Fatima Mernissi,
un ritratto intellettuale

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Fatima Mernissi (1940-30 novembre 2015), la sociologa e scrittrice marocchina, pioniera del femminismo islamico di fama mondiale, ci ha lasciati oggi ed ha lasciato dietro di sé un’enorme eredità per il mondo arabo-islamico e non solo, un’eredità di cui andare fieri e da cui ripartire per la creazione di un mondo migliore e più egualitario. Con i suoi scritti sociologici e le sue riflessioni teoriche, oltre che con le sue opere di narrativa, negli ultimi quarant’anni Mernissi è diventata una vera e propria icona per i riformisti e gli egualitaristi musulmani. La studiosa americana Amina Wadud nel commemorarla, l’ha ricordata come “una delle nostre principali precorritrici”. Molti ritengono che sia riuscita a consolidare e promuovere l’idea di un femminismo islamico capace di portare avanti importanti battaglie a favore della dignità umana, dell’eguaglianza e della giustizia sociale, in un’epoca in cui il femminismo occidentale era ancora al contrario eurocentrico, antireligioso e non abbastanza orientato al c.d. Terzo Mondo [1]. Mernissi nutriva grandi speranze di cambiamento, ne aveva sentito crescere l’afflato tra i giovani fin dagli anni Novanta. Quello spirito di speranza permea tutta la sua opera, è una speranza che affonda le proprie radici nel passato glorioso, nella memoria, nel superamento dei confini, nel nomadismo spirituale. Mernissi è stata per me la campionessa intellettuale del femminismo islamico, della parità di genere e della dignità umana visti attraverso i suoi occhi di donna. E tale rimarrà per le generazioni a venire. Questo è un breve omaggio da parte di un suo indiretto allievo a un’immensa studiosa.

Mernissi ha oltrepassato in prima persona i confini allo scopo di raggiungere la comprensione. Ha messo alla prova se stessa e la propria tradizione per arrivare a cogliere un senso più ampio del “sé” umano. Il suo personaggio della nonna Yasmina, personaggio per gran parte ispirato alla realtà della biografia della scrittrice che troviamo nei suoi romanzi, ha rappresentato per lei una grandissima fonte di ispirazione. L’Harem che Mernissi descrive è sì una prigione fisica, ma i personaggi femminili che ritroviamo al suo interno sono forti, potenti, evocativi. È Yasmina a spingere la ragazzina (Fatima) a viaggiare, a scoprire il mondo e a riconoscere la meraviglia divina in ciò che ci circonda, un’ispirazione appresa dal Sufismo. È di questo, e di molto altro, che la scrittrice racconta in Scheherazade Goes West: Different Cultures, Different Harems (2001). Mernissi resta una nomade, nel rispetto del consiglio datole da Yasmina attraverso il racconto di una delle storie narrate da Shahrazād de Le mille e una notte [2].

La capitale spirituale medievale di Fez e il suo harem familiare degli anni Quaranta erano una tradizione chiusa, da quanto appare dall’esterno, ma aperta alle narrazioni storiche e al nomadismo intellettuale di varie voci femminili che manifestavano i propri sogni al mondo fuori dalle sue mura. Questi sogni sono stati tradotti in venticinque lingue, per dare all’harem una connotazione diversa. È di questo che Mernissi narra nell’affascinante (e semiautobiografico) romanzo Dreams of Trespass [3].

Il primo libro della Mernissi, , è stato pubblicato nel 1975; da allora ne sono uscite diverse versioni rivisitate. Quell’opera è diventata un classico della riflessione socioantropologica arabomusulmana e mediterranea sulle donne. La prima edizione era caratterizzata da un atteggiamento fortemente contrario alla diffusa interpretazione non egualitaria e misogina dell’Islam. Per questo motivo, all’inizio della sua carriera, Mernissi è stata oggetto di accese critiche da parte dell’élite conservatrice. In seguito, col supporto di più approfonditi studi sociologici e teologici, avrebbe chiarito le proprie posizioni a partire dalla tradizione stessa per smascherare le infiltrazioni patriarcali e culturali che avevano finito per appesantire l’originale messaggio musulmano e la sua concezione dell’uomo e della donna. Mernissi è molto critica nei confronti dell’autorità di alcuni hadith attribuiti al Profeta, e ne mette in dubbio la validità a fronte di un messaggio islamico che a suo parere avrebbe invece attribuito piena parità ontologica a uomini e donne. Il suo sogno appare, piuttosto, quello di riaffermare il “secondo messaggio dell’Islam”, che è a suo avviso un messaggio improntato all’uguaglianza e alla giustizia. Nella prefazione del libro, a tal proposito, ella scrive: “Paradossalmente, e al contrario di quanto comunemente si crede, l’Islam non porta avanti la tesi di un’intrinseca inferiorità del genere femminile. Al contrario, afferma una potenziale parità tra i sessi” [4].

Dal punto di vista comparativo, Mernissi ha avuto da ridire sul femminismo occidentale e sul suo contesto storico di riferimento, così come sulle sue priorità contingenti e sul suo completo rifiuto della storia e degli spunti di liberazione femminile provenienti dalla tradizione islamica. L’Occidente è portatore di una versione tutta sua dell’harem, che ruota attorno al concetto di un’inferiorità ontologica della donna. Il lungo passaggio che riporto qui sotto spiega la sua posizione, che nello specifico potrebbe apparire semplicistica alle studiose femministe occidentali:

Nella cultura occidentale, la disparità tra i sessi si basa sulla convinzione di un’inferiorità biologica della donna. Ciò spiega alcuni aspetti dei movimenti di emancipazione femminile occidentali, come ad esempio il fatto che siano quasi sempre capeggiati da donne, che i loro effetti siano spesso molto superficiali, e che non siano riusciti a modificare efficacemente le dinamiche uomo-donna connaturate a quella data cultura. Nell’Islam questa concezione di un’inferiorità femminile non esiste. Al contrario, l’intero sistema poggia sull’assunto che la donna sia una creatura potente e temibile. Tutti gli istituti sessuali (la poligamia, il ripudio della propria sposa, la segregazione, ecc.) possono essere intesi come parte di una strategia tesa a contenerne il potere… Mentre l’emancipazione femminile in Occidente si concentra sulla donna e sulle sue pretese di uguaglianza rispetto all’uomo, nei Paesi musulmani tende a focalizzarsi sulle modalità di interazione tra i sessi e pertanto ha le stesse probabilità di essere guidata da uomini quanto da donne. [5]

La tesi di Mernissi secondo cui i maschi musulmani potrebbero porsi come fautori della parità di genere deriva dalla sua familiarità con la tradizione islamica e le sue scuole di pensiero che dedicano ampio spazio di riflessione ai diritti e doveri delle donne.

I diritti legali che in epoca moderna sembrano aver legittimato l’inferiorità femminile ad un certo punto della storia e nei secoli a venire sono stati dei diritti rivendicati. Invece, Mernissi sottolinea l’uguaglianza ontologica di cui parla il Corano: una forte base di partenza da cui plasmare i diritti legali di eguaglianza nelle principali società musulmane di oggi. Intervenendo sulla questione del velo, per esempio, ella vede una forma di predominio maschile e patriarcale che resiste alla logica dell’emancipazione. Soprattutto, Mernissi intende il velo come un simbolo politicizzato. In Women’s Rebellion and Islamic Memory (1996),  l’autrice afferma che il velo è stato frutto di un’imposizione di natura politica e non morale nel mondo arabo, un modo per distogliere le masse dal sollevare questioni come la democrazia e la libertà di partecipazione nell’arena sociopolitica. Il velo è quindi a suo avviso “intrinsecamente politico”. [6]

Dopo anni di studi sul campo ed esperienza diretta delle aspirazioni proprie delle donne del mondo arabo, Mernissi scrive in Islam and Democracy (2002, originariamente pubblicato in francese nel 1992), che gli arabi hanno osato compiere due azioni che nessun altra grande civiltà ha mai compiuto: rinnegare il passato, ovvero la memoria e le modalità di accesso ad essa, e occultare l’elemento femminile. Il libro è uscito dopo la Guerra del Golfo e l’accendersi del dibattito sulla relazione tra Islam e democrazia, tra Islam e Occidente. In quest’opera, Mernissi cerca di collocare le origini del conflitto nella storia del pensiero islamico ai primordi della storia kharijita e mu’tazilita. I Kharijiti, in particolare, nella sua rilettura, vengono definiti partigiani dell’“Islam ribelle”, mentre i Mutaziliti incarnerebbero la “tradizione razionalista”. I Mutaziliti, nella sua ricostruzione, hanno focalizzato l’utilità della ragione in qualsiasi ambito concernente le attività dell’uomo sulla Terra. Sono loro ad aver sollevato questo interrogativo fondamentale: “Che scopo ha la nostra esistenza in Terra, e a quale obiettivo dovremmo far tendere la nostra ´aql (ragione), quel meraviglioso dono che ci viene dal cielo?” [7]. Per Mernissi, ancora, i Mutaziliti hanno “costretto l’Islam a immaginare nuove forme di relazione tra governanti e governati”, nella politica così come nella vita di tutti i giorni, entrambi luoghi fondati intorno alla dialettica: il loro spirito incarna quello della democrazia e dell’umanesimo [8].

Malgrado ciò, Mernissi non si dichiara apertamente neo-mu’tazilita [9]. Non ne ha bisogno, perché il suo approccio procede già in quella direzione, ovverosia di riaffermare il “Rissala/secondo messaggio dell’Islam” e la sua difesa della dignità umana e della giustizia sociale. Per onorare il messaggio del Corano, la parità ontologica che vi viene descritta dev’essere enfatizzata e riaffermata per il bene dell’individuo e della società. “La glorificazione democratica dell’individuo umano, a prescindere dal sesso, dalla razza o dallo status sociale, è il vero nocciolo del messaggio musulmano” [10].

La speranza di Mernissi era nota a chiunque la conoscesse, a tutti i suoi allievi che sono oggi divenuti autorevoli studiosi e che nutrono profonda stima per il suo spirito di incoraggiamento, agli attivisti che difendono la famiglia e le donne nelle società musulmane e nelle comunità di tutto il mondo, come il movimento internazionale Musawah, fondato nel febbraio 2009 e di base in Malesia, al cui seminario a Rabat di qualche giorno fa Mernissi non ha potuto partecipare per motivi di salute. Da questa sua frase traspare tutto il suo ottimismo: “Il mondo arabo sta per spiccare il volo […]. Sta per spiccare il volo per il semplice motivo che tutti, con i fondamentalisti al potere, auspicano un cambiamento” [11].

Nella prefazione all’edizione inglese di The Veil and the Male Elite (1991), Mernissi scrive che appena finito di scrivere quel libro non aveva dubbio alcuno di “una cosa”: “se i diritti delle donne costituiscono un problema per alcuni uomini musulmani dei giorni nostri, non dipende né dal Corano né dal Profeta, né dalla tradizione islamica, ma solo dal fatto che quei diritti sono in conflitto con gli interessi di un’élite maschile” [12]. E lo ribadisce con ancora più forza poco dopo:

Noi donne musulmane possiamo avventurarci nella modernità con orgoglio, nella consapevolezza che l’aspirazione alla dignità, alla democrazia e ai diritti umani e a una piena partecipazione alla vita politica e sociale del nostro Paese non deriva da valori importati dall’Occidente, ma è parte integrante della tradizione musulmana. [13]

La sua è un’accusa verso quei musulmani che tendono a occidentalizzare l’emancipazione e le rivendicazioni egualitarie solo per opporvisi, per esternalizzarle, o magari anche solo per innovare la tradizione dall’esterno, e che a suo avviso sono colpevoli di ignorare la propria tradizione e il proprio passato. In The Veil and the Male Elite: A Feminist Interpretation of Women’s Rights in Islam (1987; 1991), scrive:

Qualsiasi uomo che ritenga che una donna musulmana che lotta per la sua dignità e il suo diritto alla cittadinanza debba essere esclusa necessariamente dall’Umma in quanto vittima del lavaggio del cervello, opera della propaganda occidentale, è un uomo che misconosce la propria eredità religiosa, la propria identità culturale. Le numerose ed evocative testimonianze della storia musulmana così brillantemente raccolte per noi da intellettuali del calibro di Ibn Hisham, Ibn Hajar, Ibn Sa´ad e Tabari dicono tutto il contrario. Noi donne musulmane possiamo avventurarci nella modernità con orgoglio, nella consapevolezza che l’aspirazione alla dignità, alla democrazia e ai diritti umani e a una piena partecipazione alla vita politica e sociale del nostro Paese non deriva da valori importati dall’Occidente, ma è parte integrante della tradizione musulmana. Di questo sono certa, dopo aver letto gli scritti degli studiosi che ho appena citato e di molti altri. Sono loro a provarmi che devo andar fiera del mio passato musulmano e sentirmi giustificata nel mio dar valore ai doni più preziosi della civiltà moderna: i diritti umani e la soddisfazione di una piena cittadinanza. [14]

Dopo l’elezione di Benazir Bhutto alla carica di Primo ministro del Pakistan nel 1988, alcuni intellettuali musulmani conservatori hanno avanzato delle obiezioni rispetto al fatto che fosse una donna a governare il Paese. Mernissi volle assicurarsi che si trattava di una mera posizione patriarcale e non genuinamente islamica. Appassionata a questa questione, si dedicò ad un nuovo libro intitolato The Forgotten Queens of Islam (1993) [15] a sostegno della sua tesi che in passato le donne venivano efficacemente coinvolge negli affari economici e sociopolitici delle proprie società di appartenenza.

Traduzione dall’inglese di Chiara Rizzo

Note
[1] Anitta Kynsilehto, ed. Islamic Feminism: Current Perspectives (Tampere: Tampere University and Tampere Peace Research Institute, 2008) 9-14.

[2] Mernissi, Scheherazade Goes West: Different Cultures, Different Harems (New York: Washinghton Square Press, 2001) 1-3.

[3] Mernissi, Rêves de femmes: contes d’enfances au harem [Dreams of Trespass: Tales of a Harem Girlhood] (France: Fennec, 1997).

[4] Fatema Mernissi, Beyond the Veil: Male-Female Dynamics in a Modern Muslim Society (Cambridge: Schenkman Publishing Co., 1975) xv-xvi.

[5] Mernissi, Beyond the Veil, Preface to the Western Reader, xvi.

[6] Mernissi, Women’s Rebellion and Islamic Memory (London and New Jersey: Zed Books, 1996) xi.

[7] Mernissi, Islam and Democracy: Fear of the Modern World, trans. Mary Jo Lakeland, 2nd ed. (New York: Perseus Books Group and Basic Books, 2002) 32.

[8] Ibid., 32-33.

[9] Raja Rhouni, Secular and Islamic Feminist Critiques in the Work of Fatima Mernissi (Leiden and Boston: Brill, 2010), 268.

[10] Mernissi, Beyond the Veil, xvi.

[11] Mernissi, Islam and Democracy, 149; see chapter 10: ‘Women’s Song: Destination Freedom’, 149-171. La seconda edizione del volume (del 2002) comprende anche un’introduzione della Mernissi che non appariva nella prima edizione del 1992.

[12] Mernissi, The Veil and the Male Elite: a Feminist Interpretation of Women’s Rights in Islam, trans. Mary JoLakeland (Cambridge, Perseus Books Publishing, 1991) ix.

[13] Ibid, viii.

[14] Mernissi, The Veil and the Male Elite, vii-viii.

[15] Mernissi, The Forgotten Queens of Islam (Minnesota: Polity Press, 1993) 1-5.

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