Israele, Egitto, Tunisia: dal terrorismo
al giro di vite su libertà e dissenso

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Israele, Tunisia ed Egitto hanno annunciato recentemente una nuova stretta sul terrorismo attraverso nuove leggi di contrasto ad un fenomeno che sembra ormai investire, seppure con intensità e obiettivi diversi, sia il Maghreb che il Medio Oriente. Se in Egitto le nuove misure sono già entrate in vigore, in Israele sono attualmente in discussione alle Knesset, mentre la Tunisia ha annunciato che entro fine luglio ricorrerà a nuove disposizioni legislative in materia. Benché siano molti gli aspetti comuni tra le disposizioni antiterroristiche di questi tre Paesi, vi è un aspetto in particolare che si staglia sugli altri: l’uso improprio della legislazione anti-terrorismo ai fini del controllo dell’opinione pubblica interna.

Israele ha adottato fin dalla sua fondazione misure contro il terrorismo, essendo continuamente in lotta con i propri vicini arabi dai quali temeva incursioni di gruppi di guerriglia palestinesi. Già a partire dal 1945 vennero promulgati i “Regolamenti di Difesa”, che da allora permisero al governo d’Israele di affrontare il terrorismo con una legislazione straordinaria, rinnovando un perenne stato di emergenza. Nel 1948 fu istituito il PTO, l’Ordinanza di Prevenzione sul Terrorismo, in seguito emendata a varie riprese nel 1980, 1986 e 1993. Quest’ordinanza, ripatita in 25 sezioni, definiva l’entità delle organizzazioni terroristiche in maniera molto generica e si concentrava sulle misure ammissibili da adottare per prevenire il fenomeno. Nella sua prima sezione si definiva organizzazione terroristica “un’associazione di persone che perseguono o hanno l’obiettivo di perseguire un atto di violenza che ferisca, uccida o minacci altre persone”. Il PTO innescò negli anni non poche controversie tra coloro i quali difendevano la necessità di aumentare il livello di sicurezza nel Paese e colori i quali sostenevano, invece, che la priorità fosse quella di tutelare i diritti umani.

Nel febbraio 2014 il Comitato per gli affari costituzionali, legali e di giustizia della Knesset ha presentato una nuova proposta di legge per fornire allo Stato “gli strumenti legali per affrontare le crescenti minacce terroristiche”. La nuova proposta ha carattere organico e intende riorganizzare tutto il pacchetto di misure anti-terrorismo, finora disciplinate da una serie di “leggi patchwork” adottate negli anni senza alcuna coerenza interna. Tuttavia, il suo obiettivo manifesto è quello di inasprire, oltre che riorganizzare, la legislazione attualmente vigente. Tra i punti più discussi ivi contenuti, la perdita della cittadinanza per gli arabo-israeliani sorpresi a collaborare con i gruppi terroristici (e per le loro famiglie), il divieto assoluto di contatti con organizzazioni terroristiche -ivi comprese le loro ali politiche-, l’espulsione da Israele a Gaza in seguito alla detenzione, la negazione del rito funebre per i terroristi uccisi e la sepoltura dei loro corpi in luogo non noto e la distruzione delle loro abitazioni entro 24 ore. Altre misure concernono, invece, le manifestazioni di solidarietà al terrorismo e la fomentazione di disordini via web, punibili con la perdita dei diritti civili e la detenzione fino a 10 anni Secondo Ha’aretz, la legge anti-terrorismo – così pianificata – minerà il già fragile equilibrio tra democrazia e sicurezza in Israele, giustificando de facto gli abusi delle forze di sicurezza (Shin Bet) sui cittadini arabo-israeliani e sui Palestinesi. Il potere di controllo su tali misure verrà, inoltre, sottratto alla Corte di giustizia e affidato direttamente al Ministro dell’Interno, il quale potrà autorizzare la detenzione preventiva di un sospettato anche prima di comprovarne la colpevolezza per vie giudiziarie.

L’Egitto, lo scorso febbraio, ha varato un nuovo decreto presidenziale (la “Terrorism Entities Law”) concernente le “organizzazioni terroristiche”. La legge definisce cosa si intende per “entità terroristica” e le misure preventive e punitive che possono essere assunte dalle autorità competenti. Il nuovo decreto equipara ad atti terroristici il danneggiamento ambientale, delle risorse naturali, dei siti archeologici, delle infrastrutture e delle telecomunicazioni, di proprietà o abitazioni. Anche l’ostruzionismo delle autorità pubbliche e dei corpi giudiziari o degli interessi del governo, degli ospedali, delle istituzioni o degli istituti scientifici sono perseguiti come atti di terrorismo, anche qualora il mirino non sia l’Egitto. In particolare, l’art.33 – che prevede la detenzione di giornalisti che riportino notizie relative agli attacchi jihadisti non in linea con le fonti ufficiali – è stato al centro di forti critiche da parte dell’opinione pubblica, che recentemente hanno condotto alla sua rimozione. Nell’ultima versione del testo di legge la detenzione è, dunque, stata commutata in una salata pena pecuniaria (compresa tra i 28.000 e i 53.000 euro). Un’altra critica che sovente viene sollevata è la genericità della proposta di legge. Secondo l’art.1, infatti, “un’entità terroristica è qualsiasi associazione, organizzazione, gruppo o gang che mette a repentaglio la quiete pubblica o la salvezza, la sicurezza e gli interessi della società, che ferisce, minaccia o uccide individui, che lede le libertà, i diritti o la sicurezza altrui o che mette a repentaglio la sicurezza dell’unità nazionale”. Di conseguenza, sembra che, in quest’accezione, qualsiasi organizzazione dissidente possa essere assimilabile ad un’organizzazione terroristica. Un’altra questione che lascia discutere concerne l’impossibilità da parte delle organizzazioni o degli individui tacciati di terrorismo di ribellarsi all’accusa, che già di per sé comporta la perdita di tutti i diritti politici ed economici almeno fino alla conclusione del processo, quindi all’incirca in un periodo di 3 anni. La legge anti-terrorismo contraddice palesemente, quindi, alcuni articoli della Costituzione egiziana, come l’art.65 che garantisce la libertà di espressione e il dissenso pacifico delle organizzazioni o l’art.54, che stabilisce un regolare processo per la restrinzione dei diritti e delle libertà dei cittadini. Infine, come riportato da al-Jazeera, è attualmente in discussione un ulteriore progetto di legge – annunciato il 18 luglio dal Ministro per gli affari parlamentari e per la giustizia di transizione Ibrahim el-Heneidy – per l’istituzione di un sistema giudiziario autonomo per i reati di terrorismo.

Il fatto che l’Egitto sia stato governato da anni con leggi di emergenza pone un grosso ostacolo al rafforzamento dello stato di diritto nel Paese. Le attuali pratiche legali comportano arresti arbitrari, sparizioni forzate, uso sistematico della tortura contro i sospettati di terrorismo, detenzione in strutture non ufficiali, violazioni alle garanzie processuali, ammissione e validità di confessioni ottenute sotto tortura e violazioni del diritto alla libertà di espressione, riunione e associazione. A farne le spese, spesso non sono i presunti terroristi, per i quali dovrebbe essere pensata, ma blogger, attivisti dei diritti umani e giornalisti. La legislazione antiterrorismo, così strutturata, è, quindi, un esempio di intervento che ha come obiettivo principale la repressione del dissenso pubblico, minando le basi del pluralismo nell’informazione.

Nell’ultimo progetto di legge antiterrorismo, anche la Tunisia sconvolta dai recenti attacchi a Tunisi e Sousse e dalla proliferazione di gruppi terroristici a matrice islamica dovrà confrontarsi anche con il ritorno di molti giovani ex combattenti dalla Siria, e ha promesso delle pene più aspre per i responsabili di atti terroristici. Nel marzo scorso, il governo aveva sottoposto al Parlamento il nuovo testo di legge, successivamente all’attentato avvenuto al museo nazionale del Bardo. In seguito al secondo sanguinoso attentato avvenuto sulla spiaggia di Sousse, le autorità hanno annunciato l’accelerazione delle procedure di adozione della legge entro la fine di luglio. Tra i punti più controversi, la possibilità di detenere un sospetto per 15 giorni, anziché 6 come nella precedente legge, durante i quali ogni contatto con la famiglia o il proprio avvocato saranno interdetti. Ancora, misure che riguardano il terrorismo informatico prevedono l’arresto di tutti i diffusori e sostenitori in rete di campagne a sostegno del terrorismo islamico attraverso l’uso estensivo di intercettazioni. In particolare, gli artt. 52 e 59 del disegno di legge riguardano le intercettazioni telefoniche e web e il controllo audio-visivo: la durata delle stesse dovrebbe durare non più di 4 mesi rinnovabili una sola volta ed essere richiesta esclusivamente dal Pubblico ministero o da un giudice istruttore. Strumenti tecnici di controllo potranno essere collocati su mezzi e luoghi pubblici e privati senza che l’intercettato ne sia al corrente. Inoltre, l’art. 60 stabilisce il divieto di distribuire qualsiasi informazione relativa al controllo audio-visivo ed una condanna a 10 anni di carcere per chi non rispettasse questo divieto. Nonostante queste indicazioni, i termini vaghi utilizzati nella sezione delle ICT danno adito a varie interpretazioni e alcune voci dell’opposizione sostengono che queste nuove disposizioni siano solo un pretesto per limitare le libertà e i diritti anche sul web.

In tutti e tre i Paesi le leggi antiterrorismo sono oggetto di accesi dibattiti, perché considerate in parte una regressione rispetto alle libertà acquisite e garantite a livello costituzionale in Egitto e Tunisia e dalle Leggi fondamentali in vigore in Israele. Le nuove disposizioni, infatti, puntano tutte a limitare i diritti degli accusati e istituire processi più veloci, anche se, potenzialmente, più arbitrari. In particolare, in Egitto e Tunisia, le nuove disposizioni potrebbero facilmente sfociare in una repressione delle “minoranze dissidenti”, quali blogger, giornalisti, attivisti o delle “minoranze politiche”, nonché in nuovi vincoli posti al pluralismo dei media e dell’informazione. In Israele, invece, le categorie più colpite sarebbero le “minoranze etniche”, quali Palestinesi e arabo-israeliani, da sempre considerati “cittadini di serie B” ed ora ancora di più tali agli occhi del Terzo governo Nethanyahu, con un baricentro completamente spostato a destra.

In tutti e tre i Paesi, però, il fattore comune è che tali leggi anti-terrorismo sortiscono più effetti interni di lotta al dissenso e uniformizzazione dell’opinione pubblica, che esterni, ovvero nella concreta lotta al terrorismo e nel contrasto capillare ai gruppi jihadisti. In Egitto, in particolare, sembra che la legge antiterrorismo sia stata adottata quasi esclusivamente per evitare rivolte e dissensi interni, mentre la Tunisia e Israele preferiscono cavalcare l’onda del populismo, incontrando il sostengo della maggioranza delle rispettive popolazioni, entrambe recentemente sconvolte da attacchi terroristici. Inoltre, tutti i Paesi presi in esame dedicano nelle nuove proposte di legge larga attenzione al cyber-terrorismo -il terrorismo informatico-, equiparato a tutti gli effetti a quello armato.

È importante sottolineare che tutti e tre i Paesi non puntano ad un giusto equilibrio tra sicurezza pubblica e libertà individuale, ma intendono porre rimedio a problemi urgenti di natura diversa (economici e di sperequazioni sociali in Tunisia, politici e legati al colpo di stato militare in Egitto, conflitto aperto e occupazione nel caso d’Israele), tutti ricondotti dai rispettivi governi alla matrice molto vaga del “terrorismo”. Quest’ultimo, trattandosi di un fenomeno non assimilabile ad un crimine individuale o ad una guerra, avrebbe soprattutto bisogno di essere definito con chiarezza ed affrontato con razionalità , e non con misure adottate sull’onda dell’emotività, in funzione repressiva o strumentalizzando problemi storici a fini politici interni per ricompattare l’opinione pubblica nazionale.

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