L’Egitto non è un Paese per comici

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Gli islamisti egiziani non hanno molto senso dello humor. Se uno dei primi provvedimenti del governo, targato Fratellanza, è stato di cancellare i graffiti anti regime che avevano ricoperto i muri del centro del Cairo durante le rivolte del 2011, negli ultimi mesi sono arrivate le censure alla stampa indipendente, al cinema e non ultimi i casi che hanno coinvolti i due maggiori comici egiziani. Il primo ha fatto la storia del cinema popolare nel Paese, Adel Imam, il secondo ha segnato un nuovo modo di impostare la satira politica ottenendo un successo immediato e senza precedenti, Bassem Youssef.

In Egitto, durante le manifestazioni di protesta di due anni fa e nei mesi seguenti, è nato un vero e proprio movimento di resistenza creativa, di blogger, rapper e graffitari. Questi giovani artisti per la prima volta hanno saputo usare le parole e la lingua del potere per criticare il regime. Se lo spazio del dissenso si è ristretto con il passare dei mesi, giovani e brillanti comici hanno ripreso questa tecnica “rivoluzionaria” di critica verso il regime con parodie dirette dei leader politici e del presidente della Repubblica, Mohammed Morsi, figure che fino ad ora erano tenute fuori dalla ridicolizzazione pubblica e da motti irriverenti. Nel febbraio 2011 aveva subito accuse di blasfemia il notissimo comico egiziano Adel Imam. Nei suoi film, particolarmente famosi gli sceneggiati  degli anni ottanta, il comico ha spesso preso di mira la religione. Imam è stato arrestato e poi rilasciato. Molti attivisti hanno criticato il comico anche per le sue controverse dichiarazioni sulle rivolte del 2011.

Il caso Bassem Youssef: da YouTube all’arresto per «blasfemia»
Ma ancora più evidente è il tentativo di censura che ha colpito Bassem Youssef, accusato di diffamazione nei confronti del presidente Morsi. Il procuratore generale Talaat Abdallah ha ordinato di indagare nei suoi confronti per «blasfemia», «insulti al Presidente» e «al prestigio dello stato». L’episodio incriminato è accaduto nel programma el-Barnameg, andato in onda sulla televisione privata Cbc. L’appuntamento del venerdì sera è diventato un evento imperdibile per milioni di egiziani. In uno degli show che ha fatto andare su tutte le furie i seguaci della Fratellanza Musulmana, il popolare comico ha mostrato dei segmenti di un’intervista televisiva del presidente egiziano. Il suo commento ironico è stato che Morsi avrebbe meritato l’Oscar come «miglior attore, editore e regista».

Già nel gennaio scorso, il presentatore aveva subito un’accusa simile per la sua parodia del presidente. Chi ha sporto denuncia ha dichiarato di essere stato offeso dalla ridicolizzazione “senza senso” e dalle calunnie nei confronti il capo dello Stato. Bassem Youssef aveva avviato il suo programma su YouTube. Dopo il successo ottenuto, lo show è approdato sul canale privato Ontv. Era la prima volta nel Paese che un programma trasmesso via internet ottenesse un pubblico di trentatré milioni di persone, con un incredibile seguito nella raccolta pubblicitaria. Sin dalle prime puntate, il comico ha spesso preso di mira esponenti del movimento salafita con molto acume e ironia. «Jon Stewart (attore satirico americano, ndr) dice di non credere nella creatività casuale ma in quella costruttiva e pianificata. Così noi creiamo il nostro programma, tutto è basato su ricerca e giornalismo», ha spiegato Youssef.

Ma la censura nei confronti del comico si è aggravata lo scorso 30 marzo quando è stato emesso un mandato di arresto. Il popolare presentatore ha raggiunto l’ufficio del procuratore generale e ha indossato una riproduzione di un largo cappello, simile a quello portato da Morsi in una recente visita in Pakistan dove è stato insignito di una laurea ad honorem. Il comico è stato rilasciato dopo poche ore su cauzione. Ma i suoi guai giudiziari sembrano solo all’inizio. Lo stesso Youssef ha annunciato nuove accuse contro di lui dalla «diffusione di notizie false» al «disturbo della quiete pubblica e minacce alla sicurezza», da «insulti al Pakistan» a «propaganda di ateismo». Le minacce si sono presto estese alla chiusura del programma e dell’emittente Cbc. E così in un articolo su al-Shorouk dal titolo irriverente Con la Fratellanza va meglio, Youssef ha ironizzato assicurando che gli islamisti presto occuperanno tutte le istituzioni dello stato, «i Fratelli musulmani sono cittadini come noi, perché non abbiamo fiducia in loro?», si chiede il comico, e consiglia a tutti di essere felici di «essere una pedina» nelle loro mani.

La reazione islamista al rilascio del comico e la diffusione della censura
Dal canto suo, la presidenza della Repubblica ha negato di aver avanzato critiche o denunce contro Bassem Youssef. “È una decisione del procuratore generale nella quale non abbiamo interferito”, si legge in un comunicato di Morsi. Ma lo sheikh salafita intransigente, Abdullah Badr è andato ben oltre e ha chiesto in un sermone lo scorso venerdì di «impiccare» i giudici che si sono opposti alla chiusura del programma. “Bassem Youssef è un pazzo – ha detto il religioso islamico in diretta tv – e quello che fa è pura follia, ignoranza e inciviltà. Se fossi al potere, chiederei l’esecuzione (dei giudici, ndr), giuro che li impiccherei”. Per lo sheikh, i giudici egiziani che hanno rilasciato il comico sono “privi di coscienza” e per questo andrebbero uccisi. Nel mirino di Badr anche i media indipendenti del Paese, colpevoli a suo giudizio di “diffondere la cultura occidentale e smantellare i valori egiziani”. Proprio i continui riferimenti di Youssef al comico americano Jon Stewart e la solidarietà da lui espressa per il collega egiziano, avevano colpito i movimenti radicali che hanno gridato al tentativo etero diretto di destabilizzare le istituzioni egiziane.

Il caso non finisce qui e coinvolge lo spazio del dissenso e della satira in un regime ancora costruito su logiche autoritarie. Non solo, chiarisce quanto sia ambigua la linea tra libertà di espressione e difesa della morale in un Paese che ha approvato una Costituzione prevalentemente scritta dagli islamisti e che lascia a leggi ancora non varate la definizione attuativa dell’indipendenza dei media. Il giornalista di Ontv Gaber Al-Karmouti è stato accusato di «insulti ai giudici e disturbo della quiete pubblica» per una telefonata in diretta con Shaima Abul Kheir, rappresentante del Comitato per la protezione dei giornalisti, in cui si accusava il governo di limitare l’operato della stampa indipendente. Lo scorso mese, il Centro di produzione televisivo del Cairo è stato preso d’assalto da gruppi di salafiti, mentre è stata ostacolata la realizzazione di due film, uno sulla Fratellanza e l’altro sulla comunità ebraica egiziana. Infine, è da ricordare la recente sentenza, poi bloccata, che sanciva lo stop temporaneo di YouTube per non aver sospeso la messa in onda delle immagini del film blasfemo sulla vita di Maometto. Il film, realizzato negli Stati Uniti, aveva innescato gravi proteste lo scorso settembre in Medio oriente.

La Fratellanza fa i conti con la rappresentazione mediatica della realtà e inciampa nelle stesse tentazioni di Mubarak. Anche se l’uso che comici e giornalisti fanno dello spazio consentito al dissenso permette un linguaggio e tecniche di comunicazione molto più efficaci che in passato.

Sul caso Bassem Youssef, leggi anche l’analisi di Bassem Sabry che abbiamo pubblicato su www.arabmediareport.it : “Bassem Youssef e il destino dei media indipendenti in Egitto

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