale del settore tessile in tutto il Delta del Nilo, proclamato per il 6 Aprile 2008, non ebbe gran successo per la fortissima pressione esercitata dal regime, ma Mahalla fu l’epicentro di due giorni di violente manifestazioni ed il Movimento 6 Aprile – che molto avrebbe fatto parlare di sé – prese forma.

Le concitate fasi della Rivoluzione egiziana e della successiva e vittoriosa restaurazione guidata da al-Sisi ci conducono ad un presente che vede la MSWC nuovamente alla testa del movimento operaio egiziano. Anche se il numero di lavoratori concentrati in questo gigante industriale è sceso dai 24.000 dell’epoca Mubarak ai circa 17.000 attuali, lo spirito combattivo è rimasto lo stesso. E lo scorso ottobre un lunghissimo sciopero di 11 giorni è andato in scena. Ancora una volta la causa scatenante è stata l’incapacità delle autorità di mantenere fede ai patti presi. In settembre infatti, il Feldmaresciallo divenuto presidente aveva assicurato un extra-bonus del 10% a tutti i lavoratori del settore pubblico. All’arrivo dei salari di ottobre però, i lavoratori hanno trovato il consueto – misero – compenso. Una rabbia che si è così sommata al mancato adeguamento dei salari agli standard minimi fissati dal regime stesso a 1200 pound mensili. Misura che, come abbiamo già visto precedentemente, nella pressoché totalità delle imprese a Mahalla al-Kubra non ha mai trovato applicazione. E così alla MSWC si continua a guadagnare tra i 600 e gli 800 pound mensili, ovvero meno di 100 euro. L’ondata di scioperi partita da Mahalla si è poi rapidamente allargata ad altre storiche roccaforti del movimento operaio egiziano. A Kafr al-Dawwar, alle porte di Alessandria, nel secondo più grande complesso tessile del paese proprio dopo quello di Mahalla, settemila operai hanno incrociato le braccia per sei giorni, mentre blocchi della produzione più sporadici si sono avuti anche nel grande centro di produzione di acciaio e ferro ad Helwan – estrema periferia meridionale del Cairo – e alla Tanta Flax and Oils Company – sita nell’omonima cittadina del delta del Nilo.

Le proteste scoppiate la scorsa domenica alla NCGC rimangono per il momento isolate. Tuttavia, se queste dovessero allargarsi fino a coinvolgere la MSWC, una nuova e potente sfida potrebbe essere portata al regime di al-Sisi, sempre alle prese con un diffuso malcontento sociale per le sue politiche iper neoliberiste. Anche perché, come la recente storia ci ricorda, il ruggito di Mahalla al-Kubra è in grado di scuotere le fondamenta dell’intero sistema-paese egiziano.

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