Libia, il «golpe» Haftar e la resa dei conti per i Fratelli musulmani

Da Reset-Dialogues on Civilizations

«Karama» (Dignità) è il nome che ha scelto il generale in pensione Khalifa Haftar per denominare l’operazione che tra il 16 e il 18 maggio scorso ha messo a soqquadro la Libia. Haf­tar, for­ma­tosi in Unione Sovie­tica, ha par­te­ci­pato al colpo di stato del 1969 che portò al potere Muam­mar Ghed­dafi. Durante la guerra tra Libia e Ciad (1978–1987) Haf­tar venne fatto pri­gio­niero dall’esercito cia­diano e abban­do­nato dal colon­nello al suo destino. Venne libe­rato con l’intervento degli Stati Uniti dove ha vis­suto per venti anni. Accu­sato di spio­nag­gio da Ghed­dafi e rien­trato a Ben­gasi nel marzo 2011, Haf­tar venne nomi­nato capo delle forze di terra dal Con­si­glio nazio­nale di tran­si­zione (Cnt). Poco dopo la caduta di Ghed­dafi, 150 tra uffi­ciali e sot­tuf­fi­ciali lo nomi­na­rono capo di stato mag­giore. Ma l’operazione non venne mai uffi­cia­liz­zata. Nel feb­braio scorso, Haf­tar aveva già annun­ciato in un video l’intenzione di pro­muo­vere un’iniziativa con­tro il governo libico.

Haftar e i Fratelli musulmani libici

A poche ore dal tentato golpe, Haftar ha spiegato che lo scopo dell’operazione è liberare il Paese dai Fratelli musulmani e dagli islamisti radicali. Ha aggiunto di farlo per il popolo e di avere ampio sostegno tra i libici. È quanto è emerso da un’intervista al quotidiano Sharq al Awsat, rilasciata dall’ex comandante delle truppe di terra dell’«Esercito libero libico». Haftar ha ammesso di aver arrestato quaranta persone che hanno fornito passaporti falsi ai Fratelli musulmani libici per lasciare il Paese. L’ex premier Ali Zeidan aveva preceduto gli islamisti che in queste ore fanno le valigie, lasciando la Libia dopo un contestato voto di sfiducia del parlamento nel marzo scorso. Haftar ha chiesto poi al Consiglio superiore della magistratura libico di formare un consiglio di presidenza che guidi il Paese nella fase di transizione.

Anche questa volta l’attacco a orologeria al Congresso nazionale generale (Cng) libico delle milizie al Zintan è avvenuto in un frangente molto delicato. Si è svolto mentre stava per essere annunciata la formazione del governo del premier in pectore, Ahmed Maiteq, uomo d’affari vicino ai Fratelli musulmani libici. Non solo, gli uomini armati di Zintan hanno dato fuoco a un’area limitrofa al Cng – secondo i «golpisti» veniva usata per l’addestramento di jihadisti del movimento legato al terrorismo internazionale Ansar al Sharia.

La confraternita libica ha ottenuto la maggioranza dei voti alle politiche del 2012, ma ha deciso lo scorso febbraio, tra mille polemiche, di procrastinare fino a fine anno la durata del parlamento, nonostante le critiche di militari e società civile. Per questo l’intera operazione di Haftar è stata interpretata come un tentativo di liberarsi degli islamisti, impedendo la formazione di un nuovo esecutivo (il quarto dal 2011).

Secondo ricostruzioni riportate dal canale satellitare al Jazeera, a rendere possibile l’assalto al parlamento di Tripoli da parte dei miliziani di Zintan è stato il mancato rispetto delle consegne delle milizie filogovernative. I miliziani dello Scudo libico di Misurata si sarebbero rifiutati di obbedire alla richiesta di dispiegamento intorno al Congresso venuta dai Fratelli musulmani.

Per primo il presidente del parlamento, Nouri Abu Suhamein ha definito l’attacco un «tentativo di colpo di stato» puntando il dito contro i miliziani di Zintan e il generale Khalifa Haftar. Il ministro della Giustizia, Salah al Marghani si è affrettato invece a smentire ogni legame tra l’assalto al parlamento di Tripoli e la battaglia di Bengasi. Nella città della Cirenaica, gli aerei militari, guidati da Haftar, avevano causato ottanta vittime nella notte dello scorso venerdì. Contemporaneamente, dagli schermi della televisione privata Libya al Watan, il colonnello, Mokhtar Farnana, dicendo di parlare a nome dell’esercito, annunciava la «sospensione» del parlamento, confermata dal premier uscente, l’ex ministro della Difesa Abdullah al Thinni, in vista di elezioni anticipate.

L’accordo con i miliziani di Zintan

A cementare l’accordo tra il generale Haftar e i miliziani di Zintan – che tengono agli arresti in un luogo segreto il figlio del colonnello Muammar Gheddafi, Seif al Islam – c’è solo in apparenza il tentativo della conquista del potere in nome della lotta contro l’estremismo islamico. In verità, l’accordo nasconde l’uso strumentale che questi gruppi fanno del caos in cui è piombato il Paese dopo gli attacchi della Nato del 2011. E così, la lotta al «terrorismo», come viene rappresentata da Haftar, a cui si sono accodate le forze speciali, i paracadutisti di Bengasi e l’aviazione di Tobruk, riecheggia i toni usati dalle Forze armate egiziane nel golpe del 3 luglio 2013 che ha sostituito l’esecutivo guidato dai Fratelli musulmani, al potere da appena un anno, con un governo voluto dai militari. L’esercito libico tuttavia è estremamente frammentato e l’operazione «Karama» ha più i connotati di una resa dei conti tra vecchi nemici che usano le milizie armate come delegati per destabilizzare un Paese in cui è in corso un conflitto a bassa intensità sin dalla deposizione del colonnello Muammar Gheddafi nell’ottobre 2011. Le cui vittime però, qui come al Cairo, sono prima di tutto gli islamisti moderati che pur sempre hanno ottenuto una maggioranza parlamentare, sebbene ora scaduta. E così, il movimento internazionale dei Fratelli musulmani ha denunciato il tentativo di golpe in corso in Libia da parte di chi vuole rovesciare il risultato delle elezioni del 2012. Tra questi, il partito tunisino Ennahda ha contestato il tentativo di golpe in corso nel Paese.

Gli islamisti moderati libici, rispetto ai loro omologhi egiziani, non sono mai stati cooptati all’interno del sistema dal colonnello Gheddafi. Per questo hanno mantenuto legami stabili con i movimenti radicali, attivi nel Paese. Non solo, dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013, in Libia si sono rifugiati decine di islamisti moderati egiziani, colpiti dalla grave repressione, voluta dalle Forze armate al Cairo.

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