Siria, tutti gli interessi del Cremlino
Ecco perché Mosca protegge Assad

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Un comunicato dell’agenzia di stampa Sanaa annuncia che i russi hanno iniziato i raid aerei contro lo Stato Islamico. La voce ufficiale di Damasco spiega che in un solo giorno di bombardamenti sono state distrutte diverse postazioni dell’Is, e che l’intervento di Mosca fa seguito ad una precisa richiesta di aiuto della Presidenza della Repubblica araba siriana. Il sito del Ministero della Difesa della Federazione Russa, anche qui in poche righe, conferma l’avvio dell’attacco contro l’organizzazione terroristica internazionale: un raid aereo mirato che ha colpito otto obiettivi fra depositi di armi e munizioni, centri di comando e di comunicazione, veicoli da combattimento.

Le incursioni sono avvenute nell’area fra Homs, Hama e Latakia, dove lo Stato Islamico però non risulta avere il controllo del territorio. Secondo quanto riferito dai volontari del Syrian Civil Defence tutti gli attacchi sono avvenuti in zone popolate da civili e almeno 40 persone sono rimaste uccise, fra le quali otto bambini e un loro soccorritore (33 quelle accertate da più fonti). Ad Al-Za’farani è stato colpito un mercato, a Talbieseh un ufficio dell’amministrazione locale e un punto di distribuzione del pane, ad Al Rastan e Al Latamneh sono state centrate abitazioni.

Sono molte le voci sul territorio, secondo quanto riportato dal Guardian subito dopo i raid, che parlano di un attacco ai gruppi ribelli anti Assad, non mirato allo Stato islamico ma volto a colpire quelle aree dove la resistenza delle opposizioni al regime non è stata fiaccata. Si parla, e si vedono immagini caricate in rete in tempo reale, di centri abitati colpiti, di persone estratte dalle macerie, morte o gravemente ferite.

Per la Russia si tratta del primo intervento al di fuori degli stati dell’ex Unione Sovietica dalla fine della guerra fredda, e dall’invasione dell’ Afghanistan. Annunciato contemporaneamente nelle stanze della “diplomazia” internazionale e sul campo, con un incremento della movimentazione di uomini e mezzi in territorio siriano. In quelle ore Mosca ha chiesto a Washington di non sorvolare il territorio siriano, ma non avrebbe specificato esattamente dove sarebbero stati condotti gli attacchi. Dalla Difesa Usa sono stati avanzati seri dubbi sui reali obiettivi dei raid: colpire lo Stato Islamico o rafforzare la posizione di Assad a scapito di qualsiasi forma di opposizione armata al regime, senza distinzioni? Secondo Isw, Institute for the study of war, le zone colpite sono in mano a gruppi di ribelli locali e non a Is.

La posizione di Putin era già stata chiarita durante l’assemblea delle Nazioni Unite, nel suo primo appuntamento all’Onu dal 2005: non si può cercare un compromesso per risolvere la crisi siriana senza coinvolgere anche Assad. Nel suo discorso il leader del Cremlino aveva messo insieme tutto: la critica ad un ordine mondiale unipolare retto da un’America che negli ultimi anni ha allentato la presa in politica estera, in particolare in Medio Oriente, nel timore di finire in un nuovo pantano dopo Afghanistan e Iraq; l’isolamento in cui l’Occidente aveva cercato di relegare Mosca dopo la crisi in Ucraina, attraverso le sanzioni, gli effettivi equilibri precari di un mondo sempre più minacciato dal terrorismo globale.

La tesi di Putin, ossia che il caos in Medio Oriente e l’ascesa dello Stato Islamico siano in buona parte da imputare al fallimento dell’Occidente, lo ha portato a paragonare la situazione attuale a quella della guerra fredda, quando l’Ex Unione Sovietica fallì nel tentativo di esportare il proprio modello di sviluppo altrove, e i paesi ex Urss si ritrovarono forzatamente a dover scegliere fra est e ovest.

Nel faccia a faccia con Obama, la posizione congiunta è emersa sulla necessità di collaborare per fermare l’avanzata dello Stato Islamico. Le premesse però sono molto differenti, e i primi raid lo confermerebbero: puntellare Assad è condizione imprescindibile per Mosca. “Rispetto i miei colleghi – aveva detto Putin a Russia Today lunedì scorso – ma i presidenti americano e francese non penso siano cittadini siriani, e per questo non penso che possano decidere chi debba guidare la Siria”. Il concetto di sovranità territoriale, quella che ufficialmente Putin difende per il governo siriano, è lo stesso che lo ha portato a violare quella dell’Ucraina, con l’annessione della Crimea e poi l’intervento in Donbass. Ma se per Mosca Assad deve essere parte della soluzione, la visione opposta rispetto al regime siriano da parte di un tiepidissimo Obama non ha portato in quattro anni di guerra ad un intervento internazionale condiviso per fermare un massacro che ad oggi è costato la vita ad oltre 250 mila persone, ha causato milioni di profughi e ha reso la Siria – come l’Iraq – un non stato.

Quello del 29 settembre è stato comunque il primo incontro ufficiale fra i due dopo un black out durato quasi due anni. Ma nonostante la priorità che appare comune, le posizioni restano distanti: e se Obama ha rievocato i successi degli stati Uniti nel suo ruolo all’Onu, nell’impegno nei conflitti per i diritti umani e il rispetto della legalità internazionale violata in Ucraina proprio dai russi, Putin ha invece accusato gli Usa di essere in parte responsabili della degenerazione della crisi in Medio Oriente.

Prima di arrivare all’Onu, nelle scorse settimane la Russia aveva già visibilmente aumentato la presenza militare in Siria. Secondo l’Economist, rapporti di funzionari americani non confermati dalle autorità russe, parlano di almeno 28 aerei da guerra in una base subito fuori Latakia, sulla costa. Nella stessa base è aumentato anche il numero dei soldati russi, la sorveglianza con mezzi blindati e droni da ricognizione. Al momento eventuali operazioni via terra sono state escluse, e d’altra parte, almeno secondo quanto riferiscono i dati raccolti dal centro di ricerche indipendente Levada, il 69% dei russi si è detto contrario all’invio di soldati in Siria, e solo il 14% è favorevole ad un sostegno militare diretto.

Comunque la Russia interviene apertamente ora, nonostante abbia sostenuto il regime siriano sin dall’inizio della guerra: da una parte per il timore di perdere la sua postazione sul Mediterraneo, la base navale di Tartus, dall’altra per la necessità di riaffermare un ruolo internazionale dopo l’isolamento post crisi ucraina, ufficialmente allo scopo di contenere il terrorismo e mantenerlo fuori dai confini della Federazione. Il risultato immediato è che i governi occidentali non possono ignorarlo o relegarlo ai margini. Lo schieramento in Siria ha lo scopo non solo di rimodellare l’andamento di una guerra civile sulla sponda est del Mediterraneo, ma anche di rimettere la Russia in posizione di primo piano. Mosca è stata punita per l’annessione della Crimea e per l’influenza diretta avuta nel Donbass, ora si fa promotrice di una soluzione che non ne permette l’esclusione dai giochi. L’ingresso di Putin apertamente a sostegno di Assad riapre la questione di un’eventuale riabilitazione del regime, in un caos che rende sempre più difficile identificare degli interlocutori. Chi sono le opposizioni moderate che gli Usa vogliono sostenere, al netto non solo dello Stato Islamico da contrastare ma anche della scomoda galassia vicina ad al Qaeda? E in che modo se si rafforza Assad, che ha per lo più demandato ai curdi e ai ribelli dell’area di Raqqa la gestione dell’Is, si infligge un colpo decisivo al califfato?

Nonostante il flusso diplomatico degli ultimi mesi, le possibilità di soluzione per la Siria si spengono una dopo l’altra. C’è stato l’accordo sul nucleare con l’Iran, la presa di posizione della Turchia, poi della Russia. Putin ha incontrato al-Sisi, Abdallah II, Netanyahu, Abbas, Erdogan. Pochi giorni fa ha confermato la costituzione e l’operatività di un centro comune per la raccolta di informazioni e coordinamento a Baghdad, per la lotta al terrorismo, con la partecipazione di Iran, Iraq, Siria. Ha proposto la creazione di un gruppo di contatto che metta insieme Iran, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia ed Egitto, e che potrebbe già riunirsi questo mese, sulla falsa riga della trattativa nucleare dei 5+1.

Come ha scritto il New York Times, se per gran parte del mondo la Siria è una tragedia senza fine, per Putin è un’occasione d’oro per uscire dall’isolamento. E la strategia è stata quella di lanciare un’offensiva diplomatica tanto quanto militare.

In realtà il primato della posizione di Mosca rispetto a quella di Washington sulla Siria si era già delineato chiaramente due anni fa, con l’accordo Usa-Russia per la distruzione dell’arsenale chimico del regime di Damasco, raggiunto il 17 settembre, che implicitamente riconosceva ancora una volta ad Assad il ruolo di interlocutore politico, mentre metteva a tacere l’opzione di un intervento militare internazionale minacciato da Obama, in cambio di un’intesa che non ha portato a nessun passo in avanti.

La Russia è partner del governo siriano da lungo tempo, e dal 2011 ha aumentato i suoi sforzi per sostenerlo. La flotta russa è sempre più presente nel Mediterraneo, e dall’inizio della guerra Mosca ha schierato fra Tartus e Cipro numerose navi che pattugliano e proteggono i cargo che portano le armi al regime. La città costiera siriana ospita una base navale russa dal 1971, quando vennero stipulati degli accordi per il sostegno alla flotta sovietica. Dall’inizio degli anni Novanta al 2005 le relazioni fra i due paesi sono state congelate a causa della mancata risoluzione del problema del debito della Siria nei confronti dell’ex Urss, per circa 13 miliardi di dollari. Oltre il 70% della somma è abbonata, ma da allora la Russia è diventata il principale fornitore di armi del governo di Damasco. E un miliardo e mezzo di quel debito è stato convertito in investimenti diretti per progetti comuni. Da allora il commercio e la collaborazione tecnico-militare sono cresciuti.

La Siria ha investito due miliardi di dollari nell’ammodernamento delle tecnologie belliche che risalivano all’epoca dell’ex Urss. Lo stesso porto di Tartus è stato ristrutturato nel 2009 per permettere l’attracco di navi di più grosse dimensioni.

Negli ultimi tempi c’è stato anche un grande avvicinamento di Mosca a Teheran, con la vendita di missili S300 all’Iran e all’apertura di un corridoio aereo. E gli interessi di entrambi i paesi convergono sulla Siria. Intanto oggi la Russia è tornata al tavolo diplomatico con gli Usa, e il ministro degli esteri Serghei Lavrov ha incontrato il segretario di Stato John Kerry. Il primo obiettivo, riprendere i contatti, è stato centrato, nonostante i dubbi sull’effettivo target dei raid, e la possibilità che l’ennesimo intervento non coordinato su quello che resta di un paese e del suo popolo possa favorire un’ulteriore radicalizzazione della lotta, piuttosto che aprire uno spiraglio a qualsiasi forma di accordo.

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