Questione Ucraina, la prova più dura
per la politica estera di un’Europa divisa

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Poco più di un anno fa, il 7 aprile 2014, gruppi armati filorussi espropriavano la sede dell’amministrazione regionale a Donetsk e quella dei servizi segreti a Lougansk. Cominciava, così, l’occupazione delle regioni separatiste dell’Ucraina sud-orientale. Una pagina nera non solo per la complessa transizione istituzionale dell’Ucraina ma anche per la tenuta delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Mosca, impegnate in un difficile dialogo volto a far arretrare la presenza russa – ripetutamente smentita da Putin – nelle regioni occupate del Donbass, Donetsk e Lougansk.

Dopo un anno drammatico costato all’Ucraina più di 6 mila morti, i risultati ottenuti nei vari round negoziali avviati per uscire dall’empasse e facilitati prima da Unione europea e Stati Uniti e poi dalle cancellerie tedesca e francese, sono stati però tutt’altro che entusiasmanti. Se la sola certezza dell’ultima intesa raggiunta a Minsk era il ‘cessate il fuoco’ attivo dal 15 febbraio, anche quel risultato, oggi, non può che ridimensionarsi di fronte al conflitto a bassa intensità che ancora continua a martoriare le regioni sud-orientali.

Arsenij Yatsenjuk, primo ministro dell’ Ucraina, non ha mezze parole: “Siamo lontani dall’applicazione di quegli accordi, perché ancora si spara e soprattutto perché la Russia continua a fornire carri armati, armi pesanti e soldi ai ribelli”. Valutazioni che trovano sostegno in un numero crescente di governi europei, inquietati dall’espansionismo russo a ovest. Ad allargare le fila di chi vede in Putin il demiurgo di questa avanzata silenziosa, il 9 aprile si sono aggiunti i ministri della difesa di Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca e quello degli esteri dell’Islanda, che, in una dichiarazione congiunta rilasciata al quotidiano norvegese Aftenposten, hanno reso pubblica la decisione di rafforzare la loro cooperazione militare, per fronteggiare l’oltranzismo russo. “La Russia ha dimostrato di essere disposta a utilizzare i mezzi militari per raggiungere i propri obiettivi politici e mette a rischio i nostri confini. Tutti insieme daremo una risposta”.

Ma non sono solo le velleità espansionistiche russe a far tremare i polsi alla pattuglia scandinava. Ad allarmare è anche il peso che il conflitto russo-ucraino sta avendo nel destabilizzare le relazioni tra gli stati membri europei. “La propaganda e le manovre politiche della Russia stanno contribuendo a creare dissidi tra i diversi stati europei e anche all’interno di organizzazioni internazionali come la Nato” hanno chiosato gli scandinavi. Verità incontrovertibile, visto che da mesi la compagine europea è esposta al fuoco incrociato degli sfaldamenti e dalle divergenze tra i suoi stati membri.

Che la tenuta della politica estera dell’Unione rischiasse di colare a picco sulla questione russa, lo si era già visto lo scorso gennaio. Allora, il paper sulle relazioni con la Russia preparato dagli esperti dell’Azione esterna dell’Unione come base per la discussione strategica al Consiglio Affari esteri del 19 gennaio, aveva sollevato un polverone. I paesi dell’est capeggiati dal ministro degli Esteri estone, Keit Pentus-Rosimannus, respinsero al mittente la proposta di integrare con un approccio “più proattivo” la politica delle sanzioni economiche decise per punire l’annessione illegale della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina, e bocciarono fermamente sia la possibilità di avviare un “dialogo informale” con l’Unione economica euroasiatica che il rilancio dei summit Ue-Russia.

Priorità che per l’Azione esterna erano giustificate sia dall’inadeguatezza delle sanzioni nel determinare un cambio di rotta nella condotta del Cremlino, sia dalle ricadute, tutt’altro che irrilevanti, di questa guerra economica in Europa, e in particolare in Italia. “5,3 i miliardi di euro bruciati nel 2014 nell’interscambio tra Italia e Russia, pari a meno 17 % sul 2013”.

Complice il susseguirsi degli eventi, la proposta distensiva capeggiata dall’Italia è finita con un buco nell’acqua. Di mezzo ci si è messa la ripresa dei combattimenti a Mariupol e l’inasprirsi del quadro politico interno moscovita, che con l’assassinio del dissidente Boris Nemtsov ha mostrato per l’ennesima volta l’essenza della Russia nell’era Putin. Qualcosa, ha argomentato Vittorio Emanuele Parsi, “sempre più simile a una satrapia mediorientale, che minaccia i vicini che non si sottomettono, li invade per ampliare il proprio territorio e dove chi disturba il leader viene eliminato”.

Da allora l’Azione esterna ha inasprito i toni chiedendo alle autorità russe di condurre un’indagine completa e trasparente sull’omicidio Nemtsov, e porre fine “al clima di sospetto, odio e intolleranza verso le divergenze di opinione”. Una presa di distanza rafforzata dalla scelta del Consiglio europeo di marzo di estendere ulteriormente le sanzioni contro la Russia. Una strategia lontanissima da quella auspicata dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, soltanto lo scorso dicembre. Quando aveva ribadito la necessità di avviare di una strategia a lungo termine nei confronti della Russia, invece di limitarsi a reagire agli eventi.

Una lungimiranza politica che per ora pare rinviata al prossimo Vertice del partenariato orientale  previsto a Riga per il 21 maggio. Evento al quale i leader Ue vorrebbero arrivare con un’idea esatta sulle azioni diplomatiche da mettere in campo. Soprattutto perché le sanzioni economiche contro Mosca scadono a luglio e prima di allora, probabilmente durante il consiglio di giugno, bisognerà decidere se rinnovarle all’unanimità. Non da soli, però. Da Washington, durante la conferenza stampa congiunta con il premier italiano Renzi dello scorso 17 aprile, è stato il Presidente Obama in persona a chiarire quale è sia l’unico scenario ammissibile per la Casa Bianca: “finché Mosca non rispetta appieno gli accordi sull’Ucraina, non bisogna ridurre le sanzioni. Ci sarà un voto al Consiglio europeo e mi aspetto che non solo l’Italia, ma tutti i Paesi riconoscano che sarebbe sbagliato ridurre la pressione con le sanzioni. Quantomeno è necessario mantenere quelle esistenti, finché Mosca non farà quello che è tenuta a fare”. Il che è come dire che la partita a due è in realtà una partita a tre.

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Enza Roberta Petrillo è una ricercatrice presso Euro Sapienza, Research Centre on European, International and Development Studies, Dipartimento MEMOTEF, La Sapienza Università di Roma

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