Iran: elezioni presidenziali 2013, i riformisti all’angolo

Iran, le elezioni presidenziali del 14 giugno prossimo sono alle porte. E a Teheran si profila uno scontro tra i conservatori vicini alla Guida suprema e gli ultra conservatori appoggiati dal presidente uscente. Piccolo è lo spazio per altri schieramenti. Con i due leader Moussavi e Karroubi, tra i protagonisti delle manifestazioni anti-regime del 2009, ancora bloccati agli arresti domiciliari, i riformisti iraniani restano esclusi dalla vita politica. Ma questa volta le tensioni potrebbero essere causate soprattutto dalla grave crisi monetaria che colpisce il Paese e determina un aumento dei prezzi senza precedenti. Tuttavia, alla vigilia delle elezioni, le autorità iraniane puntano ancora una volta su azioni repressive contro la stampa riformista e sulla propaganda anti-americana.

Lo scontro politico sulle candidature

Lo scontro tra conservatori e ultra conservatori è accesissimo sulle procedure elettorali e i nomi dei candidati. Le candidature saranno rese note a maggio, dopo il vaglio del Consiglio dei Guardiani che potrà ancora una volta cancellare i politici scomodi. Da una parte, sul tema delle procedure elettorali la Guida suprema, Ali Khamenei, ha duramente criticato i politici ultra conservatori che avevano chiesto «libere elezioni», sottolineando che il voto si svolgerà senza brogli: le «elezioni negli ultimi tre decenni non sono state forse libere? In quale Paese le elezioni sono più libere che in Iran?», ha chiesto con non poca ironia l’anziano ayatollah. L’uomo di Khamenei, tra i favoriti per la candidatura a presidente, è Ali Akbar Velayati, consigliere conservatore della Guida suprema per la politica estera.

D’altra parte, il presidente uscente e non rieleggibile per un terzo mandato, Mahmud Ahmadinejad sembra ancora voler esercitare una certa influenza in campagna elettorale: ha sostituito 11 governatori, ruoli chiave nella gestione delle procedure elettorali, e a dicembre ha licenziato il ministro della Sanità, Marzieh Vahid Dastjerdi, costretta alle dimissioni per aver criticato le misure inadeguate contro la mancanza di farmaci, causata dalle sanzioni internazionali contro il programma nucleare iraniano. In realtà si tratterebbe di una mossa per ridimensionare il peso politico di Ali Larijani, presidente conservatore del Majlis (Parlamento), vicino al ministro Dastjeri e possibile candidato alle elezioni. Mentre l’uomo scelto da Ahmadinejad potrebbe essere il suo stretto collaboratore Efsandiar Rahim Manshaei.

Lo scontro tra presidenza della Repubblica e Guida suprema avrebbe determinato un nuovo spazio politico per il tecnocrate per eccellenza, Akbar Hashemi Rafsanjani. L’ex presidente spingerebbe per la candidatura di Hassan Rohani, direttore del Centro di ricerca del Consiglio che dirime le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani. Altre candidature plausibili sono quelle dell’ex ufficiale dei Pasdaran, Mohsen Rezai e del sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf.

I conservatori si dividono anche sulla permanenza agli arresti domiciliari dei due maggiori leader riformisti. Tanto che il politico ultra conservatore Habibollah Askaroladi ha definito «senza fondamento» le accuse di sedizione mosse contro Moussavi e Karroubi. Queste opinioni hanno causato la dura reazione della Guida suprema Ali Khamenei. Tuttavia, nessun riformista sembra vicino ad una candidatura sicura alle elezioni. Anche se salgono le quotazioni del politico Mohammed Reza Aref che ha duramente criticato la politica economica di Ahmadinejad.

La svalutazione del rial

L’Iran attraversa una crisi valutaria senza precedenti. La svalutazione del rial ha già fatto traballare la poltrona del governatore della Banca Centrale, Mahmoud Bahmani. Parlamento e Corte dei conti ne chiedono le dimissioni. Una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività finanziarie ha evidenziato infatti irregolarità nel mercato valutario, dubbi sulle modalità per fissare il tasso di sconto e il tetto ai prestiti. La conseguente richiesta di prepensionamento avanzata da Bahmani è stata però respinta dal presidente Ahmadinejad.

Il deprezzamento della valuta iraniana ha superato i livelli record dell’autunno scorso, sfiorando le peggiori quotazioni di sempre. In queste settimane, ci vogliono 40 mila rial per un dollaro. Ad essere principalmente colpita è la classe media urbana e i lavoratori. Non solo, negli ultimi mesi i prezzi degli affitti sono aumentati notevolmente. Mentre il mercato immobiliare è bloccato e i prezzi delle automobili hanno subito sensibili aumenti. Le autovetture sono fra le 77 merci definite «prodotti di lusso» di cui dallo scorso novembre è stata bloccata l’importazione per far fronte alla penuria di valuta pregiata, creata dalle sanzioni bancarie occidentali contro il programma nucleare iraniano. Il crollo dei proventi dell’export di petrolio, sceso ai minimi dopo il blocco imposto nell’estate scorsa dai Paesi dell’Unione Europea, è stato un duro colpo per le casse statali. E la crisi colpisce soprattutto il ministero della Salute. L’ex titolare Dastjerdi aveva riferito che dei 2,5 miliardi di dollari richiesti per l’acquisto di medicine e apparecchiature dall’estero, dalla Banca Centrale ne è arrivata solo una minima parte. Non solo, secondo il quotidiano conservatore Qanun, nelle città iraniane potrebbero scoppiare presto delle agitazioni a causa del peggioramento della situazione economica per effetto delle sanzioni internazionali.

La società civile nel mirino

In vista delle elezioni, a pagare le spese è ancora una volta la libertà di stampa. Sono stati perquisiti vari quotidiani, anche ultra conservatori, e arrestati almeno 49 giornalisti, vicini al movimento riformista. Alcuni tra loro sono stati denunciati per avere intrattenuto relazioni con media stranieri, critici verso l’élite politica iraniana. I quotidiani presi di mira sono: Shargh, Arman, Bahar ed Etemad. I giornalisti di queste testate avrebbero collaborato con alcuni media stranieri tra i quali la Bbc in persiano, Voice of America, Radio Free Europe e Radio Farda, accusati di essere ostili alla Repubblica islamica.

Fra i giornalisti arrestati, c’è l’umorista Pouria Alami e la notista politica Saba Azarpeyk. E’ stato poi bloccato senza comunicarne il motivo il sito conservatore Tabnak, vicino ad uno dei possibili candidati alle presidenziali Mohsen Rezaei. La scorsa settimana, erano stati arrestati Milad Fadaie, caporedattore del servizio politico dell’agenzia ufficiale Ilna, e Soleyman Mohammadi, caporedattore della cronaca del quotidiano Bahar.

Parallelamente, in attesa delle elezioni, le autorità iraniane proseguono con la tradizionale retorica anti-americana in riferimento ai nuovi colloqui sul programma nucleare. Un enorme cartellone propagandistico ricorda in questi giorni a Teheran che gli Stati Uniti, anche con la seconda presidenza Obama, restano un nemico nonostante la disponibilità al negoziato. Anzi, i media locali descrivono l’America come un pericolo più «subdolo quando tende la mano». L’immagine è apparsa su un palazzo in ristrutturazione in piazza Vali Asr nel centro di Teheran. Non solo, in uno dei suoi ultimi interventi pubblici la Guida suprema Ali Khamenei ha detto di considerare «un errore» anche solo «l’idea che l’arroganza globale, guidata dagli Stati Uniti, possa raggiungere un compromesso con il movimento islamico».

Le elezioni iraniane si avvicinano, in un contesto regionale di grande instabilità politica. Ma le tecniche di controllo sull’opinione pubblica restano le stesse, con l’incognita della resa dei conti tra conservatori e ultra conservatori in un contesto economico ampiamente deteriorato, anche a causa delle sanzioni internazionali.

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