Iran: libertà di stampa e crisi irachena,
la svolta moderata di Rouhani si complica

Da Reset-Dialogues on Civilizations

La nota giornalista iraniana Marzieh Rasouli è stata condannata a due anni di prigione e cinquanta frustate per diffusione di notizie contrarie all’«ordine pubblico» e «propaganda anti-regime». Rasouli, giornalista riformista dei quotidiani Sharqh prima e Etemad poi, per anni corrispondente dagli Stati Uniti, venne arrestata già nel 2012 con l’accusa di aver lavorato per Bbc Persian e i servizi di intelligence britannica.

La lettera di Chomsky per la liberazione di Rasouli

A insorgere contro l’arresto di Rasouli è stato anche il filosofo statunitense Noam Chomsky che ha chiesto il rilascio immediato della giornalista. Chomsky, dalle colonne de The Guardian, ha parlato di «arresto inaccettabile» chiedendo che siano rivisti i casi di altre due giornaliste in prigione: Saba Azarpeik e Reyhaneh Tabatabaei. Secondo Reporters Without Borders, sono 64 i giornalisti e i blogger detenuti arbitrariamente nelle carceri iraniane. Dal canto suo, l’attivista per i diritti umani Zahra Bahram, proprio in occasione dell’arresto di Rasouli, ha sottolineato come il numero di donne che abbiano un lavoro stabile in Iran stia diminuendo. Il Paese conta uno dei tassi di scolarizzazione femminile più alti in Medio oriente.

È stato scarcerato invece il dissidente iraniano, Mehdi Khazali, per motivi di salute. Khazali era in ospedale dopo un lungo sciopero della fame, iniziato per denunciare le sue condizioni di detenzione. Arrestato più volte per aver preso parte alle proteste contro la rielezione nel 2009 dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, era finito di nuovo in carcere nel luglio dello scorso anno. Khazali era in prigione per una condanna a sei anni per attività antigovernativa.

Il braccio di ferro moderati-radicali prosegue

E così, prosegue il braccio di ferro tra moderati, del presidente Hassan Rouhani, e radicali, vicini a Mahmud Ahmadinejad. Con l’avvento del presidente tecnocrate, ormai più di un anno fa, il sistema giudiziario e l’intelligence militare hanno iniziato una campagna contro la società civile iraniana che ha colpito la stampa, le università, i social network, rallentando le promesse di aperture avanzate da Rouhani alla vigilia della sua elezione.

A confermare i limiti imposti ai tecnocrati, la Guida suprema, Ali Khamenei ha riattivato il Consiglio strategico, che include personalità politiche e intellettuali, nominando uomini del suo entourage. Secondo il giurista ultra conservatore Ghorbanali Dorri-Najafabadi, Khamenei ha l’intenzione di impedire ad altre correnti politiche, anche moderate, l’ingresso all’interno dell’Assemblea degli Esperti, che avrà il compito problematico di nominare la nuova Guida suprema, dopo la sua scomparsa. Non si placano però le vicissitudini giudiziarie dell’ex presidente Ahmadinejad, le accuse di corruzione a suo carico non sono state archiviate. Non solo, sull’ex presidente riformista, Mohammed Khatami continua a pesare il «bando» che gli impedisce di lasciare il Paese e apparire in pubblico. Il deputato Ali Motahari ha definito «assurdo» che esista un provvedimento del genere.

Gli interessi iraniani in Iraq e lo scetticismo degli Stati Uniti

Con lo scoppio della crisi irachena, lo scorso giugno, la diplomazia iraniana si è impegnata soprattutto per mettere in sicurezza il confine occidentale con l’Iraq. Autorità iraniane e statunitensi hanno inizialmente auspicato uno sforzo congiunto per limitare l’avanzata dei jihadisti dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del levante).

Con la crisi che coinvolge il governo sciita iracheno di Nuri al-Maliki, gli interessi iraniani in Iraq sono in pericolo. L’imponente progetto di gasdotto tra Iran e Iraq è stato bloccato proprio dopo l’attacco dell’Isil. Il gasdotto (6 mila chilometri, costato 10 miliardi di dollari) avrebbe dovuto permettere l’esportazione di 4 milioni di metri cubi di gas in Iraq entro agosto.

E così, sebbene le interferenze iraniane e statunitensi in Iraq non siano coordinate, l’impegno dell’Iran in Iraq è già una realtà concreta. Teheran ha dispiegato dieci divisioni delle forze paramilitari al Quds al confine con l’Iraq, nella provincia di Kermanshah. Sta conducendo in territorio iracheno voli di ricognizione e sorveglianza con l’utilizzo di droni e sta fornendo tonnellate di equipaggiamenti e assistenza militare all’Iraq, dove Teheran ha inoltre inviato un’unità speciale per intercettazioni. Il generale Qassim Suleimani, a guida delle forze paramilitari al Quds, ha poi compiuto varie visite in Iraq.

A conferma che la collaborazione tra Teheran e Washington in Iraq tardi a concretizzarsi c’è anche l’intricata questione della stesura dell’accordo finale sul programma nucleare iraniano. Eppure un eventuale coinvolgimento iraniano per risolvere la crisi in corso a Baghdad non ha avuto fin qui un effetto distensivo sui negoziati. Sebbene il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama abbia ammesso il ruolo «costruttivo» che l’Iran potrebbe assumere in Iraq, il capo di Stato maggiore delle forze armate iraniane, Hassan Firouzadi ha escluso una «cooperazione» tra Iran e Usa per fronteggiare l’avanzata jihadista nel Paese.

L’impegno iraniano in Iraq non è una novità. La fondazione del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), in seguito alla caduta del regime dello shah (1979), provocò la dura repressione della componente sciita irachena da parte del partito Baath. Il baathismo si presentò, come il baluardo dell’opposizione alla diffusione della Rivoluzione islamica tra i paesi arabi. Per questo, l’Iraq ottenne il chiaro sostegno degli Stati uniti nella guerra contro l’Iran (1981-1988). Negli anni Novanta, Washington ha promosso una politica di doppio contenimento (dual containment) tra Iran e Iraq. Gli Usa hanno accresciuto il loro controllo nel Golfo persico sostenendo l’Arabia Saudita come guida regionale per isolare l’Iran. Eppure l’attacco Usa all’Iraq del marzo 2003 vide l’Iran giocare un ruolo di «neutralità attiva». L’instabilità in Iraq è sempre stata un problema serio per la sicurezza iraniana. Nonostante gli sciiti iracheni vengano visti come una componente dello sciismo iraniano, la frammentazione della comunità sciita irachena, causata anche dalle divisioni promosse dal baathismo, è sempre stata fonte di grande preoccupazione per le autorità iraniane.

Nella foto: la giornalista Marzieh Rasouli

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