Iran, dal cinema al rock
una nuova primavera della cultura?

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Sorprende il seguito che ha avuto a Teheran il festival del Cinema e del documentario (Fajr). La cerimonia di apertura aveva suscitato non poco entusiasmo. L’annunciatore è stato Farzad Hassani, a lungo al bando per un litigio avuto nella televisione pubblica con un capo della polizia. Non solo, è stato proiettato il film Bashu, il piccolo straniero del grande maestro Bahram Beyzai in cui compare Susan Tslimi, un’attrice anti-regime, emigrata in Svezia nel 1989. Infine, in occasione dell’apertura del festival, il presidente moderato Hassan Rouhani ha chiesto di «dimenticare il passato»: di voltare pagina, partendo proprio dalla riduzione delle censure su cineasti e produttori. Eppure anche al Fajr la censura non è mancata. Il film I am not angry, del regista Reza Dormishian, sulle controverse elezioni presidenziali del 2009 che hanno portato alla rielezione del radicale Mahmoud Ahmadinejad per il secondo mandato, è stato duramente criticato e censurato. Anche i discorsi dei principali registi intervenuti nel festival hanno subito censure.

I cineclub in casa: una realtà tutta iraniana

Chi suona il campanello a casa di Morteza nel quartiere Amir Abad a Teheran o di Mahnaz a Tajrish, nel nord della città, verso le montagne di Darband dove gli iraniani amano passare liberi le loro serate, non si aspetti una semplice festa. Gli ampi salotti di queste bellissime case persiane il sabato sera si trasformano in cinema privati per proiezioni di film altrimenti censurati in Iran. Come mostrare film d’essay possa diventare una lotta violenta lo racconta proprio il regista iraniano Amir Naderi. Nel suo ultimo lavoro, Cut, rappresenta l’irrefrenabile volontà di un giovane giapponese che organizza un cineforum con i migliori titoli della storia del cinema in una sala informale, ricavata sul terrazzo di un alto palazzo di Tokyo. A Teheran succede lo stesso. Per ora senza conseguenze, grazie alla stagione di parziale apertura culturale che l’Iran sta attraversando dopo l’elezione del moderato Hassan Rouhani.

La proiezione avviene tra un bicchiere del proibito arak (il liquore locale reperito attraverso il mercato nero) e un’accesa discussione sull’innovazione del linguaggio cinematografico iraniano. In First person singular, Hamideh Rezavi rappresenta i tanti volti delle donne persiane: il primo fotogramma propone una donna avvolta in un velo nero, che inizia il racconto come un cantastorie, segue il viso senza veli dell’autrice, rinchiuso da uno schermo strettissimo, ripreso da un iPhone. Il volto si trasforma poi in una marionetta bianca sempre raffigurata in luoghi minimali, che ricordano le atmosfere di Creamaster di Matthew Barney.

La proiezione del film censurato di Mahmoud Ghaffari

Lo spazio di una breve discussione e inizia la seconda proiezione. Giovani, critici, gente del mestiere e semplici amici curiosi, tutti con familiari o esperienze di vita all’estero, sono seduti uno affianco all’altro o su cuscini di fortuna. Rivolgono lo sguardo allo schermo bianco e alle immagini talvolta sottotitolate in inglese. Il secondo lungometraggio è di Mahmoud Ghaffari. This is a dream racconta le peripezie di una giovane traduttrice nel cercare un prestito. Fino all’amaro finale: la protagonista subisce la violenza di un usuraio. Eppure nel breve spazio di un film sembra succedano troppe cose rispetto ai grandi titoli del cinema iraniano di Abbas Kiarostami, a cui questi giovani registi spesso si ispirano. In Caso 1, caso 2 e L’esperienza il maestro del cinema iraniano racconta ogni particolare con una semplicità, che non ha bisogno di trama, con un’essenzialità che a volte manca al linguaggio cinematografico europeo. Ma, nonostante questi limiti formali, non è facile capire le ragioni per cui un film come questo debba essere proibito. «Le autorità iraniane vogliono che la realtà venga rappresentata come un paradiso e che si cancelli tutto quello che non va», ci spiega l’attrice protagonista del film Adis Mir Amini. Dopo le proiezioni, ferve il dibattito su come innovare il cinema iraniano.

I concerti rock all’Ivane shams

Ma non è solo il cinema a vivere una nuova stagione felice, seppure apprezzata solo da un pubblico scelto. A venire allo scoperto sono anche i gruppi rock iraniani, in passato relegati nei garage e negli ambienti underground anti-regime. Dopo varie visite dei sepah e-pasdaran, preoccupati dal pubblico del concerto, Farshad Fouzouni ha potuto esibirsi con bassista e chitarrista in un teatro normalmente dedicato alla musica tradizionale, al tar, al setar e al tombac dei grandi maestri iraniani: Alizadeh, Shajarian, Lofti e Jahanmani. «Ho iniziato a fare rock ascoltando i Pink Floyd e Cat Stevens, ma anche i rocker iraniani degli anni Settanta come Kuroshyaghmayi», ci racconta Farshad. Il cantante si ispira per i suoi versi al poeta statunitense Shel Silverstein. Immagini psichedeliche compaiono alle spalle del gruppo. «Un uomo adulto che parla come un bambino raccontando la sua vita quotidiana: è questo il mio modo di rappresentare la realtà iraniana», aggiunge il musicista. Il pubblico sugli spalti, colmi di rasta, capigliature eccentriche e vestiti originali, resta seduto per poi scoppiare in un accenno di danza alla fine del concerto.

I segnali di nuova linfa per la cultura iraniana non si fermano qui. Presto riprenderà a suonare l’orchestra sinfonica di Teheran che aveva chiuso i battenti per mancanza di fondi durante la presidenza del radicale Mahmoud Ahmadinejad. In segno di protesta i musicisti avevano in varie occasioni indossato indumenti verdi, simbolo delle proteste contro la rielezione del presidente ultra conservatore nel 2009. Mentre, nonostante le polemiche della vigilia, uscirà alla fine dell’anno il film sulla vita di Maometto del regista iraniano Majid Majidi, che aveva ottenuto un buon successo con I ragazzi del Paradiso. La cultura torna a sostituirsi ai limiti imposti dal rigido sistema politico della Repubblica islamica che lentamente sta tentando di aprire nuovi spazi per la società civile iraniana senza perdere l’unicità di un paese guidato da religiosi che spesso amano farsi rappresentare come dei filosofi.

Vai a www.resetdoc.org

Nella foto: l’entrata del cinema Sepideh di Teheran

  1. Sull’ultimo numero di Focus c’è un ottimo servizio sul cambiamento che anche da noi si sta realizzando quanto a paternità. Arriviamo sempre ultimi, ma ci arriviamo…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *