Iran 2013. Gli ultimi giri di valzer, fra ritiri, minacce e tribune politiche fiume

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Alleanze fra moderati e riformisti, veleni dell’ultima ora, rumors e smentite sulla squalifica da parte del Consiglio dei Guardiani di Hassan Rouhani e l’abbandono di Haddad Adel. Colpi di scena, a quattro giorni dal voto, nonostante la volontà di mantenere i toni più bassi rispetto al 2009. C’è un che di paradossale e iperbolico in questa campagna elettorale per le presidenziali iraniane. E non soltanto per tribune politiche che sfiorano le cinque ore, mettendo a dura prova la resistenza fisica di candidati e elettori.

A guardarle a ritroso, le ultime ore in Iran sono un concentrato di eventi che offrono l’immagine di un rush finale al cardiopalma. Nulla di strano, comunque, perché chi segue le vicende politiche del Paese è abituato a simili corse contro il tempo. Prima la notizia, negata nel giro di alcune ore, della possibile squalifica del moderato Rouhani a soffiare su ceneri forse mai spente, poi l’annuncio ufficiale del consuocero di Khamenei, Gholam Ali Haddad Adel: “col mio ritiro chiedo al caro popolo iraniano di seguire strettamente i criteri dettati dalla Guida Suprema quando voteranno per i candidati”. Un’ indicazione di voto, seppure non in modo esplicito, che favorirebbe Jalili e chiarirebbe da che parte guarda Khamenei, mentre nel frattempo Khatami ha manifestato tutto il suo apprezzamento per il connubio Aref-Rouhani.

Le carte in tavola sono ancora molte, a conferma di quella elettricità che si era percepita già venerdì scorso, negli studi televisivi della Irib, nel corso dell’ultimo interminabile dibattito pre-elettorale.

Quattro ore e 40 minuti incentrate su temi fondamentali per il futuro del Paese, e cioè la politica estera e la questione nucleare, che avrebbero dovuto sciogliere i dubbi degli indecisi su Mohammad Bagher Ghalibaf, Saeed Jalili, Ali Akbar Velayati, Hassan Rouhani, Mohammad Reza Aref, Mohammad Gharazi, Mohsen Rezaei, Gholam Ali Haddad-Adel, e scalfire il muro dei delusi, ma che a sentire molti tra gli iraniani, sarebbero state solo un inutile esercizio di propaganda politica, condito da scambi di accuse reciproche e, come nota un’analisi su Press Tv, da uno sforzo per difendere il proprio passato, sotto il fuoco incrociato dei concorrenti. Soprattutto tra Qalibaf e Rouhani e Qalibaf e Velayati, tra Jalili e Aref. E in generale tra i riformisti e i conservatori di punta. Segno del nervosismo crescente, man mano che si avvicina la data fatidica.

Promesse elettorali

Tra i valzer elettorali dell’ultima ora, cartelli e alleanze interne, si rischiano di perdere di vista i contenuti, soprattutto le questioni fondamentali trattate nell’ultimo incontro tv, che poi sono quelle che più di tutti stanno condizionando la vita di milioni di cittadini iraniani alle prese con pesanti sanzioni economiche. Tra i principali candidati del fronte conservatore, Mohammad Baqer Qalibaf, Said Jalili e Ali Akbar Velayati non è emerso un approccio sostanzialmente diverso dall’attuale. Un maggiore spazio all’apertura, fermo restando che poi è la Guida Suprema a dettare le linee in politica estera, invece per i due moderati-riformisti. Fronte compatto, però, nel puntare il dito contro quanto fatto finora, attaccando quindi direttamente o anche indirettamente il protagonista degli ultimi anni di negoziati con l’Occidente, cioè Jalili.

Si parte dalle critiche di Qalibaf all’attuale diplomazia perché non ha saputo individuare gli obiettivi reali, e da quelle di Velayati che ha condannato aspramente il metodo dei negoziatori iraniani nelle trattative con i 5+1 che hanno condotto l’Iran nell’attuale crisi economica, fino a Mohsen Rezai che ha chiamato in causa direttamente Jalili, chiedendogli cosa abbia fatto per ridurre le sanzioni. In tutti questi casi, la soluzione delineata è in primis nel rafforzamento dell’economia interna. Lo stesso Rezai ha parlato di “resistenza” contro le pressioni dell’Occidente e “interazione” per risolvere la questione diplomaticamente; lo stesso panorama abbozzato da Velayati secondo cui “l’arte della diplomazia è dare e prendere”: salvare il diritto al nucleare e nello stesso tempo ridurre le sanzioni. Mentre Qalibaf, che sta centrando parte della sua campagna sulle questioni economiche, ha parlato di diplomazia economica e di “diplomazia regionale” difendendo “gli interessi nazionali e l’identità rivoluzionaria”.

Jalili, nel fuoco incrociato di accuse, ha profilato una politica estera che non scenda ad “alcun compromesso che violi i principi dell’Islam”, intelligente e “condotta da un governo capace che abbia maturato esperienza nell’ambito delle relazioni internazionali”.

Di “prudente resistenza” alle sanzioni aveva parlato il conservatore principalista Haddad-Adel (ormai fuori gioco) secondo cui la radice del problema non sarebbe nel nucleare ma nell’avversione nei confronti della Rivoluzione Islamica. Tematiche che fanno richiamo ai principi nazionalisti, un po’ come il ricorso alle immagini della guerra imposta (e cioè la guerra contro l’Iraq che ha rappresentato un momento altissimo di unità nazionale, segnando l’epica nazionalista post rivoluzionaria) durante il dibattito tv, ma che non contribuiscono certo a segnare un approccio utile alla questione.

Parole e approccio diversi, quelli di Ruohani che già in precedenza aveva parlato di un engagement con l’Occidente basato sulla logica e la razionalità. “La gente – ha spiegato -dovrebbe percepire un clima di pace e sicurezza, culturale ed economica”. In questa prospettiva il dossier nucleare iraniano dovrebbe passare, o meglio tornare, dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu all’Aiea. Ancora più netto l’esponente riformista, Mohammad Reza Aref, che si era distinto già nel precedente incontro per un chiaro attaccato alla politica censoria in Iran (“Vietare dei giornali, impedire la pubblicazione di un libro o la proiezione di un film, sono cose che devono essere corrette”). Aref ha chiamato in causa i principalisti, cioè gli uomini più vicini alla Guida Suprema, in quanto responsabili dell’attuale situazione economica del Paese.

Sondaggi, aspettative e timori

È difficile dare credito ai sondaggi in un panorama complesso e radicalizzato come quello iraniano, ancor più complesso farsi un’idea nell’atmosfera febbrile delle presidenziali, ma l’ultimo condotto dal sito turco Nazareakhar su un campione di 45mila utenti iraniani, darebbe come favorito tra gli otto proprio Rouhani, con 17.217 preferenze, seguito dall’ex vice di Khatami, Mohammad Reza Aref, con 12.742 voti. Seguono Mohammad Baqer Qalibaf (6.540), Saeed Jalili, (4.193), Mohsen Rezai, (2.592), Ali Akbar Velayati, (780), Mohammad Qarazi, (677), e infine Gholam-Ali Haddad Adel (317). Un panorama che contraddice quanto si erano prefigurati analisti e osservatori e che tiene fede all’idea che in Iran nulla è prevedibile.

C’è da dire però che chi utilizza la rete in Iran è quella parte della popolazione più colta, urbanizzata, aperta all’esterno e in genere più progressista, mentre tra i 50 milioni di aventi diritto ci sono anche gli abitanti delle zone rurali, istruiti o meno di cui bisogna tener conto. Non stupiscono dunque questi dati del tutto contrastanti con quelli pubblicati pochi giorni fa dall’agenzia Mehr che appartiene all’Organizzazione per la Diffusione dell’ideologia Islamica e ha come platea di riferimento tutto un altro mondo.

È indubbio, però, che l’opinione pubblica occidentale sia già in una fase di infatuazione se, come dimostra la CNN, ci si comincia a chiedere: “Rouhani: The man to revive Iran’s reformist movement?”.

Un religioso moderato front-runner dei riformisti? Rouhani negli ultimi giorni pare aver recuperato un terreno insperato e ha ottenuto anche l’endorsement di Khatami. In più, la mossa dell’alleanza con Aref è un utile modo per non disperdere voti; in netto contrasto con quanto sta avvenendo invece sul campo opposto in cui, come hanno dimostrato anche i dibattiti tv, le tre personalità dominanti stanno giocando la carta personalismo.

Sarà dovuto anche a questo il caos di queste ore? E chissà se dopo gli sforzi per tenere le persone lontane della piazze, tutto questo vociare sortirà l’effetto contrario?

Quel che è certo, sia nelle parole dei candidati, che in quelle della guida Suprema, è che il prossimo voto sarà un referendum sulla Repubblica Islamica. Non è così, certo, che la questione è stata posta ma è questo ciò che si evince anche dall’appello dell’Ayatollah Ali Khamenei che nel suo discorso al mausoleo di Khomeini, in occasione del ventiquattresimo anniversario della sua morte, ha sottolineato che “ogni voto che verrà dato dal popolo per ciascuno degli otto candidati presidenziali sarà in primo luogo un voto per la Repubblica islamica e un voto di fiducia nel meccanismo delle elezioni”. Il ricordo del 2009 e i timori sono ancora accesi.

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